La comunità cristiana è bella perché a prescindere dal suo peccato rimane il luogo in cui vive l’amore di Dio

comunità cristiana15_9626_3797L’esistenza cristiana si riassume mirabilmente nell’esercizio dell’amore fraterno

I testi liturgici di questa domenica ci invitano a meditare su un passo evangelico molto interessante di Matteo: il brano è tratto dal discorso “sulla vita della Chiesa” (Mt 18, 15-20), uno dei quattro grandi discorsi di Gesù che hanno come tema il Regno dei cieli, argomento centrale di tutta la sua predicazione.

La pedagogia di Gesù, fino a questo momento, ha voluto educare gli Apostoli alla logica di Dio e soprattutto formare Pietro; il Maestro, da questo momento in poi, indica ai suoi amici le modalità di intessere relazioni all’interno della piccola comunità apostolica, costituita da poco tempo.

Il tema, dunque, riguarda espressamente la correzione fraterna, menzionata anche nella seconda lettura di questa domenica: “Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa male al prossimo: pienezza della Legge è l’amore” (Rm13, 8-10). In questi termini, l’esistenza cristiana si riassume mirabilmente nell’esercizio dell’amore fraterno. Infatti, quando l’evangelista Matteo ci parla della comunità, intesa come “prototipo” di chiesa e come “prima forma” di vita cristiana, ci invita espressamente ad entrare senza paura in questa bellissima esperienza perché Cristo è l’artefice della nuova creazione ed in essa le cose vecchie non hanno più valore perchè ne sono nate di nuove.

Dunque, la comunità, intesa come manifestazione concreta di comunione e di amore, è la “cosa nuova” che siamo chiamati ad amare, a difendere e a tutelare. La comunità cristiana a cui fa riferimento Matteo non è il frutto di sforzo umano; essa si genera e prende vita solo grazie all’esercizio concreto ed autentico dell’amore.

Guardiamo all’amore di Cristo! Egli, che fino alla follia si è dato alla morte di croce, diviene per ciascuno di noi “dono” ma soprattutto “realizzazione” di un progetto di amore pensato dal Padre sin dall’eternità, quello cioè, di fare della sua creazione un’unità nell’amore di Cristo. “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv1, 1-10). Per questo la comunità ecclesiale è anzitutto un “fatto” e un “evento” di fede. Sposare la Chiesa come comunità ecclesiale significa credere fermamente all’amore di Dio per noi: noi siamo suoi figli, quindi, fratelli tra di noi.

La comunità umana, la famiglia della Chiesa Universale proprio su questa verità trova da sempre il suo stabile fondamento: “figli di Dio, fratelli in Gesù Cristo, fratelli tra di noi”. Allora è solo la fede che lega ogni cristiano, non i vincoli di sangue. Di conseguenza, a costruire la comunità (di bene in meglio o di male in peggio) sarà la risposta personale che ciascuno di noi dà alla fede in Gesù Cristo. “Fare comunità”, “costruire comunità” non è solo un impegno etico ma è dare una risposta all’amore che Cristo ha dimostrato per noi. Le relazioni tra di noi possono dirsi “vere” solo se diamo spazio a Gesù e al suo messaggio di pace, strada sicura questa, che ci conduce direttamente ad un nuovo rapporto con Dio che ci ama gratuitamente.

Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati ad amare gratis perché è la gratuità il prezzo per entrare a far parte del Regno di Dio, la cui vita è regolata non dal desiderio di possesso, non dalla brama di violenza o di prepotenza, non dall’aggressività, ma solo dall’Amore vero.

Facciamo attenzione. Nel Vangelo di oggi, Gesù usa per ben due volte l’espressione: “In verità vi dico”. Quando Gesù parla in questi termini, significa che sta rivelando qualcosa sui misteri di Dio. Vivere senza ipocrisia, liberi e sereni di fronte a Dio, è il segno evidente che Cristo risorto vive in mezzo a noi e fa di noi la sua comunità.

Cosa ci insegna l’evangelista Matteo? Quando egli scrive alla sua comunità cristiana di appartenenza attualizza per essa le parole di Gesù, ad essa propone la fede, facendo diventare quei membri luogo privilegiato attraverso il quale manifestare visibilmente e concretamente il mistero dell’Amore, che è Dio stesso.

A ciò dobbiamo aggiungere che la bellezza del Vangelo è rappresentata dal suo realismo e questo perché il Vangelo non è affatto un insieme di belle teorie ma un grande tesoro da cui attingere ampiamente per trovare Dio nell’uomo e nel suo peccato. Sì, il peccato diventa il luogo di incontro tra Gesù e l’uomo, non lo dimentichiamo mai! E così la comunità ecclesiale diventa anche il luogo nel quale impariamo a vivere l’amore di Dio che si rivela nella nostra fragilità. Accogliere vicendevolmente queste nostre fragilità, senza nasconderle, diventa la via ordinaria per non impedire all’amore di Dio di rivelare tutta la sua forza. La preoccupazione di Matteo è di mostrare alla sua comunità che le strutture sì, sono necessarie ma esse non possono esaurire l’amore: le regole della convivenza cioè, non possono sostituirsi all’amore.

Come comportarsi allora con persone che credono in Dio ma che purtroppo continuano a peccare? È l’evangelista stesso che ci offre la risposta: tra persone che si amano veramente, non ci si nasconde, non ci si evita, non c’è falsità. “Se il tuo fratello pecca, parla tra te e lui”. Ma alla fine, “se non ascolterà, sia per te come il pagano e il pubblicano” che non significa escludilo, allontanalo, scomunicalo. Ricordiamoci che Gesù è sempre in cerca del pagano e del pubblicano: Gesù scandalizza gli scribi e i farisei perché accoglie i pubblicani e persino mangia con loro.

La comunità cristiana, quindi, è bella perché a prescindere dal suo peccato rimane il luogo in cui vive l’amore di Dio. Essa ha certamente bisogno dell’etica, ma non si chiude nei suoi confini, non dimentica che l’amore è il compimento della legge; essa sa che ha bisogno di autorità, ma a condizione che non si faccia servire ma che serva e che come Cristo doni la vita perché la comunità viva.

di P. Franncesco M. Trebisonda, o.m.

Basilica parrocchiale Sant’Andrea delle Fratte

Santuario Madonna del Miracolo – Roma

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