1975 nascevano i primi social network: le radio libere

img_archivio31542010124820Facile adesso accendere la radio e cercare tra le decine di stazioni quella che più ci piace. Ci sono momenti nella storia in cui i mezzi di comunicazione modificano profondamente la comunicazione stessa, e questo è avvenuto in Italia con la nascita delle radio libere.

Fino agli inizi degli anni 70 infatti la radio in Italia, come in altri paesi, esisteva un unico gestore, la RAI che trasmetteva solo su tre canali nazionali; il primo e secondo canale di intrattenimento generale e di informazione, il terzo canale dedicato alla musica classica ed in generale diretto a programmi culturali e di approfondimento.

La stessa cosa accadeva in tutta Europa. Le radio erano sotto controllo dei governi, anche se ci furono tentativi di rompere questo monopolio grazie alle radio offshore, che trasmettevano al di fuori dei confini nazionali, molte di queste situate su navi nel Mare del Nord.

La più famosa fu Radio Caroline, inglese, raccontata stupendamente nel film “I love radio Rock”, a cui si aggiunsero Radio Luxembourg , Radio London. Ovviamente lo scontro era soprattutto con la BBC, allora considerata una delle radio più potenti d’Europa, che tentò più volte di impedire alle radio offshore o come qualcuno le definiva “radio pirate” di trasmettere. .

Chi era in possesso di una radio più potente, riusciva sintonizzarsi su queste radio, per sentire soprattutto la musica rock sia inglese che statunitense, che era relegata dalle radio ufficiali in poche ore di trasmissioni al giorno.

In alternativa, in Italia, c’era Radio Montercarlo, Radio Capodistria che trasmettevano in lingua italiana al di fuori dei confini nazionali, ma non riuscivano a coprire tutto il territorio nazionale.

Al monopolio della Rai si aggiungeva quello della Commissione di Controllo sui programmi, con il compito di valutare se trasmettere o vietare certe canzoni, oppure esser modificati i testi, ad esempio “troppo espliciti” riguardo al sesso, alle problematiche sociali, e perché no a quelle politiche. Le canzoni venivano classificate come “da non trasmettere” se bocciate subito dalla commissione di ascolto, o “non idonee”, se la decisione era successiva all’arrivo in RAI dei dischi.

I cantautori erano ovviamente i più penalizzati. De Andrè per esempio incappò spesso nelle maglie della commissione, con canzoni come “Via del Campo o Bocca di rosa”, agli sberleffi all’ordine costituito come ne “Il gorilla”, all’anti-militarismo della “Guerra di Piero”, alla storia sbeffeggiata di Carlo Martello. Persino il classico tra i classici di De Andrè, “La Canzone di Marinella”, era oscurata perché parlava in modo troppo chiaro del rapporto tra Marinella e il Re senza corona e senza scorta. Mina, con “L’importante è finire” Lucio Dalla, con “4 marzo 1943” lo stesso Lucio Battisti con “Dio mio no”, i Nomadi con “Dio è morto” dovettero modificare i loro testi per passare il visto della commissione.

Ma agli inizi degli anni 70 qualcosa si muove. Sul lato tecnico la strada venne aperta dalla cosiddetta banda cittadina (Citizen Band o CB): rice-trasmettitori radio di bassa potenza (e bassa qualità) che avevano sostituito, o per meglio dire integrato, il piccolo popolo dei radioamatori.

I radioamatori erano quegli appassionati che con antenne enormi, facevano a gara tra di loro a chi riusciva a mettersi in contatto con chiunque nel mondo, ed erano gli unici che potevano trasmettere via radio in modo privato, anche se sotto controllo della polizia postale.

Con la banda cittadina l’accesso alla tecnologia e alla funzionalità di trasmissione si abbassava e quindi si poteva finalmente trasmettere su limitate aree locali.

La scoperta diede la possibilità di utilizzare le frequenze FM, e quindi in poco tempo nacquero decine di radio private, o “radio libere”, su tutto il territorio nazionale, dalle grandi città ai piccoli centri, ai paesi. Un fenomeno che nel giro di pochi mesi cambiò completamente il mondo della comunicazione.

Non più programmi ingessati, speaker asettici, musica censurata o relegata in singole fasce orarie, ma musica trasmessa continuamente a tutte le ore, anche di notte, giovani speaker che parlavano il linguaggio degli ascoltatori, ma soprattutto la possibilità di interagire con i conduttori.

Questa è stata la grande innovazione, che ha cambiato completamente l’accesso al mezzo di comunicazione per migliaia di persone diventati da semplici ascoltatori passivi, a parte attiva della comunicazione.

Trasmettendo musica in continuazione, dando cosi la possibilità a molti autori di esprimersi e di portare al grande pubblico le loro opere, le radio divennero punti di riferimento per milioni di giovani ascoltatori, rendendoli partecipi ai cambiamenti ed ai conflitti sociali di quel periodo.

L’emblema del potere delle radio libere resta l’esperienza di Radio Alice a Bologna, che diede la voce al “movimento del 77”, che ruppe, anche in maniera violenta, gli equilibri tra la politica ufficiale e quella delle nuove generazioni.

Questa grande esperienza di libertà musicale di quegli anni è espressa in una stupenda canzone “La musica ribelle” cantata da Eugenio Finardi, “……la musica, la musica ribelle che ti vibra nelle ossa che ti entra nella pelle che ti dice di uscire che ti urla di cambiare i mollare le menate e di metterti a lottare….”.

Poi sono arrivate le televisioni private. Ma quella è tutta un’altra storia

di Gianfranco Marullo

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