La fortuna di Dante, il suo mito e l’eredità della sua massima opera, la Divina Commedia, non smettono mai di stupire e il costante successo di pubblico che accompagna le numerose manifestazioni che riguardano il grande fiorentino si succedono anno dopo anno. Solo per fare alcuni recenti esempi, in occasione della recente serata conclusiva del premio letterario Vallombrosa l’attore britannico Ralph Fiennes ha recitato tre canti dell’Inferno dantesco, mentre per l’Estate Fiorentina è stata programmata la rassegna “All’improvviso Dante – Cento canti per Firenze”, con una staffetta di oltre ottocento pubblici lettori. Oppure ancora la declamazione in diretta streaming del cantante Morgan di alcuni canti della Commedia nella Fabrica di Benetton, o persino l’interesse del Consiglio comunale di Ravenna che si sta interrogando sull’opportunità di riesumare i resti del Poeta per affidarli allo studio dell’Università di Bologna. Di tutti i contemporanei interpreti e divulgatori di Dante il più celebre è ovviamente l’attore premio Oscar Roberto Benigni. Anche recentemente il comico si è esibito in una lettura del Purgatorio durante la cerimonia di consegna del Premio Mario Luzi al “Teatro Valle” di Roma. Più che quest’ultima occasione, però, non può che tornare alla memoria l’ultimo spettacolo di Benigni su questo specifico argomento: quel “TuttoDante”, conclusosi nel 2009, che per anni ha girato in tutta Italia, mietendo grandi successi di pubblico. Questo interesse che da più parti è rivolto verso l’opera del Poeta non può non indurre ad una riflessione ad ampio spettro su alcuni temi che dovrebbero riguardare tutti coloro che si interessano di cultura e di società, nelle accezioni più ampie dei termini: quale è il ruolo effettivo che la televisione svolge attualmente nel panorama culturale italiano? Quale è la funzione esercitata dagli attori, in particolare i comici, nella nostra società? Quale è il reale grado di attualità di un poema imponente (e per molti versi “ingombrante”) come la Divina Commedia? Non abbiamo certamente l’intenzione di rispondere qui e in poche righe a questioni che, al contrario, occuperebbero pagine e pagine. Ci limiteremo a qualche breve riflessione che possa agire da indicazione, da stimolo e forse da provocazione. Abbiamo citato la televisione perché uno dei più clamorosi esperimenti di lettura dantesca è avvenuto proprio in TV, effettuato da Benigni per l’esattezza il 23 dicembre 2002, dando poi vita alla serie di spettacoli portati dall’attore in svariate città italiane. Una performance che fu un one-man show, in prima serata. Una trasmissione senza ospiti. Senza soubrette. Senza collegamenti, senza stacchetti, insomma senza nulla di tutto quel che riempie la stragrande maggioranza della produzione televisiva italiana. Un esperimento che sulla carta, al di là della qualità dei testi e dell’attore, poteva essere considerato un fallimento commerciale annunciato: portare la cultura in prima serata. Di più, la poesia. Di più, farlo senza l’appoggio logistico dell’armamentario classico di chi parte all’assalto delle fatali quote di share. Contro ogni ipotesi invece l’esperimento riuscì: 45% di share di spettatori, 12 milioni di utenti collegati per assistere allo spettacolo. Forse una decisa indicazione che il pubblico televisivo potrebbe in fondo essere molto meno abbrutito di come lo dipingono e che spesso e volentieri gli viene propinato ciò che non merita affatto di vedere. Forse anche un segnale forte (rimasto negli anni a seguire sottovalutato, se non ignorato) di come sia possibile coniugare qualità e ascolti, produzioni autorali e resa economica, ulteriore segno di una contiguità di fatto tra le capacità artistico-creative e le strutture economiche, alla ricerca di un tessuto produttivo comune. Ma ad oggi, purtroppo, sembra che per coloro che decidono i palinsesti scommettere sulla cultura e sul ruolo dell’autore significhi ancora troppo spesso azzardare, rischiare. La conseguenza più ovvia è che le decisioni convergano su scelte perennemente al ribasso. Ugualmente interessante è rilevare che il trionfo del comico Benigni sottolinea una volta di più come il ruolo di personalità in grado di fare e di promuovere la cultura venga oggi a trovarsi in posizione sempre più esterna al mondo intellettuale tout court: sono spesso, anzi spessissimo, cantanti, attori, sportivi, i veri orientatori del pensiero contemporaneo. Una figura che fino a circa la metà degli anni ’70 sembrava essere centrale nel panorama culturale della società, ossia quella del cosiddetto “intellettuale”, ha via via perso gran parte del suo fascino e in particolare della sua autorevolezza, lasciando il posto ad altri soggetti. Segno non tanto di una paventata decadenza dei costumi, ma certamente di un profondo cambiamento che merita riflessione e approfondimento, laddove pensiamo a che ruolo oggi i “comici” (Benigni, Grillo, Fo, Guzzanti, etc…) abbiano spesso nel dibattito intellettuale. Infine, che Dante e la sua opera continuino a riscuotere un grande successo di pubblico è fuor di dubbio: basti pensare, oltre agli esempi già citati, non solo alla fortunata serie di spettacoli di Roberto Benigni, ma anche alle trasmissioni radiofoniche e alle pubbliche recitazioni della Divina Commedia da parte di Vittorio Sermonti, tutti eventi coronati da grande successo di pubblico, mentre all’estero si possono citare il romanzo “Il circolo Dante” di Matthew Pearl o “La mano di Dante” di Nick Tosches ed altri ancora. Un trionfo che certamente affonda le radici nella potenza espressiva, nella versatilità, nella forza poetica di un testo senza tempo, che evidentemente non risente granché dei 700 anni che ha sulle spalle, ma che spesso si presta ad operazioni (non tutte, beninteso) che rischiano di scadere dalla divulgazione all’eccessiva semplificazione. Sebbene siano più che meritati gli elogi per chi cerca di avvicinare il grande pubblico all’opera dantesca, occorre estrema attenzione per non correre il rischio di una distorsione del messaggio dell’autore e di una sua decontestualizzazione forzosa.
Simone Di Conza
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