Anche io, nel mio piccolo, posso rinnovare il mondo

Il Vangelo secondo Luca, rispetto agli altri evangelisti, riporta molte parabole in più. Nella nostra lettura continua del terzo vangelo siamo giunti in questa ventinovesima domenica del tempo ordinario, al capitolo diciottesimo di Luca e a questo punto incontriamo due parabole sulla preghiera. La prima la si legge in questa domenica, la seconda invece sarà proposta domenica prossima. Meditiamo allora, sulla parabola del giudice e della vedova. Una povera vedova chiede giustizia ad un giudice iniquo che non teme Dio e non ha riguardo per nessuno. Ma dato che questa donna è molto insistente alla fine quel giudice, stanco, decide di farle giustizia per non essere più importunato. Che cosa ci vuol dire Gesù con questa parabola? L’evangelista la introduce dicendo che l’ha raccontata per insegnare la necessità di pregare sempre, senza stancarsi. La conclusione che a prima vista se ne potrebbe trarre è la seguente: insistere tanto al punto da stancare il Signore e costringerlo a fare ciò che gli chiediamo. Capiamo facilmente che questa conclusione non è proprio adeguata; infatti non è questo ciò che insegna Gesù! Forse Egli paragona Dio Padre ad un giudice disonesto? Forse vuol dire che il Padre non conosce le nostre necessità e che quindi ha bisogno di essere importunato? No, non è questo l’insegnamento di Gesù, non è questo – tra l’altro – lo stile della preghiera cristiana. Allora dobbiamo imparare bene a comprendere la parabola che contiene un significato molto più profondo. Gesù capovolge la situazione. È vero, un giudice iniquo si lascia piegare da una donna perché è insistente fino all’esasperazione, ma Dio non è così. Con Dio non bisogna insistere, non dobbiamo stancarlo! Dio che è giudice buono, padre misericordioso, viene sempre incontro ai suoi. Prima che noi glieLo chiediamo, Egli già conosce ciò che a noi necessita, dice Gesù in un altro passo. Il problema, però, sta nella richiesta. Che cosa chiede quella vedova? “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Ecco il punto. I suoi eletti chiedono a Dio: “fammi giustizia?” Forse il Signore non farà giustizia ai suoi? Li farà aspettare? No, garantisce Gesù! Farà loro giustizia prontamente, subito. Farà giustizia, questo è un linguaggio tipicamente paolino e san Luca lo ha imparato proprio dal suo maestro, san Paolo. Fare giustizia alla persona vuol dire “giustificare”, “mettere nella giusta relazione con Dio”. È una questione di fede, ecco perché Gesù conclude questa pericope evangelica con una domanda: “Quando il figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” La relazione buona con Dio, la fiducia nei suoi confronti ci porta a chiedere che faccia giustizia, cioè che ci renda giusti, che ci renda capaci di vincere contro l’inclinazione cattiva, contro il potere del male. Ecco perché è stata scelta come prima lettura una pagina dell’Esodo nella quale viene narrato un combattimento fra gli israeliti e il popolo di Amalèk; Amalèk è una figura simbolica, è il nemico, l’avversario che cerca di sconfiggere il popolo eletto, ma la preghiera di Mosè che alza le mani permette a Giosuè di vincere la battaglia. Cosa ci dice questa immagine? La preghiera è la relazione continua e fiduciosa con il Signore per poter vincere la battaglia contro il male, contro il male che abbiamo dentro, contro il nostro avversario che si annida soprattutto nel nostro carattere. Ma “il mio aiuto viene dal Signore” – ci fa pregare il Salmo 120 – “il Signore è il mio custode, mi protegge, mi difende, non lascia vacillare il mio piede”. Il Signore è il mio aiuto, mi fido di Lui, è Lui che mi fa giustizia. Nella seconda lettera che Paolo scrive al discepolo Timoteo, suo testamento spirituale, gli ricorda che la Sacra Scrittura ispirata da Dio è lo strumento fondamentale per la preghiera. Ascoltare la parola di Dio è il modo migliore di pregare perché ascoltando quello che il Signore dice noi veniamo formati, trasformati, giustificati. Ascoltando quella parola che il Signore mi rivolge io divento giusto, vengo aiutato nella battaglia contro il male, infine mi viene fatta giustizia. La preghiera insistente è un ascolto continuo, fiducioso, accogliente, di chi si lascia cambiare dal Signore. E solo così si vince la battaglia contro il male. Paolo VI a proposito così ci esortava: “Si prega oggi? Se ne sente il dovere? Il bisogno? Quali sono i sentimenti che accompagnano la nostra preghiera? La fretta, la noia, la fiducia?” Restano infine da meditare le parole di Gesù: “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” Se guardiamo al materialismo trionfante, ci viene da pensare che forse ne troverebbe poca. Ed è naturale, logico: quando la nostra fede è rivolta alle cose senza vita, ai beni materiali, è molto difficile lasciare spazio a Dio. Che non sia così per noi! E insieme allora preghiamo: Gesù, donami umiltà e tenacia per pregare con perseveranza e credere che se mi abbandono con fede a Dio, cercando la Sua volontà, anche io, nel mio piccolo posso rinnovare il mondo.

Fra Frisina

Foto: www.madonnadelcolle.it

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