Il gruppo della settimana: D come Dire Straits

a2083255742_10Una leggenda metropolitana racconta che il nome di questa storica band nacque proprio dal suggerimento di un amico di Pick Whiters (batterista), che suggerì il nome di Dire Straits (terribili ristrettezze), con riferimento all’infelice situazione economica in cui il gruppo versava.

Come la maggior parte dei gruppi di successo, infatti, anche la band in questione ha penato non poco per abbracciare il successo.

Molti i concerti nelle sale secondarie e nei pub britannici, ma siamo negli anni del punk (metà anni 70) ed il loro <<pub rock>> a basso volume basato sui virtuosismi chitarristici del più bravo dei fratelli Knopfler (Mark), si distanziava totalmente dal rock leggero e spensierato che impazzava nelle radio, rendendo il gruppo un’anomalia nel panorama musicale del momento.

Si tratta solo di pazientare: i Dire Straits decidono di incidere alcuni demo contenenti le loro composizioni originali, tra cui “Sultans Of Swing”, ed inviarli all’emittente radiofonica locale.

Mandata in onda, la stessa ottiene un successo incredibile tra gli ascoltatori, facendo leva tra le motivazioni della band ad incidere quel disco che darà il via ad una storia di assoluto successo.

Dopo un’esperienza di opening band nella tournée americana dei Talking Heads, nel 1978 esce finalmente il loro primo album, chiamato semplicemente “Dire Straits”.

E’ un disco che coglie di sorpresa un po’ tutti per i toni pacati, le ballate monocordi ma fascinose ed il cavallo di battaglia è senza dubbio proprio “Sultans of Swing”, da sempre hit di successo, impreziosita da un celebre assolo di chitarra elettrica di Mark Knopfler, suonata al pari di un’acustica!

Il successo è enorme, trionfale ed al tempo stesso inatteso. E porta ad una replica forse in parte frettolosa, ma assolutamente vincente: comunque una conferma. Si tratta di “Communique”, del 1979, dove, senza variare di una virgola ritroviamo lunghe ballate dall’incedere tranquillo, dagli ammalianti giri strumentali tra blues e rock. Tra i brani storici di questo lavoro, senza dubbio “Once upon a time in the west” e “Portobello belle”.

Sono gli anni della consacrazione e l’album successivo, “Making movies” del 1980, saluta l’abbandono di David Knopfler, lasciando a 3 il numero dei componenti della band.

Il disco è semplicemente perfetto; lo stile maturato (forse verso forme più folk, country e blues) e la stessa vena del leader del gruppo, Mark Knopfler, denota un passo avanti non indifferente.

“Tunnel of love” è semplicemente un capolavoro, un brano connotato da una forte impronta narrativa paragonabile ad un breve romanzo in musica, il cui testo, molto poetico, tratta temi quali solitudine, incomunicabilità, amore.

Anche qui l’assolo di chitarra finale di Mark Knopfler (circa 2 minuti e mezzo) è stato riconosciuto come uno dei più profondi e commoventi della storia della musica. “Romeo and Juliet”, è un’altra traccia dell’album assolutamente da brividi!

Al quarto atto (siamo nel 1982), con “Love over gold”, la band di Knopfler è una delle più grandi del firmamento rock, con un seguito di pubblico che aumenta a dismisura. Quello schema fortunato di rock d’atmosfera prende sempre più corpo, partendo da una melodia per arrivare a lunghissime divagazioni strumentali di grande effetto.

“Telegraph road”, “Private investigations” e la stessa “Love over gold” hanno in sé qualcosa di struggente che vale la vetta delle classifiche europee. E’ il momento di un test attesissimo che puntuale arriva e sbanca.

Il doppio live “Alchemy” (1984) fa il punto sulla prima parte di carriera, con una scelta dei brani migliori suonati in maniera sempre più introspettiva ed accattivante. Seguito, poi, dal disco della consacrazione commerciale: “Brothers in arms”, primo nelle classifiche di mezzo mondo con oltre 20 milioni di copie vendute, probabilmente grazie [anche] ad una spruzzata di pop praticamente in ogni canzone. “So far away”, “Money for nothing”, “Brothers in arms” e “Walk of life” su tutte e, paradossalmente, parliamo di un bel disco, ma sicuramente non il migliore.

Knopfler & Co a questo punto sono sazi di successo; anzi di più, e le pause tra un disco e l’altro sono sempre più lunghe. Le idee iniziano forse a scarseggiare, ma sembra che questo non rappresenti più di tanto un problema. Prova ne è l’uscita dell’antologia “Money for nothing” nel 1988 con soli 3 inediti, comunque vendutissima.

Nel 1991 esce “On every street”. Si tratta dell’ultimo disco registrato in studio dalla band inglese, che a questo punto, più che band, sembra sempre più essere un redditizio passatempo per Mark Knopfler. Il risultato è un disco vendutissimo solo per inerzia, realizzato con molto mestiere e poco entusiasmo, dove, degne di nota sono il brano che da il titolo al lavoro (“On every street”) e “Calling Elvis”, una ballata in puro stile country. Ma è un disco che manifesta un notevole calo compositivo ed un’evidente stanchezza creativa. Siamo ai titoli di coda.

“On the night” è un live ricavato dal tour mondiale del disco precedente che esce a 2 anni di distanza dall’ultimo lavoro. Poi niente più.

Da allora i Dire Straits sono come <<ibernati>> in attesa, di una, chissà se mai possibile, reunion.

Finisco con un doppio quesito. Cosa sarebbero stati i Dire Straits senza Mark Knopfler?

Non è facile rispondere, ma probabilmente sarebbero stati una buona band di onesto rock’n’roll e niente più.

Cosa sarebbe stato, invece, Mark Knopfler senza i Dire Straits?

Forse qui è più semplice azzardare che, con tutta probabilità, questi sarebbe diventato ugualmente Mark Knopfler.

di Riccardo Fiori 

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