Sindone. Un nuovo studio, che ha utilizzato una tecnica di analisi con i raggi X, avrebbe rivelato alcune novità sulla datazione della Sindone. I tecnici avrebbero misurato l’invecchiamento naturale della cellulosa di lino, convertendolo in tempo trascorso dalla sua produzione. Su questa base, i ricercatori hanno stabilito che la Sindone sarebbe stata conservata a circa 23 gradi e con un’umidità relativa del 55% per 13 secoli prima di giungere in Europa. Quindi, in base a tale studio, il lenzuolo risalirebbe al I secolo d.C., cioè all’epoca di Gesù. L’immagine, tuttavia, potrebbe essere stata impressa in un secondo tempo.
Non entriamo nel merito di tali rilevazioni, non essendo degli scienziati. A nostro parere, peraltro, l’esistenza di un telo sepolcrale, con impressa un’immagine di Gesù dopo la sepoltura, potrebbe creare più problemi al credente di quanti ne possa risolvere. Perché mai Gesù avrebbe lasciato la sua immagine ai posteri?
Non bastava la sua rivelazione, descritta nei vangeli, i miracoli e la sua resurrezione? E perché i vangeli non parlano di un’immagine di Gesù impressa sul telo ritrovato nel sepolcro, dopo la resurrezione? E per quale motivo la Sindone è stata tenuta nascosta per secoli, per poi riapparire nel medio-evo? La stessa Chiesa, d’altronde, definisce una qualsiasi reliquia semplicemente come “forma di religiosità popolare”. Non come l’attestazione di quanto contenuto nella sua dottrina.
Discutibile l’analisi della datazione della Sindone effettuata nel 1988
In precedenza (1988), la datazione scientifica della Sindone fu rilevata su alcuni campioni di essa in base alla tecnica del Carbonio 14. Fu la Chiesa stessa ad autorizzare la diffusione della notizia in una conferenza stampa molto prima della pubblicazione ufficiale del rapporto scientifico. Si seppe così, leggendo il risultato su una lavagnetta, che la Sindone sarebbe stata realizzata in un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Circa 13 secoli, quindi, dopo la Crocifissione.
Stranamente tale “forbice” si sovrapponeva per circa il 25% al periodo in cui la Sindone sicuramente già esisteva. Si sa per certo, infatti, che il telo fu mostrato per la prima volta al pubblico nel 1353 a Lirey (Francia). Da allora in poi è stata periodicamente esposta. Pertanto il responso del C14, almeno per la parte 1353-1390, era sicuramente errato.
Quando, poi, furono pubblicati i risultati scientifici dell’analisi del 1988, gli esperti constatarono che un campione su tre aveva dato un risultato scientificamente inutilizzabile. Inoltre, i campioni di controllo erano andati smarriti. Quindi non era più possibile effettuare una “controprova”. Passarono altri anni e qualcuno fece notare che tutti i campioni erano stati tratti dalla porzione di telo (il margine) più facilmente contaminata. E, probabilmente, anche rammendata nei secoli.
Il Mandylion, predecessore della Sindone esistente a Costantinopoli tra il 944 e il 1204
Ritenuta, quindi, molto discutibile l’analisi scientifica del 1988, lo storico avrebbe comunque molte obiezioni ad accettare una datazione così “alta” della Sindone. Appare difficile immaginare che la Sindone conservata a partire dal 1353 non sia il Mandylion esposto a Costantinopoli sino al 1204. In tale anno l’attuale Istanbul fu saccheggiata dai crociati e il Mandylion trafugato, forse dai cavalieri templari. Il proprietario del telo di Lirey del 1353 – guarda caso – era il discendente diretto di uno dei più importanti templari di un secolo e mezzo prima.
Il Mandylion sarebbe giunto a Costantinopoli nel 944 d.C. proveniente da Edessa (Urfa, Turchia). Di tale evento il prof. Gino Zaninotto, nel 1997, ha rinvenuto un antico testo nella Biblioteca Vaticana. Descrive la raffigurazione del telo con l’immagine fronte-retro del corpo di un uomo crocifisso. Proprio come quella della Sindone. A Edessa la Sindone/Mandylion sarebbe stata conservata tra la fine del VI e la metà del X secolo d.C. Per lo storico, in base alle conoscenze attuali, questa dovrebbe essere la datazione della Sindone.
Sicuramente, poi, la Sindone – vera o falsa che sia – va fatta risalire a un periodo in cui si sapeva che i condannati venivano inchiodati alla croce per i polsi e non per i palmi delle mani. Così risulta infatti per l’uomo della Sindone. Le rappresentazioni pittoriche medioevali della crocifissione, invece, mostrano sempre i palmi delle mani con i chiodi al centro. Quindi, la Sindone è sicuramente precedente al Medio Evo.
Le macchie di sangue non coincidono con le ferite raffigurate sul telo
Si fa presente che le macchie di sangue non coincidono con le ferite che compaiono sull’immagine impressa sul telo. Come se le macchie siano state impresse per contatto. L’immagine, invece, deve essersi formata mentre il telo era steso sul corpo ma a una certa distanza da esso. In ogni modo, la scienza attuale non riesce a spiegarsi come possa essersi formata su quel telo l’immagine di un uomo crocifisso. Possiamo soltanto immaginarlo partendo da alcuni dati sicuri.
Di certo, chi l’ha prodotta deve essere stato in possesso di conoscenze scientifiche e capacità superiori a quelle attuali. Anche partendo da questa considerazione il Medio Evo sembra il periodo meno indicato per la sua produzione. Meglio ipotizzare qualche scienziato o un gruppo di scienziati, forse alessandrini. Al servizio di qualche potente dell’Impero romano d’Oriente già cristianizzato.
Inoltre – è inutile girarci attorno – i realizzatori della Sindone devono aver in precedenza torturato e ucciso mediante crocifissione un “povero Cristo”. Per poi imprimere sul telo la sua immagine in base a un procedimento che non conosciamo e non siamo ancora riusciti a scoprire. Ci scapperebbe di dire: in base a un procedimento “miracoloso”.
La Sindone presenta l’immagine in negativo come quelle prodotte da una camera oscura
Un elemento determinante per capire come si sia formata l’immagine, a nostro parere, è il fatto che appaia come un negativo fotografico. Il sepolcro – o il luogo dove i “falsari” avrebbero operato – deve essersi comportato come una “camera oscura”. A un certo punto una luce dovrebbe essersi sprigionata per alcuni centesimi di secondo. Poi, come all’interno di una macchina fotografica, l’immagine deve essersi formata – in negativo – sul telo.
A questo punto, un brivido è sorto nella mente del modesto cronista che, umilmente, cercava di capire il mistero della Sindone. È stato quando si è reso conto che il luogo più probabile da cui può essere provenuta la fonte di luce è proprio il corpo dell’uomo crocifisso e poi deposto nel telo. Sottovoce, allora, chi scrive si è chiesto: «E se fosse vera?».
Se fosse più realistico che un gruppo di scienziati del tardo Impero Romano abbiano compiuto il miracolo di far scaturire un fascio di luce dal corpo di un uomo crocifisso. Oppure se sia stato quell’uomo stesso, ancora in vita o addirittura tornato a vivere, a voler illuminare per un centesimo di secondo il suo sudario. E produrre così l’immagine in negativo del suo corpo sul lenzuolo stesso.
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