The dinner, la menzogna è servita

the-dinnerLa questione è tutta qua. È che il mondo sta diventando sempre di più un posto inabitabile per le persone sincere, oneste e pulite. E allora, i pochi sani vengono magicamente chiamati pazzi, strani o emarginati. Verrebbe da chiedersi da dove proviene tutto quest’odio generale, questa insoddisfazione continua per le cose che non si hanno o per ciò che si vorrebbe essere.

Una sera, in ristorante ultra chic due fratelli cenano con le proprie mogli. Detta così sembrerebbe nulla di strano, ma c’è decisamente qualcosa che non va.

Oren Moverman, dopo il grande successo di Io non sono qui (pellicola onirico/biografica sulla vita di Bob Dylan) torna a incantare con un film crudo, vero e senza fronzoli. Lento, cupo e schietto il regista non ha voluto lasciare nulla all’immaginazione, anzi: la situazione paradossale fa sì che la bruttezza di ogni personaggio uscisse da sola come accade nella vita reale. I flashback esplicativi servono a completare la storia ma nulla di più. Il cast formato da stelle di Hollywood abituate ad immortalare leggende e protagonisti dal cuore d’oro si ritrovano a far i conti con poche poesie e troppe verità.

Richard Gere, fratello maggiore, senatore, esempio perfetto del maschio alpha che cade sempre, sempre in piedi mentre dall’altra parte c’è uno Steve Coogan traumatizzato, spaventato e forse l’unico che dice ciò che pensa.

Una fotografia quasi assente e un cupo giallore ad accompagnare ogni scena rappresentano, insieme ai significativi monologhi del “fratello pazzo” la volontà di una denuncia sociale a tutto ciò che il lusso, il potere e la politica rappresenti. Film interessante da vedere in queste giornate di tumulto politico, di dubbio e apprensione per il futuro. Che sia da monito però, che il futuro non rappresenti un alibi per poter mettere in secondo piano moralità e giustizia.

C’è un sistema che è così grande e oleato da spaventare anche i più coraggiosi avventori di giustizia, schiacciandoli e umiliandoli. No, si potrebbe far meglio di così.

Il ruolo delle due mogli, più la terza nei flashback è stato senza dubbio compatto, come guerriere pronte a difendere a qualsiasi costo il bene della prole. E se fosse proprio la prole ad aver assorbito tutto il negativo ed ora fosse troppo tardi? Cosa fare quando l’errore compiuto non ha un rimedio equo per tutti?

Il finale istrionico racchiude il senso della pellicola, ovvero che quella sia stata solo una parentesi di verità in mezzo ad una quotidianità costellata di sorrisi finti, e menzogne dette talmente tante volte da non sembrare più tali.

Come disse saggiamente George Orwell nella sua celebre Fattoria degli animali, 1945, “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.”

Forse è giunto il tempo di rivoluzione prima che tutto affondi da sé.

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