2019, bilancio del trentennio che è succeduto al “secolo breve”

Si chiude il 2019 e, come di consueto, è tempo di bilanci. Questa volta, però, la prospettiva dell’osservatore è molto più profonda. Non si chiude soltanto un anno o magari un decennio. Si conclude il trentennio che è succeduto al “secolo breve”.

Con tale nome, lo storico britannico Eric Hobsbawn definì il XX secolo. Lo restrinse al periodo 1914-1989, ritenendo che, con la caduta del muro di Berlino, si sia conclusa un’unica grande guerra mondiale. Da allora sono passati trent’anni, cioè una generazione. E’ ampiamente possibile, dunque, tirare le somme per capire che cosa sia accaduto successivamente.

La fine del comunismo non è stato l’unico evento del trentennio 1989 – 2019

L’evento che salta maggiormente agli occhi, dell’ultimo trentennio, è la fine del comunismo. Non è accaduto con la caduta del muro di Berlino e l’unificazione della Germania ma negli anni successivi. Hobsbawn lo aveva già rilevato. La dissoluzione dell’Unione Sovietica, infatti, è datata 1991. Nella ex-Jugoslavia, il comunismo è crollato con la fine della Guerra civile (1995). A Cuba con il ritiro di Fidel Castro dalla vita politica (2011). In Cina e in Vietnam, pur esistendo ancora il PC locale, il sistema di vita è diventato simile a quello del capitalismo più sfrenato. Insomma, alla fine del 2019, l’unico leader comunista rimane il nord-coreano Kim Il-sung che, sostanzialmente, è un dittatore come tanti altri.

Gli Stati dell’Europa dell’Est, una volta satelliti della Russia comunista sono progressivamente entrati nella NATO, cioè il sistema difensivo del Nord Atlantico, controllato dagli Stati Uniti. Questo evento ha determinato conseguenze decisive per la comprensione dell’attuale situazione mondiale. Le esamineremo nel prosieguo.

Se il comunismo è sparito dalla faccia della terra, il socialismo democratico e lo stato sociale hanno subito un attacco drammatico. Lo si nota, soprattutto, nei quattro Stati europei facenti parte del G7. In Gran Bretagna, il Partito laburista è stato trasformato da Tony Blair in qualcosa di molto simile alla liberaldemocrazia. In Italia, sono spariti il Partito comunista (che, in realtà, era un partito socialdemocratico) e quello socialista. Sono stati parzialmente assorbiti dal PD che altri non è che un grosso partito radicale.

In Francia, il PS è sostanzialmente confluito nella formazione di Macron, cioè il Walter Veltroni o il Matteo Renzi locale. In Germania, il PSD non ha più il ruolo rivestito in passato e perde ogni giorno consensi in favore degli ecologisti. Anche negli Stati del Nord Europa, la socialdemocrazia, in molti casi, ha dovuto cedere di fronte ai partiti di centro-destra.

1989 – 2019, il trentennio del trionfo del capitalismo con le sue cicliche battute d’arresto

Dal punto di vista socio-economico, una cosa è indubitabile: il trentennio che va a concludersi ha visto il trionfo del capitalismo liberale. L’evento più notevole, in proposito, è stata la trasformazione del mercato europeo – il primo del mondo – da economia protetta a protagonista della liberalizzazione degli scambi. Ciò ha comportato il suo allargamento ad Est e l’adozione della moneta unica. Inoltre, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), ammettendo anche la Cina (2001) ha dato il via al decollo industriale e alla modernizzazione del gigante asiatico. Il mondo si è globalizzato sotto le insegne del capitalismo liberale.

Attenzione: ciò non ha comportato la fine delle crisi economiche, anzi. Le crisi ci sono state e lo sono state a livello mondiale. Ma le crisi cicliche sono proprio una caratteristica del capitalismo che, poi, si riorganizza e torna a crescere. Più degna di nota è la recente tendenza al rialzo delle barriere doganali, minacciata e in parte realizzata dagli USA di Donald Trump. A tale fenomeno può anche ricondursi l’uscita del Regno Unito dalla UE (Brexit).

Brexit e guerra dei dazi significano una sola cosa: che le economie del Regno Unito e degli Stati Uniti si sono adattate meno delle altre alla globalizzazione. Ma, se esatta la teoria economica di Adam Smith, secondo cui il libero scambio crea ricchezza, faranno presto marcia indietro. Chi scrive prevede, nei prossimi anni, un accordo di libero scambio UK-UE e USA-Cina. A guadagnarci, saranno tutti.

Uno sguardo all’Islam

Se il mondo comunista è crollato e, in Europa, la socialdemocrazia è in forte crisi, un altro sistema sociale è letteralmente evaporato: il cosiddetto “socialismo islamico”. Sono stati deposti l’egiziano Mubarak (2011), erede di Nasser e Sadat, il libico Gheddafi (2011), l’irakeno Saddam Hussein (2006). Il siriano Assad è praticamente diventato una pedina della Russia. Le teorie socialisteggianti del palestinese Arafat (morto nel 2004) sono ormai un ricordo. Ciò non ha portato la democrazia in Medio Oriente, come erroneamente credeva l’ex-Presidente Usa Barack Obama. Favorendo la loro caduta gli Stati Uniti hanno compiuto il più grande errore politico del trentennio.

Ritenere che il crollo del comunismo e la scomparsa dei regimi summenzionati abbia determinato l’ingrossamento delle fila del fondamentalismo islamico è un’osservazione superficiale. Al Qaeda, infatti, nasce nel paese islamico più vicino agli Stati Uniti e al capitalismo occidentale: l’Arabia Saudita. Daesh è nata dopo l’intervento Usa in Iraq. Anche l’Iran, prima dell’avvento della rivoluzione islamica, faceva parte della sfera d’influenza dell’occidente capitalistico. A nostro parere, il fondamentalismo islamico è una reazione alla straripante influenza del capitalismo occidentale anche in oriente.

2019, l’anno di Putin

In tale area è diventato decisivo il ruolo che sta rivestendo la Russia post-sovietica. Con la dissoluzione dell’URSS, la NATO si è allargata sino a comprendere e a installare i suoi missili anche all’interno degli antichi confini sovietici. Di certo, Putin non potrà tollerare ulteriori allargamenti. Soprattutto in Ucraina che, da sola, conta un terzo degli abitanti della Russia.

In Russia il capitalismo si è imposto in modo sfrenato e la sua economia è complementare a quella della Ue. Ciò fa capire quanto siano anacronistiche e reciprocamente dannose le sanzioni imposte a Mosca per il suo intervento in Ucraina. Come per la legge dei vasi comunicanti, il disimpegno russo dall’Europa orientale sta comportando un impegno sempre più penetrante in Medio Oriente e in Africa settentrionale. Fondamentali, in questo senso, saranno i ruoli della Turchia e dell’Iran.

La Turchia sta progressivamente allontanandosi dall’occidente. Il 2019 termina con il trasferimento delle testate nucleari dalle basi turche ad Aviano, in Veneto. Senza le testate nucleari, il ruolo della Nato, nella penisola turca, diviene solo formale. Inoltre, Erdogan si sta rifornendo di armi da Mosca per combattere i curdi ed è improbabile che le rivolga verso i russi, in caso di conflitto armato in Siria o in Libia. Già in tali aree, Erdogan parla solo con Putin e non più con la Casa Bianca. La differente “scelta di campo” da parte della Turchia ci sembra ineluttabile, anche se non imminente. Stessa storia per quanto riguarda l’Iran.

La denuncia degli accordi sul nucleare iraniano, promossa da Donald Trump sta portando l’Iran sempre più a braccetto con Mosca. Anche la presenza iraniana in Siria è subordinata all’assenso di Putin. Proseguirà sino a quando farà comodo all’erede degli zar. Inoltre, sono progressivamente scivolate all’interno della sfera d’influenza russa anche la Cirenaica (allargata) di Haftar e l’Egitto di Al Sisi. Con buona pace delle velleitarie mire di Erdogan e degli Emirati arabi. Gli zar non si sarebbero mai sognati di veder sventolare la propria bandiera da Tripoli agli Stretti di Hormuz, passando per Il Cairo, Ankara, Damasco e Teheran.

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