Un premio Nobel ancora in scena

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Camminiamo nella nebbia fitta, il freddo spinge, punge e morde. Emerge a tratti qualche figura chiusa nel cappotto, cappello ben calcato in testa, che ci passa velocemente accanto per sfuggire ai morsi. Sembra di essere stati catapultati decenni indietro, in quella “bottiglia di orzata dove galleggia Milano” cantata da De Andrè, in quegli inverni narrati con terrore dalle mamme del sud parlando dei figli emigrati. Arrivati in piazza XXV Aprile le transenne spezzano immediatamente l’incanto: dobbiamo circumnavigare l’enorme cantiere per raggiungere l’ingresso del Teatro Smeraldo, tanto per non dimenticare che presto verrà sostituito da un nuovo supermercato, “Le magnifiche sorti e progressive” di una Milano del XXI secolo.

Ci chiediamo che strada abbia fatto Dario Fo per raggiungere il teatro, se sia stata la stessa strada nel tempo, un ritorno a quei 42 anni fa quando proprio a Milano veniva per la prima volta portato in scena “Mistero Buffo”. Di certo non nasconde l’emozione quando sale sul palco del teatro gremito pensando che non potrà salirvi più, il pubblico non è giovane e forse proprio per questo condivide ancor di più il senso di perdita. Ci sono alcune famiglie: genitori che accompagnano i figli a conoscere un pezzo fondamentale non solo del teatro italiano, ma anche della sua cultura e della sua storia. Stupisce per questo l’assenza dei giovani: Dario Fo è una eredità di tutti, quale padre ripensando a Bonifacio VIII non avrà detto almeno una volta nella vita a suo figlio “Attento te!”?

Dario Fo è un premio Nobel vivente, ma non fa parte dei programmi scolastici, e nonostante la fine degli anni bui dell’Italia viene ancora osteggiato nella diffusione di alcune opere, si pensi ad esempio alla querela presentata da Marcello Dell’Utri contro la diffusione televisiva de L’Anomalo Bicefalo. Forse per questo il pubblico non è più giovane, e non lo sono loro; Franca Rame esclama con una punta di orgoglio alla fine della rappresentazione tra gli applausi “abbiamo 167 anni in due”, e molti di questi li hanno passati insieme.

Il Mistero Buffoportato in scena lunedì sera è stato teatro, metateatro e storia del teatro, come sempre  Dario Fo non si accontenta infatti di portare sulla scena i suoi personaggi, ma vuole narrarne la genesi, vuole spiegare ciò che il pubblico vedrà e perché sarà in quel modo piuttosto che in un altro. È così non vediamo solo La resurrezione di Lazzaro o Bonifacio VIII, ma possiamo anche assistere ad una vera lezione sul teatro medievale, sulla commedia dell’arte e sulla farsa, fino al grammelot basato su sonorità padane che tanta fortuna gli ha portato: il grammelot insieme ad un uso estremo della gestualità che si avvicina al mimo consente di dire senza dire ed ha consentito, racconta Fo, di continuare gli spettacoli anche quando dalle ultime file spuntavano i berretti della polizia, nei tempi in cui la censura era palese.

Si avverte nei movimenti e nella voce la stanchezza di tanti anni sulla scena, non la stanchezza però per un testo che, come Fo stesso afferma, non ha bisogno di essere attualizzato perché sempre attuale: il potere ha poca fantasia – dice- e ripete sempre gli stessi assurdi schemi. Ne emerge così la realtà di sempre vista con gli occhi del giullare, occhi che vedono in modo privo di retorica, e sanno portare ogni situazione all’estremo scoprendo che “il contrario sta in piedi meglio del luogo comune, anzi è più vero o, almeno, più credibile“.

Franca Rame stupisce nella sua Eva e commuove con Maria alla croce, promette a inizio serata un nuovo testo tratto da un articolo di Saviano che non si sente poi in grado ancora di portare in scena, crediamo sarebbe stata come sempre all’altezza del compito.

Il teatro è tutto in piedi per gli applausi finali, nel comunicato stampa i due affermavano “Speriamo di riuscire a sorprendervi, farvi ridere e magari pensare” e così, sorpresi, sorridenti e meditabondi, usciamo nella nebbia del cantiere di piazza XXV Aprile.

Claudia Durantini

Foto: exibart.com

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