Burocrazia
Spesso ignoriamo le difficoltà degli stranieri che intendono stabilirsi nella capitale e che debbono districarsi tra le pastoie delle leggi e delle interpretazioni da parte dei vari organi amministrativi che a volte si contraddicono tra loro. Per meglio farvi capire di cosa stiamo scrivendo, ci vogliamo occupare delle peripezie di una signora messicana di Tampico, Maria, di 47 anni, che abbandona il suo lavoro per sposare un signore romano. Il caso di Maria non è solo una denunzia dei disservizi e della burocrazia italiana ma vuole essere anche un vademecum su come ci si può difendere da essa restando nel binario della legalità.
Quel matrimonio non s’ha da fare?
Arrivata a Roma nel febbraio 2020, Maria porta al Municipio XIV i documenti necessari per potersi sposare. In Messico aveva ottenuto il certificato di stato libero e di residenza. Ma questi documenti sono in spagnolo. Occorre quindi effettuare una traduzione giurata in Tribunale. Si rivolge ad un professionista iscritto all’albo dei traduttori il quale le dice che i documenti sono privi di un timbro che ne confermi la validità all’estero. Maria scrive subito alla sorella a Tampico che nel giro di due settimane le spedisce altri due documenti, questa volta idonei alla bisogna. Ma l’attività del Tribunale Civile di Roma è rallentata per via del Covid e il primo appuntamento possibile è dopo un mese.
Tre mesi non bastano
Superato questo secondo ostacolo, occorre prenotarsi on line in Municipio per fissare un appuntamento per la promessa di matrimonio. Maria produce i certificati suoi e del suo futuro marito on line. Il Municipio XIV fissa loro un appuntamento dopo un paio di settimane. Esaminati tutti i documenti viene fissata la data dello sposalizio per il 19 luglio. Purtroppo il visto trimestrale concesso agli extracomunitari scade il 3 maggio, ma l’aver fissato la data del matrimonio da a Maria il diritto di rimanere nel nostro paese come persona richiedente regolarizzazione.
Un girone dantesco
Una volta sposata ed ottenuto il relativo certificato di matrimonio, Maria va all’Ufficio immigrazione della Questura a Roma (di cui ci siamo occupati in un precedente articolo). Nonostante sia ormai luglio, davanti agli uffici vi è una fila infernale, senza distanziamento, con persone anche prive di mascherine. Per evitare rischi di contagio, Maria si rivolge ad una società di servizi il cui avvocato (con una parcella di 300 euro) l’accompagna di nuovo in Questura, evitandole la lunga fila. Le danno un appuntamento per novembre.
Abuso di potere?
Per tale data le viene rilasciata la carta di soggiorno per la durata di due anni anziché i 5 previsti dalla legge. Alle rimostranze della signora e del marito, un solerte funzionario della Polizia le fa notare che quando ha presentato la domanda era, per la legge vigente, una irregolare. A nulla servono le giustificazioni che il Covid e la burocrazia di fatto impediscono di svolgere tutto il lungo iter in tre mesi. Vorrebbe fare ricorso ma per evitare polemiche si rassegna a questo che potrebbe essere un abuso di potere.
Il miraggio della residenza
A questo punto la signora richiede on line la residenza al Municipio XIV, allegando un lungo elenco di documenti. Trascorrono due mesi. La signora si reca di persona in Municipio ma le dicono che la pratica è in lavorazione. Stessa risposta un mese dopo: secondo l’impiegata dello sportello il ritardo è dovuto alla Polizia Municipale che non si reca presso l’indirizzo indicato per accertarsi della effettiva residenza. Maria, quindi, chiama il XIV Gruppo VV.UU. per chiedere come mai non vengano. Le viene risposto che non hanno mai ricevuto la richiesta di sopralluogo da parte del Municipio.
Occorre un avvocato
Maria si rivolge allora ad un altro avvocato che le consiglia di tornare in Municipio e di avvalersi della legge 35 del 4/4/2012 che obbliga una pubblica amministrazione a dare corso alla pratica o ad esprimere un parere, anche negativo, ma entro 45 giorni. Maria torna nel XIV Municipio e chiede di parlare con un funzionario al quale ricorda i dettami della legge, i cui termini sono ampiamente superati dalla lunga attesa di quasi 4 mesi dalla richiesta. Il dirigente dispone l’avvio dell’accertamento da parte dei VV.UU che, dopo una settimana, confermano la veridicità della residenza.
SPID, ASL e Poste
Con questa conferma può ottenere la tessera sanitaria provvisoria. Così Maria si reca alla ASL dove sceglie il suo nuovo medico di famiglia. Occorre ora richiedere la carta di identità. Chiamando lo 060606 del Comune di Roma viene a sapere che per avere un appuntamento deve prima richiedere lo Spid. Maria si reca allora all’ufficio postale di Testa di Lepre dove l’impiegata non da avvio alla richiesta perché, secondo lei, la carta di soggiorno (della questura di Roma) non è un documento valido per tale domanda. Maria non è convinta e va allora alla posta di Anguillara dove lo stesso documento viene riconosciuto per buono e l’impiegato le rilascia i vari codici per attivare lo Spid.
Riusciranno i nostri eroi a…
Ottenuto lo Spid, Maria può, finalmente, richiedere l’appuntamento per la carta di identità on line ma un altro impiegato comunale le dice che lo Spid non era necessario. Maria e il marito si rendono conto come questo percorso, già lungo e pieno di ostacoli, sia reso più micidiale dalla lentocrazia e da funzionari incompetenti.
Foto di Domenico Mattei da Pixabay
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