Spugne marine: starnutiscono per rilasciare rifiuti indesiderati

Uno studio ha evidenziato che le spugne marine (Porifera) possono starnutire per sbloccare i loro sistemi di filtraggio interni

spugne

Spugne: spiegato in parte lo strano fenomeno 

Spugne marine. Starnutire non è solo una prerogativa degli esseri umani. Una singolare ricerca, pubblicata sulla rivista Current Biology , ha evidenziato che anche le spugne marine sono in grado di farlo. Loro tuttavia utilizzano questo stratagemma, per rimuovere le sostanze più indesiderate o persino gli agenti patogeni nel proprio corpo.

Lo studio, condotto dall’Università di Amsterdam e dal biologo marino Jasper de Goeij, ha scoperto altresì che il loro muco può essere usato sia come nutriente dalla fauna associata oppure rilasciato nell’ambiente.

Oggetto della ricerca del team sono state due specie di spugne: la spugna tubolare Aplysina archeri dei Caraibi e un’altra spugna del genere Chelonaplysilla, che vive nella regione indo-pacifica.

Cercavamo la “cacca” delle spugne 

Il dottor Jasper de Goeij, ha rivelato che in realtà il team stava cercando di capire come defecano le misteriose creature marine. Esaminando dei video timelapse invece, «abbiamo scoperto che molto del materiale [espulso] … era formato probabilmente da particelle inorganiche, cioè sabbia e sedimenti. Tutte cose che le spugne non possono usare, che forse intasano il sistema e di cui devono sbarazzarsi».

Il muco usciva dagli ostii (orifizi) delle creature, viaggiava lungo percorsi ben precisi sulla superficie della spugna, definiti “autostrade del muco” – e si accumulava in grumi. Occasionalmente la spugna si contraeva e spingeva questi grumi nell’acqua circostante. Circa l’81% del muco conteneva sedimenti inorganici, secondo lo studio. L’altro 19% era ricco di carbonio e azoto, il che lo rendeva commestibile per altri animali, come gamberetti e piccoli crostacei.

Spugne: “filtri viventi” preziosi per l’ecosistema 

Le spugne hanno fatto la loro prima comparsa sulla Terra almeno 600 milioni di anni fa. Sono delle creature multicellulari prive di nervi, muscoli e cervello, con molte piccole bocche e una o più aperture di deflusso più grandi. Le “piccole bocche” sono chiamate ostii e le aperture in cui scorre l’acqua si chiamano oscole. 

Essendo dei “filtri viventi”, svolgono un ruolo cruciale nei loro ecosistemi acquatici. Assorbono acqua piena di materia organica varia (plancton e batteri), la elaborano e infine la rilasciano sotto forma di rifiuti. «Gran parte della materia organica presente nell’acqua della barriera corallina non è abbastanza concentrata da poter fornire nutrimento ad altri animali. Le spugne trasformano questo materiale in muco commestibile»-ha spiegato Niklas Kornder, primo autore dello studio. Nutrimento indispensabile per la sopravvivenza di organismi come lumache, stelle marine e vermi tubolari. 

«È qualcosa che non abbiamo mai visto prima», ha dichiarato la prof.ssa Sally Leys, esperta di spugne dell’Università di Alberta (Canada) e coautrice della ricerca.

Starnuti a confronto: uomini e spugne

«Facciamo chiarezza: le spugne non starnutiscono come gli umani», ha precisato de Goeij in un comunicato stampa, aggiungendo che uno starnuto di spugna richiede circa mezz’ora per essere completato. «Ma sia la spugna sia gli starnuti umani rappresentano un meccanismo di smaltimento dei rifiuti».

Molti aspetti ancora da scoprire sugli starnuti delle spugne 

I risultati dello studio e di alcune immersioni in acque profonde suggeriscono che:

  • La maggior parte, e non solo le due specie di spugne esaminate, starnutiscono;
  • Probabilmente si tratta di una forma di adattamento evolutivo necessario per mantenersi pulite.

Tuttavia, secondo Niklas Kornder il fenomeno deve essere ancora approfondito. «Sono necessarie ulteriori analisi per sapere cosa succede durante un comportamento così complesso». 

Tra le domande senza risposta:

  1. Cosa fa starnutire esattamente una spugna?
  2. Come viene spostato il muco?
  3. Quanto è diffuso il fenomeno tra le spugne?

Spugne e nesso con l’evoluzione della specie 

Blake Ushijima, biologo marino dell‘Università di Wilmington (Carolina del Nord), non coinvolto nel nuovo studio, pensa che questa ricerca potrebbe fornire utili indizi sull’evoluzione umana.

Questo potrebbe darci indizi su come la vita si sia evoluta, a partire da questi organismi senza cervello, fino ad arrivare agli organismi complessi che costruiscono astronavi”.

Fonti: Current BiologyNew Scientist

Foto di Dimitris Vetsikas da Pixabay

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