Vaccini senza confini

Nella guerra al Covid-19 l’arma più desiderata e pubblicizzata del momento è il vaccino. Le altre armi, la prevenzione e la cura, non promettono di liberarci dalla piaga, quindi, negazionisti e scettici a parte, in quasi tutti i paesi del mondo l’obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione entro un anno. 

Naturalmente fra il dire e il fare…ci sono un sacco di problemi. I vaccini allo studio sono circa 300, di cui più di 200 ancora in uno stadio iniziale; quelli già in uso sono poco più di una decina e la produzione ancora non soddisfa la domanda. La maggior parte dei vaccini prevede la somministrazione di due dosi ad una distanza di tempo determinata e questo, come abbiamo già visto, induce nella tentazione di dare intanto una dose a più persone possibili, rimandando la seconda a tempi migliori (soluzione molto discutibile). Ogni paese ha una diversa strategia, basata sul numero di abitanti, sulle risorse economiche e logistiche e dei rapporti con le aziende produttrici, specie se presenti sul proprio territorio.

Sulla pagina di Our World in Data, si trovano molte informazioni interessanti al riguardo, che possono aiutarci a capire quale sia la situazione in Europa e nel mondo.

In questa prima fase il vaccino dovrebbe essere disponibile per le categorie più a rischio, lavoratori del settore sanitario, persone vulnerabili a causa di una patologia e anziani. In alcuni paesi è disponibile per una sola di queste categorie, in altri per due, in altri per tre. In Italia per esempio, fino ad oggi sono le prime due categorie a ricevere il vaccino, e presumibilmente dai primi di febbraio se ne dovrebbe aggiungere un’altra (gli over 80). Se guardiamo la cartina del mondo tuttavia  il numero dei paesi dove il vaccino non è disponibile affatto è sconcertante.

Se andiamo a vedere, al di là delle polemiche, quale percentuale della popolazione ha ricevuto il vaccino, in pole position troviamo Israele, con il 32% degli abitanti che ha ottenuto la prima dose e il 17 % completamente vaccinato, paese forte di un territorio piccolo e fortemente digitalizzato, una popolazione di poco più di 9 milioni di abitanti, e di un accordo con Pfizer-Biontech che lo ha preso a modello per seguire i problemi del vaccino e i dati sulla sua efficacia. Al secondo posto gli Emirati Arabi Uniti (altro paese piccolo e ricco) con il 25% di vaccinati con una dose e il 2,5% con due.

Ma a partire dalla terza posizione, i numeri scendono rapidamente, e crollano sulla seconda dose. Gli Stati Uniti (con 334 milioni di abitanti) hanno somministrato una dose di vaccino al 6% della popolazione e due all’1%. Il Regno Unito ha vaccinato il 10% della popolazione con una dose e lo 0,7% con due, l’Italia ha dato una dose a poco più del 2% e due allo 0,45%. La percentuale ideale del 70% è quindi ancora molto lontana, anche per i paesi più virtuosi. 

Il problema principale è che queste differenze fra paesi sono sicuramente interessanti da un punto di vista statistico e geopolitico, ma che valore hanno in un mondo globalizzato, dove è possibile (anche se con qualche limitazione) spostarsi in poche ore da un capo all’altro della terra? Cancellare i voli, chiudere le frontiere, fermare le migrazioni, costruire muri, sono soluzioni praticabili?

 A parte le considerazioni etiche e l’enorme sforzo organizzativo, basta un buchino nella diga e ogni sforzo verrà vanificato. Se un solo contagiato sfugge alle restrizioni, perché ha una motivazione ineccepibile per spostarsi (le deroghe ci saranno sempre) e un test falso negativo (ci sono anche quelli) tutto ricomincia da capo. Per non parlare delle varianti, che spuntano qua e là come funghi (come è normale che sia per un virus), più o meno contagiose, più o meno neutralizzate dai vaccini. 

Allora che fare? Forse il problema sta solo nel fatto che abbiamo cominciato a somministrare i vaccini troppo presto rispetto alla loro disponibilità. Ma va bene così, perché tutte le difficoltà tecniche e logistiche che stiamo incontrando le avremmo incontrate comunque e possiamo cercarne le soluzioni. Diciamo che stiamo facendo un esperimento pilota di vaccinazione mondiale.

Cosa possiamo e dobbiamo fare nel frattempo? Molte cose:

Continuare ad adottare le misure di prevenzione come mascherine, igiene e distanziamento.

Continuare a studiare l’efficacia di test diagnostici e vaccini per le varianti genetiche del virus.

Continuare ad investire nella ricerca e nella produzione di vaccini e cure.

Continuare a somministrare vaccini secondo i protocolli per studiare la durata dell’immunità.

Condividere le informazioni scientifiche e cliniche a livello mondiale.

Cooperare a livello mondiale perché le vaccinazioni siamo possibili anche nei paesi più poveri, perché se il virus non conosce confini, perché dovrebbero averli i vaccini?

*Biochimico, direttrice del  Laboratorio Rischio Agenti Chimici dell’INAIL 

Foto di Jeyaratnam Caniceus da Pixabay

1 risposta

  1. Immunità di gregge, ci arriveremo mai? - InLibertà

    […] Le varianti. Purtroppo abbiamo toccato con mano come la proliferazione del virus sia un incubatore di varianti, e come le varianti viaggino velocemente da un capo all’altro della terra, per cui la variante Indiana è arrivata e si è diffusa in Inghilterra, quella Sudafricana in Tirolo e quella Brasiliana in Umbria. Una variante resistente al vaccino metterebbe a rischio tutta l’operazione. […]

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