Cambiamenti climatici e migrazione

I cambiamenti climatici e il degrado ambientale rientrano nel più ampio concetto di cambiamento ambientale secondo le definizioni fornite dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (2014).

Pur essendo anche il risultato di processi naturali, le attività antropiche sono ormai scientificamente riconosciute come la principale causa dei disastri meteorologici cui stiamo assistendo su scala globale. Il fenomeno si traduce in una riduzione delle capacità del nostro pianeta di soddisfare bisogni sociali ed ecologici, vitali per l’uomo. La sua minaccia rischia di provocare lo sfollamento di oltre 140 milioni di persone in tutto il mondo entro la metà di questo secolo.

Clima, una minaccia multipla

Il nesso esistente tra cambiamenti climatici e migrazione è oggetto di numerose ricerche scientifiche, reportage e dibattiti internazionali. Il fenomeno migratorio è una realtà complessa, estremamente difficile da  monitorare nel tempo; ancor più problematico è stabilire se e quando il cambiamento ambientale ne è il motore principale o una sua aggravante.

Numerosi studi considerano i fattori di spostamento come una complessa sovrapposizione di indicatori sociali, politici e ambientali, in particolare legati a pericoli a insorgenza lenta come siccità, penuria d’acqua, desertificazione, erosione costiera e degrado del suolo. É quindi facile immaginare come nel Corno d’Africa e nella regione del Sahel, ad esempio, una combinazione di conflitto e perdita di mezzi di sussistenza attribuita alla diminuzione dei pascoli e alla perdita di bestiame continui ad essere la prima causa di sfollamenti.

A livello globale, i migranti ambientali provengono principalmente dall’Asia sud-orientale e dal Pacifico; i dati rivelano che quasi due terzi degli spostamenti interni sono stati provocati da catastrofi ambientali (61%). Esempio di rilevanza contemporanea è la guerra civile nello Yemen, dove conflitti, disuguaglianze di genere e scarsità di risorse indotta dai cambiamenti climatici hanno ridotto un’intera popolazione alla fame. Questa penisola, sull’orlo del baratro e della carestia, incarna una fatale convergenza di fattori ambientali, politici e sociali.

Alla luce di queste relazioni, si tende a riconoscere il cambiamento climatico come un “moltiplicatore di minacce”.

La geopolitica delle risorse

Secondo il Global Risk Report (2019) del World Economic Forum, le crisi idriche sono tra i 5 rischi più rilevanti in termini di impatto a livello globale, dopo armi di distruzione di massa, fallimento delle misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi (inondazioni, tempeste, ecc).

Un rapporto intitolato “Il ruolo dello stress idrico nell’instabilità e nei conflitti” (CNA, 2017) ha rilevato che la penuria d’acqua può essere causa di un ampio spettro di conflitti, tra disordini civili, violenze localizzate, sfruttamento e giogo politico da parte di attori non statati e paramilitari, gruppi di ribelli ed estremisti.

Solo nel 2017, l’oro blu e la corsa al suo accaparramento sono stati uno dei principali fattori di grave conflittualità in almeno 45 paesi, tra cui la Siria. L’acqua è, infatti, da sempre una risorsa contesa, in particolare nelle aree dove le fonti idriche sono condivise tra più paesi confinanti. Questa può facilmente diventare oggetto di stratagemmi politici, usati dai gruppi armati allo scopo di ottenerne il controllo, distruggerne o reindirizzarne l’accesso. Come in tutti i conflitti, a pagare lo scotto è sempre e solo la popolazione coinvolta; ne è un triste e noto esempio la città di Aleppo, nella crisi siriana.

Definizioni e quadro giuridico

Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite del 1951, può richiedere lo status di rifugiato “chiunque si trovi nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”. Non è quindi contemplata la componente climatica tra i motivi validi per chiedere il riconoscmento dello suddetto status.

In assenza di una definizione internazionale legalmente accettata, l’IOM (Organizzazione Internazionale per la Migrazione) nel 2007 ha deciso di adottare la definizione di “migranti ambientali” riconoscendoli come “persone o gruppi di persone che, perlopiù a causa un improvviso o progressivo cambiamento nell’ambiente che influenza in modo avverso le loro vite o le loro condizioni di vita, sono obbligate o scelgono di lasciare le proprie case, in modo temporaneo o permanente, e che si muovono all’interno del proprio paese o vanno all’estero”.

Alla luce di quanto emerso, il quadro internazionale garantisce una protezione solo parziale a questa categoria di sfollati. Non mancano esempi di nazioni che intendono adottare un approccio proattivo. La Nuova Zelanda ha annunciato la sperimentazione di un visto speciale per i migranti climatici proveniente dalle Isole del Pacifico. In caso di successo, ciò potrebbe costituire una svolta e pertanto un valido precedente nel quadro della decisione in oggetto.

Legale o morale

Lo stato attuale solleva un problema morale oltre che giuridico. La complessità del fenomeno pone una serie di interrogativi riguardo all’individuazione dei soggetti che possono essere ricondotti alla categoria di rifugiati climatici. Sul piano strettamente giuridico è ancora improprio l’utilizzo del termine ‘rifugiati’ per identificare coloro che fuggono dal degrado ecologico e dai suoi effetti devastanti.

Il circoscritto e discrezionale riconoscimento a loro riservato genera un deficit di tutele che è tutt’oggi nocciolo di domande senza risposta. Concedere lo status di rifugiato climatico rafforzerebbe, da un lato, l’attenzione internazionale e aumenterebbe la quantità di risorse destinate alla sua gestione; dall’altro significherebbe allargare – quindi accogliere – la fetta dei migranti aventi diritto ad una tutela. La necessità di ripensare lo status di rifugiato in modo da comprendere le questioni climatiche e ambientali si scontra quindi con il rifiuto da parte della comunità internazionale di concepire provvedimenti idonei ad una forma di protezione specifica.

Mentre i flussi migratori e i numeri di clandestini occupano le prime pagine dei giornali, la migrazione climatica resta una realtà sottostimata e poco conosciuta. Nel frattempo, un numero sempre crescente di migranti fugge da territori resi in ospitabili dall’uomo stesso.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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