Jurgen Drescher

A Roma, nel quartiere di San Lorenzo, in via degli Ausoni 18, presso un apparente ordinario palazzo, il 24 maggio 2010  ha visto la luce un piccolo spazio espositivo, il “Franz Paludetto”, diretto dall’ omonimo curatore. L’ idea di innestare un ulteriore, seppur dalle ridotte dimensioni, polo artistico in uno dei quartieri più vivi di fermento culturale (secondo quanto dichiarato da Paludetto alla rivista Exibart) , trova concretezza nel principio della “vetrina”, ossia una sorta  di “emanazione continua”: nonostante il minuto locus, possa, quindi, rimanere chiuso (poiché aperto solo in caso di inaugurazioni o su appuntamento), non si nega a nessuno la possibilità di fruirne, almeno visivamente. Sempre Paludetto ha, inoltre, dichiarato la propria poetica di gestione della vetrina, ossia il vederla come una piccola anteprima di progetti più ampi da sviluppare al castello di Rivara. Dopo Pia Stadtbaumer, il 22 giugno alle ore 18,30 è il momento di Jurgen Drescher, secondo artista tedesco per questo spazio in erba.

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Drescher è un artista tedesco nato nel 1955 a Karlsruhe; attualmente vive e lavora a Berlino. Negli anni 80’, più precisamente nel 1981, muove i primi passi con una prima personale all’ interno del progetto “Erwachet!” (trad. “svegliatevi!”) , che ebbe luogo a Dusseldorf, per mano Reinhard Mucha (suo coetaneo, anch’ egli del 1955 e proprio nativo di Dusseldorf). L’ idea-guida di Drescher è considerare la figura dell’ artista come quella di un elemento inserito nella società e “trasudante”  la medesima;  per questo motivo si impiegano oggetti propri della sfera realeordinaria di ciascun essere umano:  il punto di partenza è, per l’ appunto, il “quotidiano”.  Drescher è legato alla filosofia del panta rei, secondo la quale <<tutto scorre e nulla permane>>, poiché prende tutto ciò che lo attornia e lo “lascia scorrere”, in virtù della propria volontà di sovvertire i canoni estetici: dopo aver scelto, quindi, in modo “onnivoro” di servirsi di precise tecniche, materiali ed elementi che possano – a suo parere- essere idonei a questa volontà rivoluzionaria, lascia che essi si mischino secondo la forma conferita loro da un ordo stabilito dalla Moira o Destino. L’ atto creativo, di per sé stesso, non è altro che limitato al 50% da una scelta significativa e simbolica e, per il restante 50% , dal Fato. I materiali vengono prediletti per la labilità: ecco, quindi, che si vedono entrare in scena commistioni di alluminio e stoffe, per loro propria natura così modificabili nella forma, riflettenti,  in senso ampio,  la natura effimera della vita e, dall’ altra parte, la volubilità dell’ aspetto conferito loro all’ atto d’ esistere. L’ artista vuole, infatti, svolgere un’ indagine, visibilmente venata di malinconia, sul senso di perdita e precarietà della società umana. Ad esempio,  nel 2008, alla prima personale dell’ artista presso la Galleria Suzy Shammah ( via Moscova, MI), intitolata“Wie Heisst?” (trad. “come si chiama?”) ,viene messa in mostra  la percezione del limite tra esistenzaassenza, ossia il concetto di “transitorietà”. Ciò che in primis va compreso come transitorio è il pensiero dell’ essere umano, in continuo movimento evolutivo ed involutivo, tale da dare  luogo ad un’ intricata tela di domande e percorsi mentali, che spesso è causa di cortocircuiti cognitivi, tali da portare  artista (e fruitore) a smarrire la ratio.  E’ nella perdita dei punti di riferimento che si può spiegare il “Wie Heisst?” (trad. “come si chiama?”): gli oggetti che Drescher dispone nello spazio razionale della galleria sono estrapolati dai contesti (spazi e posizioni) che a loro si confanno, come nel caso di “Fund” ( trad. “scoperta”) , altra mostra personale dell’ artista tenutasi  presso la “Mai 36” di Zurigo, nel 2007,  nella quale l’ artista ha presentato una serie di installazioni in modo disparato, quali  uno sgabello, il telaio di una finestra, una porta di sicurezza ed una serie di calchi facciali in alluminio. Tutto ciò che viene esposto ha parvenza di  “frammento del reale! e  si “smarrisce” negli ambienti razionali della galleria. Ne consegue la nascita di un nuovo ordine, o nuova ratio , sperimentale e nel contempo inquietante, poiché transitoria: svuotati del loro nome e della loro identità, diventano sia emblema di una riflessione esistenziale che nuovo “segmento logico” capace di dare risposte all’ apparente disordine logico. Sono in maggior misura simbolo di transitorietà i lavori figurativi di animali svolti da Drescher negli ultimi anni ed i calchi facciali esposti al Mai36: per i primi si intendono le sculture di gorilla, in quanto appartenenti ad  una specie in estinzione ( quindi in bilico tra esisterenon esistere), mentre, invece, i calchi costituiscono la nota più inquietante del suo operato. Trattasi di maschere alluminio, quindi assai malleabili e tali da mutare nelle proprie fattezze, se sottoposte ad una lavorazione: massimo esempio della facilità della perdita di identità per l’ essere umano. Tutto è transitorio ed ambiguo.

Ilaria Baldini

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