
Il nostro pensiero è la più potente forza creatrice a nostra disposizione. E’ il pensiero che può darci quella pace e quiete che tanto cerchiamo. E’ il pensiero che può permetterci di attirare a noi ciò che desideriamo.
Siamo dunque ciò che pensiamo?
No. I pensieri sono molto più “illusori” di quanto ci rendiamo conto.
Chi è che pensa? Cosa sono i pensieri?
In realtà siamo ciò che abbiamo imparato ad essere, siamo frutto delle nostre esperienze passate, dei nostri piccoli traumi, delle nostre felicità, dei nostri blocchi, del nostro bagaglio culturale, di ciò che abbiamo imparato, di ciò che ci hanno indicato come “strada da seguire”.
La nostra personalità è una sorta di “flusso permanente”, possediamo infatti un certo numero di istruzioni automatiche preelaborate, figlie delle esperienze passate, che abbiamo memorizzato e che utilizziamo in qualsiasi circostanza.
La storia dell’elefante incatenato.
Per riflettere sulla nostra vita è utile leggere un passaggio molto significativo e profondo, tratto da “dejame que te cuente” dello scrittore argentino Jorge Bucay
“Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
Era davvero un bel mistero.
Che cosa lo teneva legato, allora?
Perché non scappava?
Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell’elefante. Qualcuno di loro mi spiegò che l’elefante non scappava perché era ammaestrato.
Allora posi la domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perchélo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio da trovare la risposta giusta:
L’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui.
Lo vedevo addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il giorno dopo e quello dopo ancora…Finché un giorno, un giorno terribile per la sua storia, l’animale accettò l’impotenza rassegnandosi al proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare. Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito dopo la nascita”.
Ebbene anche noi siamo un pò come l’elefantino: abbiamo inciso nella nostra memoria il messaggio “non posso” e così andiamo in giro incatenati a migliaia di paletti che ci privano della nostra libertà.
Siamo come degli automi e viviamo pensando che “non possiamo” fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, quando eravamo piccoli, ci avevamo provato ed avevamo fallito.
Siamo cresciuti portandoci dietro il messaggio che ci siamo trasmessi da soli, perciò non proviamo più a liberarci del paletto.
Viviamo condizionati da un ricordo che non esiste più.
Questo esempio ci fa capire che il pensiero che nasce in noi è spesso associato a qualche esperienza legata al passato che è stata trasformata da un evento esterno o da un esperienza.
Una regressione nel passato, un cambiamento verso il futuro
Se andiamo a ritroso nel nostro passato saremo in grado di capire quando sono nati alcuni nostri pensieri e perché alcuni elementi esterni ci hanno trasformato.
Una volta che avremo fatto chiarezza sul nostro pensiero e che lo avremo attentamente analizzato, potremo capire in quale direzione vogliamo indirizzare il nostro cammino di consapevolezza, come vogliamo evolvere e soprattutto possiamo chiedere a noi stessi quanto crediamo ai nostri stessi pensieri.
Il nostro pensiero è davvero reale?
Per farlo dobbiamo capire se il nostro pensiero è reale o è frutto di riferimenti esterni stereotipati che lo hanno reso tale.
Convinzioni
Quando siamo convinti di ciò che pensiamo tendiamo a far comprendere agli altri che il nostro pensiero sia assolutamente corretto. Siamo talmente legati ad esso che lo rendiamo vero.
Ma forse stiamo sbagliando…
Per meglio comprendere l’errore, citerò la metafora contenuta nel libro “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, di Robert Pirsig in cui l’autore descrive l’esempio della “vecchia trappola indiana per le scimmie”.
La trappola “consiste in una noce di cocco svuotata e legata a uno steccato con una catena, contenente del riso che si può prendere infilando la mano in un buco. L’apertura è grande quanto basta perché entri la mano della scimmia, ma è troppo piccola perché ne esca il suo pugno pieno di riso. La scimmia infila la mano e si ritrova intrappolata.
Si tratta di una metafora della nostra immobilità di fronte al cambiamento: siamo così attaccati alle nostre idee ed ai nostri pensieri che non riusciamo a liberarcene neanche quando essi si ritorcono contro di noi.
Liberiamoci delle vecchie idee
A volte è proprio l’esperienza a creare problemi.
John Maynard Keynes disse “la difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel liberarsi di quelle vecchie”.
Un esempio che rafforza l’affermazione di Keynes è quello che gli psicologi chiamano effetto Einstellung, che spiega come i preconcetti possano impedirci di vedere un modo migliore di fare le cose.
L’effetto Einstellung si annida in ogni angolo della nostra esistenza, e può avere conseguenze molto gravi.
Possiamo intervenire sul nostro pensiero?
Il mondo che ci circonda forma la nostra mentalità ed il nostro pensiero “acquisito” plasma il nostro futuro.
Grazie alla meditazione ed alla consapevolezza saremo in grado di liberarci dai pensieri precostituiti evitando a fattori esterni di condizionare ciò che pensiamo e chi siamo realmente, ma per farlo dobbiamo imparare ad essere presenti riportando armonia dentro di noi – tra corpo, mente e spirito.
Saremo così pronti al “cambiamento” che consiste nel realizzare pensieri nuovi in linea con il nostro vero “Io”.
Come risultato finale otterremo la completa padronanza di noi stessi.
Foto di Arek Socha da Pixabay
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