IX secolo, un monaco scorge un cadavere incagliato su una spiaggia nei pressi di Ostia ma non ha bisogno di avvicinarsi per conoscerne il nome. Il malcapitato in persona, durante la notte, gli si è presentato in sogno per chiedergli di mettere al sicuro i suoi resti mortali.
In altre circostanze, gli sarebbe rimasto difficile riconoscere in quel corpo martoriato la figura di papa Formoso. Il vecchio Pontefice, infatti, dopo la morte avvenuta forse per avvelenamento, era stato oggetto di uno degli atti più cupi e brutali nella storia della Chiesa: la sua salma, estratta a forza dal sepolcro, aveva subito un processo così macabro ed insueto da passare alle cronache con il nome di Synodus Horrenda.
Cosa era successo esattamente? Torniamo indietro di qualche anno.
Consacrato vescovo di Porto nell’864, Formoso si era fatto strada in ambito ecclesiastico ricoprendo importanti incarichi diplomatici per papa Niccolò I Magno ed il successore Adriano II.
In particolare, era stato inviato in Bulgaria nel tentativo di riunificarla con la Chiesa di Roma e la missione era andata talmente bene che re Boris aveva proposto di nominare proprio Formoso come arcivescovo metropolita. Esisteva tuttavia un canone che vietava ai vescovi di trasferirsi in una sede diversa così il papato aveva rifiutato provocando il graduale riavvicinamento della Bulgaria alla Chiesa bizantina e, quindi, la vanificazione degli sforzi del suo emissario.
La vicenda era però bastata per mettere in luce le ammirevoli qualità intellettive e morali di Formoso assicurandogli la fama di uomo prudente e capace.
Le sorti cambiarono drasticamente al momento dell’elezione di papa Giovanni VIII che scomunicò il vescovo di Porto con l’accusa di aver cospirato contro la Chiesa e l’Imperatore nel tentativo di ottenere cariche più prestigiose, inclusa la nomina a Vicario di Cristo.
La contesa in realtà nascondeva una motivazione politica: Formoso, infatti, apparteneva alla fazione filo-germanica, che sosteneva i carolingi orientali, mentre il suo accusatore a quella filo-francese che prediligeva il ramo occidentale dei Franchi. Si trattava di una divisione che si rifletteva sull’intera curia e sull’amministrazione locale.
C’è da dire che, in quegli anni, la Penisola era scossa da continue tensioni e appunto Roma, capitale del mondo cristiano, era diventata terreno di scontro tra le grandi famiglie aristocratiche che, sfruttando la debolezza delle autorità civili, vedevano nell’elezione a papa di un proprio sostenitore un lasciapassare per il potere e il comando. Non c’è da stupirsi che non esitassero a uccidere o deporre candidati poco graditi, come lo stesso Giovanni VIII assassinato addirittura dai suoi parenti.
D’altronde, occorre ricordare, che il successore di Pietro manteneva il diritto di ungere gli imperatori e questo compito lo proiettava inevitabilmente al centro del conflitto politico ponendo la Chiesa alla mercé delle casate.
Fatto sta che Formoso ed i suoi affiliati scapparono da Roma e trovarono rifugio dai duchi di Spoleto ottenendo, qualche tempo dopo, il ritiro della scomunica a patto di non rimettere mai piede in città. Oramai erano ridotti allo stato laicale.
Solo l’insediamento del nuovo pontefice Marino I, non a caso membro della corrente filo-germanica, permise la caduta delle accuse e il reintegro del vescovo di Porto nel suo ruolo dove rimase fino al 6 ottobre 891, giorno della sua nomina a papa.
Come già successo per Marino, prima dell’elezione vescovo di Cere, anche questa volta fu applicata una deroga al divieto di traslazione da una sede episcopale ad un’altra pur di rendere regolare la votazione.
Appena proclamato, a Formoso toccò anzitutto confermare uno degli atti del suo predecessore ovverossia l’incoronazione di Guido II, duca di Spoleto, al quale associò il figlio Lamberto come co-imperatore.
Nonostante il conferimento della corona, il papa da tempo aveva iniziato a temere la politica aggressiva degli spoletini, che spesso sconfinava proprio nei territori ecclesiastici, così decise di scrivere ad Arnolfo di Carinzia, re dei franchi orientali che già aveva supportato la sua elezione, per chiedergli di liberare l’Italia e la Santa Sede dagli usurpatori.
La supplica fu accolta tuttavia la spedizione si rivelò inutile: il salvatore di Formoso, dopo aver messo in fuga l’avversario, si era fatto riconoscere re d’Italia ma non era riuscito a consolidare le conquiste.
Scelse di ritentare l’anno seguente dunque giunse nella Penisola, conquistandone la parte settentrionale, poi si diresse a Roma dove si fece incoronare Imperatore nella basilica di San Pietro; nel frattempo Guido era morto lasciando il potere al figlio Lamberto coadiuvato dalla madre Ageltrude, donna caparbia e temibile.
Deciso a risolvere definitivamente la disputa, Arnolfo si mosse allora verso Spoleto con l’intento di conquistarla e forse ci sarebbe riuscito se il fato non gli avesse remato contro. Infatti, durante la marcia, fu colto da una paralisi che lo costrinse ad una rapida ritirata decretando la vittoria degli spoletini. Rappresaglie e rivolte fecero precipitare Roma nel caos.
Correva l’anno 896. Il papa morì poco dopo lasciando adito a molti dubbi sulla reale causa del decesso.
Gli successe Bonifacio VI, che durò per soli quindici giorni, poi Stefano VI che era stato suo tenace rivale. Fu appunto quest’ultimo il responsabile del terribile Sinodo del cadavere.
Forse spinto anche dall’amicizia politica con il ducato di Spoleto, il neoeletto papa ordinò di esumare il corpo già in decomposizione di Formoso, vestirlo con i paramenti pontifici e posizionarlo su un trono legandolo bene affinché rimanesse fermo. L’intenzione era incolpare il predecessore di atti sacrileghi riprendendo peraltro le motivazioni avanzate ai tempi della scomunica. Alcuni hanno suggerito che una siffatta impostazione ricalcasse la procedura giudiziaria germanica che prevedeva la partecipazione del corpus delicti e, se necessario, addirittura di un cadavere.
Fatto sta che il processo ebbe luogo nella Basilica di San Giovanni in Laterano e contò la presenza dei prelati più importanti della curia oltre che di Lamberto e Ageltrude; la difesa fu affidata ad un giovane diacono che tentò sommessamente di contrastare le accuse mosse da Stefano in persona.
I cronisti definirono la scena raccapricciante. Il papa in carica scagliava persino maledizioni e anatemi contro l’imputato che era morto oramai da nove mesi: “Perché, uomo ambizioso, hai tu usurpato la cattedra apostolica di Roma, tu che eri già vescovo di Porto?” (Gregorovius, Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter).
Ironia della sorte, anche Stefano VI era salito al soglio pontificio in deroga al divieto canonico di traslazione ed era stato proprio il suo nemico a consacrarlo vescovo di Anagni. Era perciò chiara l’importanza di quel processo giacché un verdetto di condanna avrebbe invalidato l’ordinazione episcopale regolarizzando la posizione dell’attuale pontefice.
Così avvenne. Formoso fu giudicato colpevole di conseguenza tutti i suoi decreti furono dichiarati nulli, le vesti papali gli furono strappate di dosso e le tre dita della mano destra -usate per le benedizioni- gli furono amputate.
Il suo corpo denudato fu trascinato per le strade della città per poi essere inumato in un cimitero fuori dalle terre della Chiesa. Da lì fu dissotterrato una seconda volta e, infine, gettato nel Tevere.
Leggenda vuole che il cadavere percorse venti miglia prima di essere ripescato da un monaco che lo tenne nascosto fino alla morte di Stefano che non tardò ad arrivare.
Il Synodus Horrenda aveva, infatti, suscitato nel popolo un moto d’indignazione così forte che si tradusse con la cattura, la deposizione e l’uccisione del suo artefice.
Sotto i successivi pontificati, Formoso fu riabilitato: il suo corpo, ricondotto a San Pietro con una solenne cerimonia, fu inumato tra le tombe degli apostoli e tutte le decisioni del processo furono annullate. La contesa sulla sua figura durò ancora qualche tempo per poi sopirsi definitivamente.
I suoi accusatori non erano riusciti nell’intento di operare una damnatio memoriae che, sulla scorta delle reminiscenze classiche, avrebbe cancellato del tutto il nome di Formoso impedendogli di sopravvivere nella memoria della gente.
Anzi, il Sinodo del cadavere, che aveva segnato uno dei momenti della decadenza pontificia, sfuggì all’oblio del tempo rimanendo vivido nei racconti come monito per le future generazioni: simili processi sui morti furono definitivamente vietati.
E solo allora, finalmente, Papa Formoso riuscì a trovare nell’eterno riposo la pace tanto agognata.
Foto di pubblico dominio. Fonte: Wikipedia
Il tuo metodo di scrittura è incisivo, diretto ed esaustivo. Non vedo l’ora che esca un altro articolo per potermi deliziare del suo metodo di scrittura
Le sono grata per le parole che mi ha dedicato, è incoraggiante ricevere complimenti così belli! A presto con un nuovo articolo, Arianna