Habemus Complottum. Il nuovo Papa, l’Antipapa e l’antica arte di vedere il falso

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Appena si è diffusa la notizia della morte di Papa Francesco, le tastiere dei teorici della cospirazione hanno iniziato a fremere. Alcuni hanno sostenuto che fosse ancora morto da almeno due mesi, altri che fosse stato sostituito da un sosia. Neanche il tempo di celebrare le esequie, che già si diffondeva il sussurro (poi urlato): “Leone XIV è un antipapa”. Si parla di irregolarità nel conclave, di cardinali non aventi diritto al voto, di simboli papali alterati (come il sigillo con le chiavi aperte) e persino di un presunto “Munus Petrinus” mancante. Ma cosa c’è di vero in tutto questo?

Che cos’è davvero un antipapa: legittimità, successione e crisi dell’autorità ecclesiastica

Nella tradizione della Chiesa cattolica, la figura dell’antipapa non è frutto di simpatie o avversioni personali. Non nasce dalla popolarità o dall’impopolarità di un pontefice, né dall’adesione emotiva o ideologica di un gruppo di fedeli. È un fatto giuridico e canonico. Si definisce “antipapa” colui che rivendica il trono di Pietro senza averne titolo legittimo, spesso con l’appoggio di una parte della gerarchia ecclesiastica o del potere temporale, ma in opposizione a un pontefice canonicamente eletto e riconosciuto dalla Chiesa universale.

È accaduto diverse volte nella storia. Dal III al XV secolo si sono registrati numerosi casi di antipapi: basti pensare a Felice V, l’ultimo ufficialmente riconosciuto come tale, durante le turbolenze ecclesiologiche del Concilio di Basilea. Più celebre ancora fu il caso di Clemente VII, che da Avignone, nel pieno del Grande Scisma d’Occidente, contese il soglio pontificio a Urbano VI, generando una frattura profonda nella cristianità latina, che per quasi quarant’anni si trovò lacerata da una duplice – e talora triplice – obbedienza.

Condizione necessaria per l’esistenza di un antipapa

La figura dell’antipapa, dunque, presuppone due condizioni: che esista un pontefice legittimo in carica, o che l’elezione dell’altro sia inficiata da vizi gravi, tali da renderla nulla o invalida. In assenza di queste condizioni, parlare di antipapa è improprio, se non del tutto privo di fondamento. Non basta che il “Vescovo di Roma” venga considerato “eretico”, “inadatto” o “divisivo” da una parte dei fedeli o del clero. Non basta che si prendano a pretesto segni, simboli o omissioni liturgiche per dichiarare illegittima un’elezione. 

Ma chi sono i recenti bersagli dei “complottisti”? Il primo è Bergoglio; il secondo, il neo eletto Leone XIV. Cerchiamo di capire meglio e di sfatare qualche mito.

La rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco

Nel 2013, Papa Benedetto XVI ha rinunciato al ministero petrino con un atto libero, pubblico e conforme al diritto canonico, secondo quanto previsto dal canone 332 §2. Il conclave che seguì, e che portò all’elezione di Jorge Mario Bergoglio con il nome di Francesco, si è svolto in piena conformità alle norme ecclesiastiche, e l’elezione è stata accettata e riconosciuta dalla Chiesa universale, senza alcuna contestazione formale. La scelta di Benedetto di restare in Vaticano con il titolo di Papa emerito, pur indossando abiti bianchi e mantenendo una presenza discreta, ha suscitato interrogativi, ma non ha in alcun modo messo in discussione la legittimità del successore.

Papa Francesco, a sua volta, ha deliberatamente scelto un profilo di essenzialità e sobrietà, rinunciando ad alcuni segni esteriori del pontificato – come la mozzetta rossa – per sottolineare la dimensione pastorale del suo ministero. Tuttavia, ogni piccolo dettaglio, ogni scelta inconsueta o simbolo atipico, è stato interpretato dai fautori delle teorie complottiste come un indizio malcelato di una verità più profonda e taciuta: che Francesco non fosse un vero papa.

La morte di Papa Francesco e la nuova fase della successione

Ora, tuttavia, lo scenario è mutato. Con la morte di Bergoglio, evento che ha segnato profondamente la coscienza ecclesiale e mondiale, la questione della legittimità papale si riapre non in astratto, ma nei fatti. La scomparsa del pontefice ha posto fine a un’epoca, e ha aperto lo spazio per un nuovo discernimento ecclesiale. Ed è in questo contesto che si è affacciata la figura di Leone XIV, altro bersaglio delle teorie più strampalate.

Prevost definito un antipapa dai complottisti. Perchè?

Se non vi è altro pontefice in vita, e se davvero il conclave precedente si è sciolto con la morte di Francesco, su quali basi si fonda questa accusa?

La risposta richiede ordine, metodo e rigore. Per essere considerato papa, un uomo deve essere eletto da un conclave regolare di cardinali, secondo le norme del Universi Dominici Gregis promulgato da Giovanni Paolo II (1996), o da un atto ecclesiale legittimo e riconosciuto. Se l’elezione di Leone XIV è avvenuta al di fuori di tale cornice, o per via di una designazione non conforme, allora si apre il campo alla contestazione giuridica della sua legittimità. Ma occorre verificare con precisione i fatti: chi ha convocato l’elezione? Chi ha partecipato? Quali condizioni canoniche sono state rispettate o violate?

Le fonti ufficiali

Secondo quanto comunicato ufficialmente, al conclave che ha eletto Prevost hanno partecipato 135 cardinali elettori, un numero che supera la soglia dei 120 indicata da Paolo VI ma che è già stato superato in conclavi recenti.

La soglia, infatti, non è dogma né legge divina, ma prassi modificabile. La costituzione apostolica ammette la possibilità che il numero dei cardinali vari, e la prassi recente lo conferma.

Ciò che importa è che abbiano diritto al voto solo i cardinali sotto gli 80 anni, validamente creati da un pontefice legittimo. Ora: abbiamo certezza assoluta che ciò sia avvenuto? No. Perché — come avviene da secoli — il conclave si svolge in segreto, e i suoi atti non sono pubblici. Non è una macchinazione: è la tutela spirituale di un momento sacro.

Ma da qui a dire che alcuni votanti erano “abusivi” ce ne passa. È come dubitare della consacrazione eucaristica perché non abbiamo visto da vicino il calice. Il diritto canonico funziona sulla presunzione di validità, salvo prova contraria. Che non c’è.

Definire oggi Leone XIV un antipapa, senza prima aver accertato i dettagli della sua investitura, significa ricadere nel medesimo errore che per anni è stato commesso contro Francesco da parte di coloro che ne mettevano in dubbio la validità sulla base di simboli, percezioni o teorie.

Il “Munus Petrinus” della discordia

Altra perplessità degli ossessionati del complotto è il “Munus Petrinus”, cioè l’ufficio conferito al papa come successore di Pietro, nella pienezza della sua autorità spirituale e giurisdizionale.

Utile innanzitutto precisare che questo termine non indica una semplice funzione amministrativa (il ministerium), ma del dono spirituale e istituzionale con cui Cristo stesso, attraverso la mediazione della Chiesa, affida a un uomo l’onere e la grazia del governo universale. È dunque il Munus Petrinum a rendere il papa tale, e non l’apparenza, il consenso popolare o i simboli esteriori.

Detto questo, le tesi complottiste secondo cui Benedetto XVI non avrebbe rinunciato al munus, ma solo al ministerium, e che dunque Francesco sarebbe stato un “usurpatore” del solo esercizio visibile del pontificato, si fondano su interpretazioni capziose del testo latino della rinuncia. In realtà, la dichiarazione di Ratzinger pronunciata l’11 febbraio 2013, afferma esplicitamente: “declaro me ministerio Episcopi Romae… renuntiare, ita ut a die 28 Februarii 2013, hora 20, sedes Romana, sedes Sancti Petri, vacet.” L’uso del termine ministerium non esclude affatto la rinuncia al munus, che infatti si realizza nella vacanza della sede apostolica, riconosciuta e ratificata dal Collegio cardinalizio, sempre secondo la normativa del Codice di Diritto Canonico (can. 332 §2). Nessuna autorità canonica ha mai messo in dubbio la validità dell’atto, né Benedetto XVI ha mai rivendicato una qualche forma di pontificato “spirituale” parallelo.

Ora, venendo a Leone XIV, alcuni commentatori — più o meno legati a correnti tradizionaliste — hanno sollevato l’obiezione speculare: se la proclamazione del nuovo papa non menziona esplicitamente il conferimento o l’assunzione del Munus Petrinum, può dirsi effettiva? Oppure siamo di fronte a una figura che esercita il ministerium — cioè l’apparenza del governo — senza possedere il fondamento spirituale e sacramentale che lo rende autentico successore di Pietro?

Dubbi, perplessità e domande: Papa o Antipapa?

A questa domanda non si può rispondere con illazioni, sospetti o suggestioni mediatiche. La Chiesa cattolica dispone di strumenti precisi per accertare la validità di un’elezione papale: la sede vacante viene riconosciuta dal Collegio cardinalizio; il conclave viene celebrato secondo le norme della costituzione Universi Dominici Gregis; l’eletto accetta liberamente l’incarico, assumendo il nome pontificale. In quel momento — e non altrove — avviene la traslatio dell’autorità: è lì che il Munus Petrinum si compie.

Se anche in questa occasione tutto ciò è avvenuto secondo le norme, e non risultano vizi canonici nell’elezione di Leone XIV, allora ogni dubbio dev’essere curato non con supposizioni personali, ma con la fiducia nel sensus fidei e nel magistero della Chiesa. Ed è la Chiesa, nel suo discernimento sapienziale, a garantire la legittimità del successore di Pietro. Non i blog, non i forum anonimi, non i proclami di sedicenti teologi indipendenti, non il sospetto elevato a dogma.

E allora il sigillo? Le chiavi aperte? Il mistero del simbolo?

Ah, le chiavi. Le famose chiavi “aperte”. Lo stemma papale prevede da secoli due chiavi incrociate, una d’oro e una d’argento, a simboleggiare il potere spirituale e quello temporale, conferiti da Cristo a Pietro: “A te darò le chiavi del Regno dei cieli” (Mt 16,19).

La disposizione dello stendardo può variare leggermente — le chiavi possono essere parallele, inclinate, incrociate — senza che questo alteri il significato teologico. Insomma, non esiste un dogma sulla loro posizione. L’accusa che lo stemma di Leone XIV presenti le chiavi “aperte” (cioè non incrociate) è semplicemente una lettura araldica iperletteralista e infondata. La legittimità del suo ministero è infatti un atto spirituale e canonico, non grafico.

Un’elezione pilotata?

Un’ultima considerazione, che si impone con la forza dell’intelligenza critica e del discernimento ecclesiale, riguarda una delle più recenti e pittoresche teorie complottiste circolate attorno all’elezione di Prevost. Secondo questa narrazione, il nuovo pontefice sarebbe stato eletto grazie a una manovra orchestrata negli Stati Uniti, con il diretto coinvolgimento dell’ex presidente Donald Trump, che avrebbe versato — secondo versioni discordanti — una somma variabile, a volte citata come 14 milioni di euro (non ufficialmente confermata dal Vaticano), destinata alla costruzione o decorazione della tomba di Papa Francesco, ma in realtà mirata a condizionare la composizione del Sacro Collegio o a ostacolare l’ascesa del cardinale Scardina, figura considerata invisa a certi ambienti conservatori.

Questa tesi, come molte altre costruite attorno a eventi ecclesiali di grande rilevanza, si nutre di elementi parziali, omissioni volontarie e collegamenti arbitrari. Si mescolano nomi, cifre, dichiarazioni decontestualizzate e gesti simbolici, al fine di suggerire un retroscena geopolitico e massonico in cui l’elezione papale non sarebbe che una mossa in un più ampio scacchiere internazionale dominato da élite secolari. Ma ciò che colpisce, oltre alla fragilità probatoria di tali ipotesi, è la loro incapacità di cogliere la complessità interna alla Chiesa stessa. Infatti, anche ammesso — per amor di discussione — che esistano pressioni esterne o influenze indirette, nessun versamento, nessuna lobby, nessun potere temporale può determinare da solo un’elezione papale senza il libero e concorde consenso dei cardinali riuniti in conclave. 

Un “Leone” prudente

Inoltre, vi è un elemento che smentisce sottilmente la tesi di un “papa di Trump”: Leone XIV, almeno finora, non ha manifestato né un orientamento apertamente trumpiano, né uno stile sovrapponibile alle figure tipiche dell’ultradestra americana. Anzi, da alcune sue prime dichiarazioni, si intravede piuttosto il tentativo di tenere insieme sensibilità tradizionali e prudenza pastorale, senza aderire a posizioni ideologiche nette. Se davvero Trump avesse voluto imporre un suo candidato, probabilmente avrebbe preferito una figura ben più militante, più riconoscibile nella sua griglia politica, e non un uomo la cui elezione può essere letta — semmai — come un compromesso tra anime diverse della Chiesa, comprese quelle favorevoli a un riavvicinamento diplomatico tra Roma e Washington, ma senza cadere nell’identificazione acritica tra potere spirituale e potere secolare.

L’ipotesi, insomma, resta nel limbo delle suggestioni mediatiche. 

Ovviamente, nella storia della Chiesa, molti papi sono stati eletti in contesti segnati da pressioni, tensioni, intrighi. Ma ciò che la rende unica, nel tempo e oltre il tempo, è la capacità di sopravvivere — e purificarsi — anche attraverso le ambiguità dei suoi passaggi storici. È questa fedeltà alla verità profonda del Vangelo che salva la Chiesa, non la trasparenza presunta dei suoi processi. E forse, in questo tempo confuso, dovremmo ricordarlo con maggior fervore

Insomma la teologia non è un forum, la successione apostolica non è un blog.

L’elezione di un Pontefice è un evento spirituale e teologico di portata mondiale. Che un’orda di improvvisati inquisitori da tastiera si arroghi il diritto di dichiarare “antipapa” un uomo eletto secondo le leggi canoniche, significa una sola cosa: la crisi non è nella Chiesa, ma nella cultura.

Foto di John Hain da Pixabay

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