«Vai, Paparazzo!»: quando la pubblicità diviene film d’autore

Cinecittà_1Immaginiamo Cinecittà negli anni ’50, Roma veniva chiamata la “Hollywood sul Tevere” e Via Veneto era il crocevia di dive e divi di fama internazionale, di artisti, registi e paparazzi disposti a tutto per conquistare uno scatto da prima pagina.

Immaginiamo l’eleganza dell’alta moda italiana frutto dell’unicità sartoriale e la bellezza dei capolavori della tecnica a due e quattro ruote, insegne del design industriale italiano.

Lasciamoci travolgere dal fascino del Neorealismo, dal romanticismo del cinema in bianco e nero americano e dai contrasti di luce dei film “noir”.

Persol CellorWim Wenders sfiora così le corde della nostra immaginazione facendo suonare le note della nostra sensibilità e si cala nei panni di un personaggio della Dolce Vita girando un “corto” in occasione dell’ultima campagna pubblicitaria degli intramontabili occhiali Persol Cellor.

La sensazione che si ha, guardando “Vai, Paparazzo!”, è quella di essere i protagonisti della scena; di vivere la storia, di collaborare con il regista, di gridare “ciak” da quel megafono vecchio stampo che dirige gli attori. Di parlare con i due protagonisti mentre litigano, piangono e giocano al gioco della vita. Un omaggio alla vita stessa, ai suoi intrecci, alle sue contraddizioni, alla caducità dell’esistenza. Un invito a percorrere la propria strada, profondamente e con passione, proprio come le inquadrature del “corto” che, mai casualmente, si concentrano su dettagli importanti, su percorsi soggetti a sterzate e cambiamenti.

Ed ecco che, una storia d’amore patinata, accecata dal flash della reflex e servita sul piatto d’argento di una intramontabile Lancia Aurelia, lascia spazio a una storia d’amore genuina, simbolo di un’ Italia post bellica, che si risolleva animata dalla nobile e buona volontà del “self made man”.

Persol Cellor_2La protagonista femminile dello spot, rinuncia alla vetrina del successo per cedere al fascino cavalleresco di un centauro; scende dalla magnifica Lancia e sale su una Vespa a due ruote. Percorre lentamente, un grigio corridoio che si apre, luminoso, su una scalinata; un enorme volto di statua romana sullo sfondo e un piede colossale di marmo, sul quale si appoggiano gli attori, vogliono essere un tributo al classicismo della Città Eterna.

Mi viene in mente la crisi dell’io nel passaggio dell’uomo moderno a quello contemporaneo. Una crisi della ragione in cui non si crede più alla centralità dell’uomo. Nel cortometraggio, l’uomo è infatti abbandonato dalla donna, piange perchè le sue certezze sono andate in crisi, ma affronta la situazione indossando ironicamente, per un momento, i panni di quel paparazzo suo rivale in amore.

Wim Wenders_1La scena si chiude con un inaspettato “happy end “, quasi a voler sottolineare l’imprevedibilità della vita; resta, però, il sorriso di tutti i presenti e, proprio come Wim Wenders, verrebbe voglia di gridare “Vai, Paparazzo!”

di Daniele Di Giorgio

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