I Malavoglia e i loro naufragi

La vicenda che Giovanni Verga descrive in I Malavoglia è emblematica di quanto possano essere devastanti gli effetti di un imprevisto. In realtà nel romanzo gli imprevisti sono due, e sono strettamente legati l’uno all’altro. Il primo è la chiamata alla leva militare del giovane ‘Ntoni. Il secondo la tragica morte in mare del capo famiglia Bastiano, detto Bastianazzo, che si era messo a commerciare lupini per sopperire alla mancanza del figlio. La guerra e il mare inghiottiscono tutti gli uomini ancora in forze della casa del nespolo, dove vivono i Toscano detti Malavoglia.

Il ciclo dei vinti

Sono due diversi tipi di naufragi in cui non si trova nessuna dolcezza leopardiana, ma solo l’amarezza del progresso che come una fiumana inarrestabile avanza e distrugge tutto ciò che si trova davanti. È questo il senso del titolo Il ciclo dei vinti, progetto letterario ambizioso, poi rimasto incompiuto, ideato da Verga per indagare gli effetti del progresso in ogni strato della società.  

Ogni ceto, scontrandosi con il progresso, ha i suoi sconfitti (i vinti, appunto). Nel primo libro del ciclo, i vinti sono proprio i Malavoglia. Sono gli ultimi rimasti di una stirpe che un tempo era numerosa «come i sassi della strada vecchia di Trezza». Il segreto della loro sopravvivenza sta nella loro compattezza: «Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron ‘Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso: – Per menare il remo bisogna che le cinque dita si s’aiutino l’un l’altra».

L’inizio della fine

In effetti i Malavoglia sono come le dita della mano: il dito più grosso è Padron ‘Ntoni (il nonno), poi c’è il padre Bastianazzo, la madre Longa e i cinque figli, l’uno diverso dall’altro ma tutti fondamentali per la sopravvivenza della famiglia. Per questo Padron ‘Ntoni al momento della partenza del nipote più grande (‘Ntoni anche lui) non ha parole, proprio lui che non fa che dispensare perle di antica saggezza attraverso vecchi proverbi. Qualcosa gli suggerisce già che il mondo che ha sempre conosciuto è vicino al tramonto, e gli alibi che si crea non bastano a cancellare questa sensazione struggente.

Se la notizia della partenza del nipote giunge come un fulmine a ciel sereno, la morte di Bastianazzo colpisce sotto forma di tempesta: «Dopo la mezzanotte il vento s’era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero i gatti del paese a scuotere le imposte. Il mare si udiva mugghiare attorno ai faraglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S.Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda». È una brutta domenica di un «settembre traditore», scrive Verga. Traditore come il Giuda dall’anima nera e come il progresso che abbaglia e cancella tutto ciò che ormai è considerato obsoleto. Traditore come anche il mare che ai Malavoglia ha sempre dato da vivere e all’improvviso ha deciso di riprendersi tutto.

La Provvidenza

Bastianazzo insieme a Menico della Locca sono salpati il sabato. Le frasi che descrivono la partenza hanno già il sapore dell’addio: «Menico della Locca, il quale era nella Provvidenza con Bastianazzo, gridava qualche cosa che il mare si mangiò. – Dice che i denari potete mandarli a sua madre, la Locca, perché suo fratello è senza lavoro; aggiunse Bastianazzo, e questa fu l’ultima parola che si udì». Un testamento involontario quello del figlio della Locca. L’ultima parola che Bastianazzo pronuncia nell’enunciarlo è lavoro. Il lavoro che sta al centro della vita dei Malavoglia, la fatica costante che per antitesi ha determinato il loro soprannome. 

Un’altra parola importante nel libro è Provvidenza. Così si chiama la barca di Bastianazzo. Si tratta di un modesto natante che è metafora della forza divina che ha sempre protetto la casa del nespolo. Affondata la barca, anche la divina provvidenza sembra abbandonare i Malavoglia. Subentra un fato indifferente e ineluttabile che pensa solo a fare il suo corso e calpesta senza pietà la loro quotidianità di famiglia laboriosa e onesta. Un destino crudele che si realizza nei giovani Malavoglia ‘Ntoni e Lia. I due invece di tramandare la tradizione contadina e marinaresca della famiglia, lontano da Aci Trezza si perderanno tra i tentacoli della moderna città-piovra. 

La minaccia del progresso

Utilizzando la tecnica dell’impersonalità e l’espediente dello straniamento, Verga lascia che i fatti narrati in I Malavoglia esprimano da soli una chiara polemica anti-positivista e, al tempo stesso, l’amara consapevolezza che il progresso non si può fermare. Non c’è nessun commento in prima persona da parte del narratore. I Malavoglia sono mossi da fili invisibili nella cornice di una Aci Trezza sempre più cinica e pettegola in mezzo a cui, per la loro buona volontà, appaiono come specie in via d’estinzione.

Attraverso loro – in particolare la Longa e Padron ‘Ntoni – l’autore miticizza una vecchia Sicilia fatta di contadini, proverbi e piccoli pescherecci, che è destinata a perire sotto i colpi dell’industrializzazione. Sa che scomparirà, quindi vuole conservarla almeno su carta come bucolico nido traboccante di affetti sinceri che i tempi, come grossi rapaci, hanno saccheggiato e buttato giù dal ramo. 

Fonte foto: lanternaweb.it

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