Mentre buona parte del mondo è in piena emergenza Coronavirus e la quasi totalità degli eventi e dei campionati sono stati cancellati o sospesi per arginare la diffusione del contagio, nel vecchio continente sembra ancora esistere un’oasi dove la pandemia non ha modificato più di tanto le abitudini di vita della popolazione ed i calendari della stagione sportiva. La Bielorussia.
Il Paese dell’est-Europa è guidato ininterrottamente dal 1994 da Aljaksandr Lukashenko, premier di chiaro stampo conservatore che nel 1991 fu, come da lui dichiarato, l’unico a votare contro lo scioglimento dell’Unione Sovietica.
Ebbene, Lukashenko ha delle particolari (per usare un eufemismo) idee riguardo l’emergenza sanitaria attuale, che ha definito essere semplicemente “una psicosi collettiva più pericolosa del virus stesso”. Proprio per questo ha consigliato alla sua popolazione una sorta di “cura” per superare al meglio questo periodo: sauna, vodka e guidare il trattore.
Le misure di contenimento del contagio adottate, non sono perciò certamente le stesse che vediamo nella maggior parte del mondo. Il campionato di calcio bielorusso è l’unico ancora in corso Europa, con tanto di tifosi sugli spalti che esultano e si abbracciano dopo i gol, ai quali, come sola precauzione viene misurata la temperatura corporea all’entrata dello stadio, oltre ad essere effettuata la sanificazione delle tribune prima e dopo la partita. Nonostante ciò, come era lecito attendersi, nei primi due turni è stato registrato un calo degli spettatori di circa il 50%, sintomo che, anche se il virus non sembra preoccupare le istituzioni, inizia invece a preoccupare i cittadini.
Le tifoserie di due squadre (il Neman Hrodna FC e lo Shakhtyor Saligorsk) hanno già annunciato che non saranno presenti sugli spalti nelle prossime gare, in segno di protesta per la decisione del Governo di far proseguire regolarmente la competizione. “Siamo gli unici in Europa ad andare allo stadio, è assurdo” ha affermato con sconcerto un supporter del Neman intervistato da un giornale locale.
Iniziative che però non sembrano aver fatto minimamente cambiare idea al presidente. Infatti, le dichiarazioni rilasciate dal segretario generale Zhardetski al quotidiano spagnolo Marca non lasciano spazio a molte interpretazioni: “abbiamo deciso di continuare a giocare sulla base dei dati che ci fornisce il Ministero della Salute e dello Sport”, aggiungendo, riguardo alle proteste dei tifosi, che “venire o non venire allo stadio è una loro scelta”. Per ora, quindi, la sospensione del campionato non sembra essere nemmeno presa in considerazione.
Sui motivi per i quali è strada intrapresa questa (discutibile) strada, l’ipotesi più accreditata è quella di un tentativo di far conoscere a tutta Europa il calcio bielorusso, sfruttando il periodo di assenza di ogni altro evento sportivo in tutto il resto del continente e la conseguente “fame” di calcio di molti telespettatori. Del resto, considerato il livello tecnico molto modesto, il campionato in questione non attrae certo un grande numero di appassionati esteri. Probabilmente l’unica volta in cui noi italiani abbiamo visto una partita di una squadra bielorussa è stata quando, in anni diversi, il Bate Borisov ha affrontato Juventus, Milan e Roma in Champions League.
Ed in effetti c’è da dire che la strategia sta, almeno in parte, dando i suoi frutti. In queste settimane la federazione ha infatti già venduto i diritti televisivi della competizione alle Tv di 10 Paesi, tra cui Russia, Israele eIndia. «Quando riprenderà tutto magari non si guarderà solo il campionato inglese o quello italiano, magari anche quello bielorusso ogni tanto» è la speranza del presidente della Dinamo Minsk.
Non serve nemmeno andare troppo indietro nel tempo per osservare un’altra circostanza in cui il calcio bielorusso ha messo in atto una singolare operazione al fine di ritagliarsi il suo posto nella mappa dello sport europeo. Era il 2018 quando la Dinamo Brest decise, per dare lustro alla propria immagine a livello internazionale, di nominare come proprio presidente onorario niente meno che Diego Armando Maradona, mettendogli a disposizione una villa faraonica, auto di lusso e un aereo privato.
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