Tutto esaurito per i Muse, tornati a Roma dopo 7 anni

10556_originalDopo ben 7 anni il trio inglese ritorna nella capitale e lo fa in grande stile, prima facendo registrare da mesi un “tutto esaurito” in una venue non certo piccola e successivamente annunciando che lo spettacolo sarà registrato per un live DVD/Blu-ray.

Entrando nello stadio ci si accorge di come i Muse non badino certo a spese per intrattenere il loro pubblico, l’immenso palco è posizionato davanti la curva sud ed è costituito da una lunga passerella che arriva fino al centro del campo ed è ornato da un grade telo su cui vengono proiettate diverse immagini e 6 ciminiere pronte a sputare fuoco.

Il concerto viene aperto dal giovane gruppo inglese “We Are The Ocean”, una rock band capace di coinvolgere con le loro canzoni semplici e dirette il pubblico. Dopo questa esibizione si presenta sul palco il trio inglese “Arcane Roots”, i quali si rivelano essere una piacevolissima sorpresa: la loro sonorità è costituita da un misto di alternative, progressive ed indie, il tutto condito con complesse ritmiche ed impressionanti cambi tempo, inoltre la voce leggera e potente del cantante viene di tanto in tanto ottimamente supportata dai furiosi scream del bassista. Unico neo dell’esibizione è stata la scarsa capacità di coinvolgere il pubblico forse distratto dall’arrivo imminente degli headliner e comunque provato dal forte temporale che ha preceduto l’apertura dei cancelli.

Dopo gli ultimi ritocchi al palco, con uno stadio pieno fino all’orlo ed in trepidante attesa, un telegiornale, tanto apocalittico quanto realistico, lancia la band di Bellamy e soci. Il primo pezzo che propongono è Supremacy, l’opener della loro ultima fatica “The 2nd Law”, il riff di chitarra, che fa scatenare il pubblico, è tanto carico e scandito da ricordare un pezzo dei californiani Rage Against The Machine. Con la successiva Panic Station, si nota ancor di più il tono critico e di protesta nei confronti dei potenti della terra e dello scellerato modello economico che ci ostiniamo a seguire, infatti vediamo il Papa, Obama, la Merkel e Xi Jinping ballare spensierati ed allegri sul mondo. Quello a cui assiste il pubblico non è solo un semplice concerto ma una rappresentazione in cui i Muse, supportati da due ottimi attori che di tanto in tanto compaiono sul palco, denunciano la sete di denaro e potere della nostra società; durante i brani Animals, Felling Good ed Undisclosed Desire infatti scopriamo come i comportamenti di quest’uomo e questa donna portano inevitabilmente ad una morte sia spirituale che fisica. Nella scaletta comunque non mancano i classici Plug in Baby, Hysteria, Time Is Running Out, Stockholm Syndrome e Supermassive Black Hole, durante i quali il pubblico viene deliziato da spettacoli pirotecnici e fiammate. Degni di nota sono i brani Guiding Light e Unsustainable; durante il primo una vera e propria lampadina gigante ha sorvolato il pubblico mentre durante il secondo un robot gigante ha solcato il palco. Nell’encore finale vengono proposte le “hit” Uprising e Starlight ed al termine di queste, un pubblico ancora assetato di musica acclama a gran voce il classico New Born ma c’è solo tempo per i veloci saluti finali.

Se proprio vogliamo trovare un difetto in questo show, sicuramente la mancanza di alcuni pezzi storici della band e l’eccessivo utilizzo della passerella hanno fatto rispettivamente storcere il naso ad i seguaci di vecchia data e fatto storcere il collo ad i tanti che si sono guadagnati le prime file mettendosi in coda fin dall’alba. Matt, Chris e Dominic comunque non tradiscono le aspettative dei fan e questo “The Unsustainable Tour” verrà certamente ricordato negli anni.

di Angelo Nicotra

foto: Muse

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