Cassazione e Calciopoli: la strana giustizia italiana

IMG_3132.JPGBene, con una sentenza inaspettata la Cassazione ha chiuso il processo Calciopoli, quello riguardante Moggi, Giraudo, Designatori Federali ed Arbitri, perché i tempi erano entrati in prescrizione.

Dopo nove anni di indagini e processi (sportivi e ordinari), lo scandalo che nel 2006 ribaltò il calcio italiano va in archivio con una sfilza di prescrizioni che evitano altrettante condanne, qualche assoluzione nel merito e appena una condanna definitiva.

Insomma questo processo si è risolto che dei 36 imputati iniziali (7 arbitri, più Paparesta la cui posizione però venne stralciata subito) il solo De Santis (che aveva rinunciato alla prescrizione) viene condannato ad 1 anno (con pena sospesa). Luciano Moggi (foto) e Antonio Giraudo sono prescritti ma non assolti, come Mazzini e Pairetto. Bertini e Dattilo, gli altri due arbitri che non si erano avvalsi della prescrizione, ne escono invece più che puliti: la sentenza di condanna nei loro confronti è stata annullata. In sostanza, Calciopoli penalmente è stato affare di due arbitri: oltre a De Santis, Racalbuto, prescritto in Appello.

L’impianto accusatorio che ha sostenuto le sentenze dei primi due gradi di giudizio poggiava sostanzialmente su un passaggio chiave: le sim svizzere date in dotazione ai membri dell’associazione (e a molti arbitri, definiti dal p.g. “di famiglia”) servivano a dare tutte le disposizioni utili a ottenere certi risultati.

Questo impianto sostanzialmente ha retto fino alla fine: a parte un paio di “capi” di frode sportiva di cui anche Moggi è stato sgravato, l’ex direttore generale della Juventus si è visto negare il proscioglimento nel merito in relazionali e all’associazione a delinquere aggravata, (per cui in Appello era stato condannato a 2 anni e 4 mesi), per la quale nel frattempo è sopraggiunta la prescrizione.

Restano da definire i risarcimenti alle parti civili, cioè a squadre come il Bologna, Atalanta ecc. che si sentirono defraudate dal comportamento dei designatori e dagli altri soggetti.

Ci sono voluti nove anni per chiudere un simile processo e tre gradi di giudizio e questo dimostra l’abnorme lentezza del nostro sistema giudiziario.
In realtà sia Moggi che Giraudo erano stati condannati , ma la lunghezza del processo ha fatto si che pur dichiarati colpevoli e condannati, alla fine la pena era prescritta.

  • Quindi? Tutto il resto è noia. Moggi continuerà a dire che lui era innocente, che era tutta una bufala, che il campionato era regolare, che le vittorie erano state ottenute sul campo. Gli accusatori sosterranno il contrario, veleni su ogni partita o arbitraggio “controverso” riapriranno le antiche ferite.

Certo in fondo era un processo più mediatico, su una possibile truffa, nulla alla fine di veramente serio, anche se come si sa dietro il gioco del calcio girano affari di milioni di euro.

Al di fuori del caso c’è l’ennesima dimostrazione che da noi la giustizia non funziona, ha tempi biblici, soprattutto in considerazione di come per ottenere una sentenza definitiva bisogna attendere ben tre gradi di giudizio, che, se in alcuni casi possono essere la salvezza per l’imputato, in altri sono la prova che se si è bravi si riesce facilmente a sfuggire alle condanne.

Insomma in termine calcistico possiamo dire che la questione Moggi-Arbitri si è risolta con un pareggio, che ha scontentato tutti, ma per l’amministrazione della giustizia un cartellino rosso è di prammatica.

Vista cosi la cosa non ci consola, ma almeno ci fa sorridere. In fondo il calcio è il gioco più bello del mondo. Accontentiamoci.

di Gianfranco Marullo

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