The Repairman, la prima prova di un regista da tenere d’occhio

RepairmanScanio Libertetti (Daniele Savoca) è un ingegnere fallito che per vivere ripara macchine del caffè da bar a casa, nella provincia di Cuneo. Pochi amici più uno zio fornaio. Una camminata a papera, capelli incolti, barba, e camicie rimediate. Una casa in prestito e una vita lenta. L’unica volta che ha corso, era per aiutare la sua fidanzata (Hannah Croft), ma gli hanno revocato la patente.

Il corso di “recupero” dà l’occasione a Scanio per raccontare il suo ultimo anno. The Repairman è stato presentato due anni fa al Torino Film Festival, città natale del regista Paolo Mitton che dopo il diploma, al Politecnico, va a lavorare come tecnico di effetti speciali per il cinema a Londra, Bruxelles, Parigi (ha curato Harry Potter, Troy, La fabbrica di cioccolato).

Mitton, inventa il suo personaggio creando un racconto garbato, a tratti noioso, sulla vita di un giovane nerd di provincia che cerca di vivere la sua esistenza senza per forza dover mescolare la sua vita con quella degli altri. Scanio sceglie di abitare nel suo mondo lento e incompreso perché quello è. I tentativi dei suoi amici di farlo sentire inadeguato creano in lui solo una velata esitazione, quando domanda a suo zio: “Ma secondo te io sto male?”. “No”, è la nostra risposta.

Cosa manca a Scanio per sentirsi integrato? Una decappottabile? Di partecipare agli incontri mondani? Di avere un lavoro fatto di otto ore consecutive? Siamo fuori tempo massimo per considerare una persona timida, goffa, appassionata di elettronica, che monta e smonta oggetti, che si veste male, che non ha un lavoro e che non è in grado di rendere felice la propria donna come uno fuori dagli schemi.

Chi non funziona non è Scanio e la sua ossessione per il rilevatore di onde magnetiche, ma gli altri, quelli che gli stanno intorno e non sono in grado di cogliere quello che Scanio ha in più, non in meno.

Ciò che rivela il film è l’assurdità di certi cliché della società. Il soggiorno, il passeggino, la decappottabile, il lavoro sicuro, stare dentro la linea. Ciò che salva il film è la bella fotografia delle langhe piemontesi, il ritmo che a volte annoia ma altre sorprende lo spettatore, nonostante la sceneggiatura debole. Ma anche e sopratutto l’allure internazionale che si respira dalla prima scena, a cominciare dalle battute ironiche ben lontane da certa comicità italiana.

Una nota di merito va anche alla bellissima, anche se non originale, oca che vola nei titoli di coda. Un esordio gentile e molto interessante quello di Mitton, che riteniamo abbia tutte le intenzioni di tornare presto dietro la macchina da presa.

di Patrizia Angona

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