L’altro 11 settembre – La battaglia di Teutoburgo

Quando ascoltiamo o leggiamo questa data tutti noi pensiamo alle Torri Gemelle, a New York ed a Osama Bin Laden. Molti di noi ricordano con esattezza dove fossero e cosa stessero facendo mentre questo orrore stava accadendo tanto fu l’impatto che ebbe sulle nostre coscienze.

Tuttavia questo non fu l’unico 11 settembre che cambiò il corso della Storia. Ce ne furono anche di altri. Nel 1297 William Wallace sconfigge gli inglesi a Stirlling Bridge e diviene l’eroe Scozzese per antonomasia.

Nel 1944 i soldati americani varcano per la prima volta il confine occidentale della Germania Nazista.

In Cile nel 1973 ci fu il colpo di stato di Pinochet che rovesciò Allende il quale, durante la rivolta, si suicidò. Ancora oggi è considerato uno degli avvenimenti più controversi del secolo scorso.

Nel 1989 l’Ungheria apre i confini con l’Austria. I cittadini della Germania dell’Est raggiungono l’Ungheria ed attraversano il confine entrando nel blocco occidentale. Questo fu il primo di una catena di eventi che portò alla caduta della Cortina di Ferro e del Muro di Berlino.

Quello di cui tratteremo è successo nel 9 d.c. Iniziò l’8 settembre ed ebbe culmine ed epilogo la mattina dell’11 settembre. Se questa battaglia non fosse accaduta oggi l’Europa sarebbe molto diversa.

Nella foresta

Ci troviamo nella foresta di Teutoburgo vicino ad Osnabruck: città di 160.000 abitanti nella Bassa Sassonia. Siamo nella Roma Imperiale sotto Augusto. Tre Legioni (la XVII, la XVIII e la XIX) stanno attraversando l’area al comando del Generale Publio Quintilio Varo.

Questa parte di Germania non era ufficialmente parte dell’Impero. Tuttavia, dopo le campagne di Druso fino al 6 d.c. era un’area ampiamente romanizzata. La spedizione doveva mappare la zona, prendere contatti con le tribù locali, decidere dove costruire nuove città e disegnare il tracciato delle nuove strade.

La ribellione ed il tradimento

Le tre legioni ed il caravanserraglio al seguito tornavano a sud verso il Reno, che segnava il “Limes” ovvero il confine tra Roma e la Germania, prima dell’inverno. Arrivò la notizia che alcune tribù barbare si erano sollevate più a nord. Varo è dubbioso. Il tempo è poco, il suo esercito al momento è poco agile ed il territorio ostile. Lo consiglia un giovane cavaliere di nome Arminio.

Arminio è un Barbaro. Ha combattuto con onore nell’esercito romano tanto da ottenere anche la cittadinanza. Varo si fida di lui e decide di seguirne il consiglio e di andare a sedare la rivolta. Quello che non sa è che Arminio è il capo di una delle tribù che si sono ribellate: i Cheruschi. Dopo averlo convinto, con un pretesto, abbandona la colonna e raggiunge i suoi.

La battaglia

I Barbari attaccarono i fianchi e la coda del corteo con tecniche di guerriglia ed, indebolendolo, lo separò in più parti.

Alla fine del terzo giorno di battaglia i romani si accampano in una radura. E’ la sera del 10 settembre del 9 d.c. Bruciarono i carri, abbandonarono gli oggetti pesanti e gli animali in modo da alleggerirsi e procedere più spediti.

11 settembre

La mattina dell’11 settembre Arminio attaccò in massa nei pressi di Kalkriese. Annientò tre legioni: 30.000 persone. Distrusse 1/10 della potenza militare dell’Impero.

I Cheruschi volevano contrattaccare e penetrare in territorio romano. Non riusciranno per l’intervento del generale Lucio Aspernate che da Mogontiacum (oggi Magonza) inviò altre due legioni a difendere il Limes. L’imperatore avvilito, secondo Tacito, pronuncia la celebre frase “Varo, ridammi le mie legioni”.

Le tre legioni, la XVII, la XVII e la XIX, non verranno mai più ricostituite.

Arminio, ad oggi, è considerato eroe nazionale della tradizione tedesca.

Un ritrovamento casuale

Nord della Germania, limitare di una vasta area boscosa, tempi moderni. C’è un appassionato di archeologia, armato di metal detector che trova un piccolo gruzzolo di monete antiche recanti il simbolo “VAR”.

Portate alle autorità si scoprì che quelle monete erano state coniate con l’egida di Publio Quintilio Varo ed erano state nascoste affinchè, a seguito di un atto di orgoglio, non venissero trovate dalle tribù di Arminio. Fu grazie a questo ritrovamento che iniziarono gli scavi archeologici finalizzati ad identificare con precisione i luoghi della battaglia ed il percorso che  romani e barbari seguirono in quei giorni.

Gli scavi

Durante la lunga campagna di scavi vennero trovati piccoli oggetti di metallo (fibule, chiodi, staffe) che i barbari avevano lasciato, dopo aver depredato i cadaveri, ritenendoli inutilizzabili.

Vennero trovate monete, resti di abiti, oggetti quotidiani. In un campanaccio di un bovino da traino venne trovata dell’erba messa lì in modo da bloccarne il batacchio e non farla suonare: i barbari non ne avrebbero sentito il suono.

Vennero trovate anche delle ossa che, a seguito di analisi, raccontavano che erano rimaste all’aperto dai due ai dieci anni prima di essere sepolte. Queste scoperte sono coerenti con quanto ci dicono gli storici di epoca romana i quali riferirono, con i loro scritti, cosa successe dopo la disfatta.

L’opinione pubblica

Nei romani rimase per anni un forte risentimento per quanto successo. L’opinione pubblica era indignata tanto quanto i generali, il senato e l’imperatore stesso. Uno degli aspetti che più indignava i romani fu la perdita delle insegne imperiali.

In ogni legione c’era, infatti, un soldato che “portava” l’insegna (e cioè il simbolo della “Legio”) in testa alla colonna di uomini che andavano in battaglia. Perderle era considerato un affronto imperdonabile perché esse rappresentavano Roma ed il suo retaggio ovunque l’esercito si recasse.

Le insegne

Vexillifer, Signifer, Aquilifer. Erano i soldati romani addetti al trasporto ed alla difesa del Vessillo, dell’insegna della Legione e dell’Aquila Imperiale. Erano solitamente soldati di provata esperienza, avevano paga maggiore e più privilegi rispetto ai soldati comuni. Il vessillo indicava il numero della legione ed il suo simbolo, l’insegna portava i fregi delle vittorie ottenute in battaglia, l’aquila portava le insegne imperiali. Tutte e tre erano montate su aste portate a mano.

Un ritrovamento casuale

Durante una normale ispezione lungo il limes vennero ritrovate due delle tre insegne andate perse a Teutoburgo. Benché i romani non mettessero più piede nella zona della battaglia da anni, si organizzò una vasta operazione con l’obiettivo di tornare e vendicare Varo e le sue Legioni.

Sei anni dopo la disfatta il generale Nerone Claudio Druso in seguito appellato come “Germanico” scaricò la rabbia e la furia di Roma sui barbari di Arminio ed i suoi alleati.

La rivalsa

Germanico arrivò a Teutoburgo e trovò un tappeto di ossa, scheletri inchiodati agli alberi, corpi depredati delle armi e di tutto quanto avessero, altari rudimentali sui quali erano stati sacrificati i centurioni. Ovunque c’erano i segni di una violenza e di una ferocia primordiale.

Ordinò il recupero dei resti dei commilitoni e la loro sepoltura secondo i dettami della “Pietas” del mondo classico. Anch’essi furono attaccati ed accerchiati dalle tribù di Arminio.

Stavolta, i romani, erano adeguatamente preparati e reagirono con fulminee manovre e contrattacchi sterminando buona parte delle forze nemiche. Lo stesso Arminio si salvò per miracolo e fuggì. Morì qualche anno dopo ucciso in una riunione del suo clan.

Il rinvio della conquista della Germania

L’imperatore Tiberio, che nel frattempo era succeduto ad Augusto, ordinò il rinvio della conquista di quella parte di Germania a tempo indeterminato. Nei tempi successivi, per vari motivi, le politiche romane tesero a conservare e consolidare i confini di un impero già molto vasto e la conquista di quelle terre non venne mai più considerata.

Le conseguenze

Al di qua del Reno si sviluppò la Civiltà Romana con città ricoperte di marmi, terme, strade ed anfiteatri. Al di là del fiume, invece, rimasero tribù che vivevano ancora in capanne; come nell’età del ferro. Si creò un abisso culturale.

Questa differenza si ripercosse nel modo di vivere e nei sentimenti di orgoglio nazionale dei popoli germanici per molti secoli: per il resto dell’età classica, per tutto il medioevo e per buona parte del rinascimento.

Molti imperatori e re di cultura germanica, nei secoli successivi, basarono le loro politiche su un orgoglio fortemente nazionalista e sul senso di appartenenza.

In memoria di Arminio fu eretto l’Hermannsdenkmal (foto sopra). Si tratta di un monumento realizzato a Detmold nell’800. Situato sulla cima del colle più alto della foresta di Teutoburgo; nella sua parte sud. Costruzione imponente in arenaria e ferro (la sola spada misura 7 metri) i suoi bassorilievi vennero realizzati partendo dagli scritti di Tacito in quanto i germani non lasciarono tracce scritte della battaglia. Il monumento celebra Arminio come eroe nazionale.

L’esempio Romeno

Molti storici ritengono che se i romani avessero conquistato quella parte di Germania oggi avremo una Germania diversa. Nell’attuale Romania, che all’epoca si chiamava Dacia, avvenne una romanizzazione che ancora oggi ne mostra, evidenti, le conseguenze. Il rumeno è una lingua neolatina, come lo spagnolo e l’italiano. Lo stile di vita, la loro tradizione e la religione furono di stampo classico. La Valacchia ed altri regni dell’area furono per secoli baluardo cristiano a contrasto dell’espansione di imperi provenienti da est. Anche l’attuale nome del paese deriva chiaramente dal passato retaggio romano.

Oggi nella foresta di Teutoburgo, a terra, esiste un lastricato di piastre metalliche a comporre un sentiero che ricostruisce il cammino delle Legioni romane.

Fonte foto: pixabay.com

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