In cielo abbiamo un comune Padre

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge, ma a dare pieno compimento”(Mt 5,17). Così si apre il Vangelo di questa sesta domenica del tempo ordinario. Ma nei versetti seguenti Gesù sembra contraddirsi, infatti dice: “Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico”. È chiaro che questi versetti sono in contrasto tra loro; ma è proprio così? È bello immaginare Gesù che a Nazareth, nella sua “vita nascosta”, sicuramente legge e scruta la Torah, medita e sfoglia le Sacre Scritture e lo fa non per correggerle o mutarle ma, al contrario, da fedelissimo ebreo quale era, per attuarle e metterle in pratica, come fa “quell’uomo di integra condotta che cammina nella legge del Signore” (Sal 118). Questo è il motivo per cui Gesù può interpretare le Scritture in maniera autorevole, consegnando ad esse non un carattere di schiavitù ma di profonda libertà. Ma la “sua scuola”, diversa da quella degli scribi e dei farisei, non fu mai accettata. Costoro infatti, assegnavano alle Scritture una interpretazione letterale, integralista, confondendo la volontà di Dio in 613 precetti da praticare e da osservare fedelmente. Ecco perché Gesù chiede ai suoi discepoli “una giustizia che superi quella degli scribi e dei farisei” (Mt 5,20), che la superi però non in quantità ma in qualità; è chiaro quindi, che Gesù vuole dai suoi seguaci una sequela senza mezzi termini, radicale; ciò si evince da alcuni esempi che troviamo sia nel Vangelo di oggi che in quello di domenica prossima. Per es., se al comandamento “non uccidere”, si affianca solo l’azione di un omicidio, questo risulta molto restrittivo. Gesù invece, allarga gli orizzonti e considera l’intenzione dell’uomo. In questo caso però l’intenzione è già imbrattata di peccato perché esprime in altri termini ciò che si vorrebbe fare concretamente. Infatti, “con la voce e con il desiderio si commette un omicidio, anche se non si alzano le mani contro il prossimo” (S. Gregorio Magno). Un altro esempio: se invece consideriamo le offese che si arrecano al prossimo, i tanti giudizi, stando nell’ottica di Gesù, forse è meglio non prendere parte all’eucarestia piuttosto che parteciparvi e contraddire con i fatti ciò che si celebra con il rito. Anche questa è radicalità! A proposito di amore del prossimo vorrei portare un esempio: un oggetto si può sempre definire e misurare, ma una persona non potrai mai guardarla così. Dovrai imparare a guardarla come fosse la storia di un fiore: all’inizio un seme, poi un germoglio, poi un filo d’erba, un bocciolo, infine si aprirà quanto più il clima attorno lo invita. E che diremmo in tema di impurità, di adulterio e di divorzio? Veramente dovremmo recidere le nostre membra? No! Questi esempi invece, sono utili per riflettere sul valore alto della sessualità. Chi è veramente colui o colei che con il mio sguardo perverso cerco di intrappolare nella voluttà delle mie sfrenate passioni? Che considerazione ho del mio corpo? Detto in altri termini il Maestro ci propone un lungo percorso per apprendere in maniera graduale l’arte della bellezza, ma anche l’arte di amare e di praticare responsabilmente (e in verità) la propria dimensione sessuale. Gesù infine, fa luce anche sul comandamento “Non giurare il falso”, radicalizzandolo con “Non giurate affatto”. Gesù conosce profondamente la nostra umanità che è fragile, debole. E per non assopire il senso di responsabilità dell’uomo, aggiunge: “Sia il vostro parlare: sì, sì, no, no; il di più viene dal maligno”. Agendo così stronchiamo sul nascere una comunicazione doppia e menzognera che da sempre impedisce una vera comunicazione. Carissimi, come abbiamo visto, continua anche oggi “il discorso della montagna”, intrapreso da Gesù qualche domenica fa. La “legge superiore” a cui fa riferimento Gesù è in definitiva “l’amore”, cioè: riconciliazione, fedeltà, sincerità, perdono, libertà. Si tratta di un atteggiamento “del cuore” – creato dalla stessa fede – che si trova in perfetta sintonia con la volontà del Padre; un atteggiamento “del cuore” che ci dà la possibilità di far crescere sempre più quella convinzione, purtroppo oggi abbandonata, che in cielo abbiamo un comune Padre. Questo atteggiamento “del cuore”, questa fiducia nel Padre, “genera figli che sanno accogliere tutto ciò che il Padre ha preparato per loro”(1Cor 2,9). Vogliamo comprendere in maniera piena tutto il discorso di Gesù? Abbandoniamo la paura di un “Dio che punisce”; mettiamo da parte quell’atteggiamento servile di “padre-padrone” che, purtroppo, alberga anche nel cuore del credente. Carissimi, “la nostra fede è amore, perciò genera gioia. La nostra fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia, perciò crea bellezza” (Romano il Melode, VI sec.), quella stessa Bellezza che, baciata ed accarezzata da Dio, “un giorno salverà il mondo” (Dostoevskij).

Fra Frisina

Foto: cittanuova.it

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