Il cibo degli Dei

cioccolato

Avvertenza dell’Autore: si consiglia vivamente di accompagnare la lettura di questo articolo assapordando  una tavoletta di cioccolato.

Chi resiste al cioccolato?

«Gelato al cioccolato dolce e un po’ salato».

Pochi versi fanno sorridere come quelli della nota canzone di Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, scritti da Cristiano Malgioglio.

Perché se la creatività dei Maestri gelatai ha reso disponibile una vasta gamma di gelati salati, nella nostra geografia del gusto il cioccolato è dolce, anzi è «il dolce» per eccellenza.

Sia esso la copertura di una torta, come nella Torta Sacher, dolce tradizionale viennese fatto conoscere al grande pubblico dalla celeberrima scena di «Bianca» di Nanni Moretti, sia la farcitura dei bignè domenicali, che a Roma si chiamano pastarelle, sia invece la Nutella, la più famosa delle creme al gianduia, il cioccolato è sinonimo di golosità, di strappo alla regola: un detto popolare dice che un pezzetto di cioccolato sta cinque secondi in bocca e cinque anni sui fianchi.

Eppure pochi ingredienti come il cacao, che manco a dirlo arriva dalle Americhe, hanno avuto una trasformazione tanto repentina quanto radicale da parte della cucina europea, ed occidentale in generale,  perché in realtà l’uso che ne facevano i Maya e gli Aztechi era completamente diverso.

Cacao, cioccolata e cioccolato 

Nel linguaggio comune si tende ad utilizzare i termini cacao, cioccolata e cioccolato quasi come sinonimi, ma in realtà si tratta di prodotti e di preparazioni sostanzialmente differenti.

Tutto trae origine dal seme della pianta del cacao (dall’azteco  cacahuatl), la cosiddetta fava, che, una volta essiccata, tostata e tritata risulta completamente amara e nell’uso originario, unita al peperoncino, alla cannella e ad altre spezie veniva disciolta in acqua per preparare una bevanda amara tonificante: la xocolatl.

La prima utilizzazione del cacao fu rituale e medicinale anche in  considerazione del valore intrinseco, piuttosto elevato, delle fave di cacao.

Queste  ebbero tra gli Aztechi  anche una funzione commerciale come moneta di scambio al punto che uno dei nomi occidentali del cacao –  prima che Linneo ne ricavasse, dalla leggenda azteca che vuole questo cibo donato agli uomini dal dio Quetzalcoatl,  il nome scientifico  di Theobroma cacao – era di Amygdalae pecuniariae.

La prima utilizzazione occidentale del cacao, quindi, una volta che i Conquistadores l’ebbero portato in Europa, fu come bevanda: la cioccolata appunto che riecheggia il nome azteco.

Il gusto amaro e speziato, tuttavia, se poteva essere tollerato nell’uso medicinale, non avrebbe certamente incontrato il gusto occidentale e furono i monaci cistercensi del  Monasterio de Piedra di Nuévalos, non distante da Saragozza, i primi a sostituire, a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo, lo zucchero alle spezie trasformando la cioccolata nella bevanda che conosciamo oggi in cui spesso l’acqua è sostituita dal latte o aggiunta ad amidi per conferirle una consistenza cremosa.

Il  XVIII secolo può essere ad ogni effetti considerato l’Età d’oro della cioccolata visto che questa bevanda, sospinta dal gusto e dalla sua fama di alimento salutare,  si diffuse rapidamente tra la nobiltà e gl’intellettuali di tutta Europa.

Da Saragozza a Modica

La naturale instabilità del cacao dopo la tostatura e la tritatura delle fave ne consigliò originariamente la conservazione in pasta aggregata in piccoli panetti: solo nell’800 il chimico olandese van Houten scoprì il modo per ottenere una vera e propria polvere di cacao che è quella che utilizziamo ancora oggi per le nostre bevande al cacao.

Da Saragozza la pasta di cacao migrò a Modica, in Sicilia, allora sotto il dominio spagnolo, dove fu lavorata in modo arcaico ed a bassa temperatura assieme allo zucchero di canna, allora molto diffuso in Sicilia grazie agli Arabi: era nato il cioccolato di Modica dall’aspetto grezzo e dalla consistenza granulosa.

Un prodotto per molti versi più naturale di quello che si consuma abitualmente e che, per la semplicità dei suoi ingredienti (solo pasta di cacao e zucchero in misura variabile) risulta anche più stabile e meno influenzato dagli sbalzi di temperatura.

Per arrivare, tuttavia, alla moderna tavoletta di cioccolato bisognerà attendere alcuni anni  con l’avvento del monopolio commerciale del cacao da parte degli Olandesi e l’industrializzazione della produzione del cioccolato da parte degli inglesi.

Dal cacao al cioccolato

Il cioccolato, detto fondente,  che consumiamo comunemente ha una composizione fatta di pasta di cacao, zucchero e burro di cacao: quell’elemento grasso che ne permette la scioglievolezza.

Anche se come spesso accade vi sono rivendicazioni differenti di paternità, è probabilmente alla famiglia olandese dei  van Houten che, a partire dai primi anni del  1800, si devono il burro di cacao, estratto dalla pasta di cacao con la combinazione del riscaldamento e di mezzi meccanici, e la polvere di cacao all’olandese (tecnicamente denominata «Dutch processed cocoa»  o cacao alcalinizzato), che prevede l’utilizzo di agenti alcalinizzanti correttori di acidità.

La polvere di cacao alcalinizzata si distingue da quella naturale sia per il gusto, che è più morbido e totalmente privo di acidità, sia per il colore rossastro mentre il cacao naturale tende al marrone chiaro.

L’industrializzazione della produzione del ciccolato invece si deve inizialmente ad una fabbrica di Bristol, la Fry’s, che per prima utilizzò le macchine a vapore e che realizzò, per ragioni di packging, le tavolette.

L’industrializzazione ha standardizzato i tre processi base del passaggio dal cacao al cioccolato: concaggio, temperaggio e confezionamento.

Il primo è un procedimento di macinazione a caldo delle fave e dello zucchero nelle cosiddette conche, che rende più fine la miscela di polvere di cacao e di zucchero, il secondo è il raffreddamento che rende luminoso il cioccolato e lo stabilizza.

Infine il confezionamento mediante stampi che ci fa associare per lo più il cioccolato ad una tavoletta.

Cioccolato bianco, al latte, gianduia

L’elevata capacità del cioccolato di combinarsi con i più diversi ingredienti ha fatto sì che sul mercato siano apparsi, oltre al cioccolato cosiddetto fondente, amarognolo,  tre tipi fondametali di cioccolato: il bianco, che è sostanzialmente burro di cacao, il cioccolato al latte, in cui vi è l’aggiunta di latte condensato e che associamo comunemente alla Svizzera, ed il gianduia, nato dalla combinazione del cioccolato con le nocciole e vanto della pasticceria piemontese.

Altri prodotti si sono affacciati sul mercato con alterne fortune come il cioccolato alla menta e quello al peperoncino che in qualche misura riprende la tradizione azteca.

Le possibilità combinatorie sono veramente infinite e così si trova sul mercato anche il «cioccocrusco», un cioccolato realizzato da un’azienda svizzera unendo al cioccolato fondente il peperone crusco della tradizione lucana.

Grande successo hanno inoltre le creme spalmabili che beficiano della naturale attitudine del cacao e del cioccolato ad integrarsi con qualsiasi grasso di origine animale o vegetale, come negli ‘mpanatigghi modicani, i biscotti dolci ripieni di cioccolato di Modica e  carne di manzo.

Tutte le creme spalmabili al cioccolato derivano la loro spalmabilità dall’aggiunta di altri grassi  tra i quali ha iniziato a trovare impiego anche l’olio extravergine d’oliva aprendo un’altra finestra sul gusto visto che le caratteristiche delle diverse varietà di extravergine connotano fortemente il prodotto.

Non solo dolce

Forse l’impiego del cioccolato nelle preparazioni salate non sarà quello del gelato della canzone, ma è certo che esso vanta una lunga tradizione.

Il  cacao, infatti, è entrato a buon diritto, sia come polvere di cacao, sia come cioccolato, in alcune preparazioni ripiene, come i tortelli, nei quali si sposa con la carne e le spezie, in unione con il baccalà e come salsa di accompagnamento delle carni.

La preparazione salata più nota in cui trova impiego il cioccolato è comunque il Dolceforte, uno spezzatino di cinghiale tipico della tradizione toscana medievale in cui il miele è stato progressivamente sostituito dal cioccolato.

Il cioccolato  è entrato poi, nella ricetta del ristorante «Checchino dal 1887»,  nella popolarissima coda alla vaccinara regina del cosiddetto quinto quarto della cucina romanesca.

Un utilizzo inconsueto del cioccolato è quello che ne fanno i Fratelli Papalotti de «La bottega delle carni» di Roma che impiegano il cioccolato fondente come glassa di copertura per la maturazione a temperatura controllata della picanha, un taglio particolarmente indicato per il barbeque: la carne  cruda infatti, una volta asciugata, viene rivestita di una spessa glassa di cioccolato fondente, protetta da una pellicola alimentare e lasciata a maturare per circa trenta giorni ad una temperatura vicina allo zero, al termine dei  quali viene liberata dalla glassa da cui ha assorbito quegli aromi che restituirà in cottura.

Sculture di cioccolato

La versatilità del cioccolato ne ha fatto il protagonista di un vero e proprio movimento artistico-culinario che ha probabilmente il suo massimo esponente nello Chef Ernst Knam, tedesco di nascita e milanese d’adozione, Maestro Pasticcere e Re indiscusso, anche grazie alla notorietà televisiva, delle sculture di cioccolato.

Oggetti di grande impatto visivo resi possibili, oltre che dall’abilità e dall’estro dei Maestri Pasticceri, da un’ulteriore versione del cioccolato: il cioccolato plastico che si realizza con due parti di cioccolato ed una di glucosio.

La pasta ottenuta può essere modellata a piacere al pari della pasta di zucchero, all’occorrenza con l’uso di stampi fatti di gomma siliconica alimentare. 

Per l’assemblaggio si utilizzano delle colle alimentari e per la decorazione finale i più diversi coloranti alimentari.

Ovviamente il gusto non è quello classico del cioccolato, ma questa  è una inevitabile concessione all’estetica.

Gli Aztechi (e le nostre mamme)  avevano ragione

La comunità scientifica internazionale è ora concorde nel riconoscere al cioccolato fondente, preferibilmente con una percentuale di cacao superiore al 70%, ma comunque non inferiore al 45%, indubbi effetti benefici  soprattutto grazie ai flavonoidi del cacao dalle indiscusse proprietà antiossidanti.

Un uso moderato del cioccolato giova al sistema cardiovascolare, combatte lo stress e la depressione, fornisce un elevato apporto energetico ed ha, grazie ad una minima percentuale di caffeina, effetti eccitanti.

Il cioccolato fondente contiene triptofano, che stimola la produzione di serotonina, detta  anche l’ormone del buonumore e della felicità. 

Esso contiene inoltre l’anandamide, una sostanza  che stimola le difese immunitarie, aumenta i livelli di attenzione e di concentrazione, migliora l’umore.

Avevano ragione allora le nostre mamme e le nostre nonne a metterci nella cartella una tavoletta di cioccolato per affrontare al meglio un compito in classe, un  esame o un’interrogazione!

Dal 1937 il cioccolato americano, la United States military chocolate, divenne parte della razione militare statunitense  ed i filmati d’epoca restituiscono le immagini della popolazione civile liberata dagli Alleati durante la sanguinosa risalita dell’Italia e che beneficiava delle tavolette di cioccolato donate dai militari statunitensi a cui veniva fornita per aumentarne l’efficienza.

Ce n’è abbastanza allora per placare i sensi di colpa che accompagnano l’assunzione di ogni dolce e semmai dovessero sorprendervi, in una importante riunione di lavoro, a sgranocchiare una golosa tavoletta di cioccolato potrete sempre giustificarvi affermando che state solo curandovi.

Foto di jacqueline macou da Pixabay

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