“L’arte di amare”: quando l’amore diventa artificio

l'arte di amare

L’arte di amare è il secondo dei tre poemetti di Publio Ovidio Nasone (redatto dopo L’arte del trucco e prima di Come curar l’amore). Si tratta di un vero e proprio breviario della frivolezza scritto nel contesto di una società che ormai è l’apice della potenza. Più volte all’interno del poemetto Ovidio sottolinea la differenza tra la finezza della contemporanea Roma augustea e la rozzezza delle società del passato («Un tempo regnava una semplicità rude; ma Roma è d’oro oggi e possiede le enormi ricchezze del mondo domato»).

Il corteggiamento e lo spettacolo 

In questa cornice di gloria e opulenza il rito del corteggiamento è concepito come un’arte che prevede strategia, capacità oratoria e soprattutto artificio. Come faranno molti secoli dopo gli autori della Commedia dell’Arte, Ovidio dota gli uomini di un canovaccio da seguire per un corteggiamento di successo e le donne di un manuale di trucchi per costruire una maschera quanto più vicina alla perfezione. L’obiettivo di entrambi i sessi è la conquista della persona desiderata — non necessariamente amata — anche se ciò implica l’impiego dell’artificio. In L’arte di amare di Ovidio infatti sembrare è più importante che essere. Se l’occasione non si crea, va creata e fatta passare per casuale («L’arte imita il caso»). Se la bellezza non c’è va simulata, proprio come in uno spettacolo teatrale. 

Il parallelismo tra l’arte è il teatro si affaccia più di una volta all’interno dell’opera. Nel primo libro, Ovidio scrive: «Mentre [l’uomo] le tocca le mani e le parla e domanda il programma e scommette e vuol sapere chi vince dei due gladiatori, ecco geme ferito e sente il dolore della freccia volante [di Cupido] e diventa egli stesso parte dello spettacolo» (L I, vv. 167-169) . Nel terzo libro, invece afferma: «I fregi d’oro che adornano il fastoso teatro non son che legno coperto da una finissima foglia, ma non si fa entrare la gente prima che siano finiti. Così fatevi belle quando l’uomo non c’è» (L III, vv. 231-234). 

La preparazione degli attori

Nel primo caso parla all’uomo, lo tratta proprio come un istrione. Gli suggerisce i luoghi in cui andare, le occasioni da creare, i gesti da fare («Lì puoi andarti a sedere vicino alla tua bella, nessuno te lo proibisce, e congiungere fianco a fianco fin dove puoi. […] A questo punto avvia un po’ il discorso partendo dalle cose banali. Cerca accuratamente di saper chi siano i cavalli che avanzano, tifa con decisione per il suo favorito chiunque possa essere»). Trattandosi di una visione fortunatamente superata del rapporto uomo-donna (non dimentichiamo che l’opera si colloca intorno all’anno zero), nella grande recita del corteggiamento l’uomo ha sempre il ruolo attivo e decisivo. Come in guerra, è lui che ha la responsabilità della conquista.

Alla donna invece spetta il ruolo di essere scelta, conquistata e possibilmente non abbandonata. Ed è qui che si inserisce il secondo esempio di parallelismo tra ars amatoria e teatro. Come il tempio dell’illusione dev’essere ammirato quando i lavori sono finiti, così l’uomo deve vedere la donna solo una volta che ha finito di mettere a punto la sua immagine. Anche la donna viene trattata come un’attrice, ma mentre all’uomo si insegna come muoversi sul palco a lei si indica come preparare il suo personaggio al meglio dietro le quinte. Come farsi bella, certo («Siano curati i capelli, un tocco di mano dà la bellezza e la toglie»), ma anche come sorridere, come camminare, come scrivere. Più che insegnarle a padroneggiare l’artificio le chiede di diventare artificio («con l’arte colmate il vuoto tra l’una e l’altra sopracciglia mentre il cerone vela la realtà delle guance»). 

L’erotismo studiato e l’esilio

Ovidio dunque conferisce armi di seduzione anche alle donne («darò alle donne di Lemno le spade per la mia fine») e dà loro un margine d’azione, anche se non pari a quello conferito all’uomo. Ma soprattutto le incita a godere delle gioie dell’amore finché la giovinezza non fugge via. Non parla di amore spirituale, ma di amore fisico. Nel terzo libro di L’ arte di amare infatti la guida al corteggiamento approda all’atto amoroso concreto. Anch’esso ha le sue regole e per realizzarsi appieno deve compiere la piena soddisfazione di entrambi i partner. La gelosia simulata che accende la passione, i movimenti, le parole… Nell’atto sessuale, come nella fase della conquista, tutto deve essere studiato al fine di nascondere i difetti e tendere alla perfezione. In qualche modo diventa anch’esso spettacolo, una messa in scena che un amante performa per l’altro.

Nel trattare il tema dell’erotismo Ovidio continua a decantare la raffinatezza dei costumi della Roma di Augusto. Tuttavia ciò non impedisce a L’arte di amare di cozzare con i piani di risanamento morale e familiare dell’imperatore. Quest’opera che Ovidio chiama ludus (gioco) sarà infatti una delle cause del suo esilio a Tomi, sulle sponde del Mar Nero. E allora la frivolezza dello spettacolo offerto da L’arte di amare farà sentire il suo peso. Determinerà una dolorosa relegazione che si concluderà solo con la morte dell’autore, nel 17 d.C.

Foto di Jose Antonio Alba da Pixabay

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