Sentirsi donne

“Donna, difficilmente riesco ad esprimere le mie emozioni […], dopotutto sono per sempre in debito con te”. In Woman (Donna), ode scritta per la moglie Yoko Ono, John Lennon offre anche un omaggio a tutto il genere femminile, sussurrando una romantica dedica ad inizio canzone: “per l’altra metà del cielo”.

La festa delle donne

Superando banalizzazioni e commercializzazioni legate alla festa, l’8 marzo dovrebbe rappresentare una data carica di significato, “ogni giorno”: celebrare la donna nella sua accezione storico-culturale. Perché, ad oggi, le ‘lontane’ lotte femministe che affondano le proprie origini agli inizi del ‘900 non sono dopotutto così anacronistiche. Un fiore è gradito, ovvio, a patto che questo profumi di libertà. Un auspicio di indipendenza ed autorealizzazione che può essere espresso con il titolo della canzone “You don’t own me”, per la prima volta su un palco nel 1963 con Lesley Gore: “Tu non mi possiedi, non sono di tua proprietà, non dirmi cosa fare, non dirmi cosa dire”.

Allora forse si ritroverà il senso dei festeggiamenti.

Un  processo storico

Una storia spesso raccontata per spiegare le origini di questa festa è l’incendio dell’industria tessile a New York, in cui lavoravano solo donne. Era l’8 marzo del 1909: stanche dei soprusi e delle condizioni disumane a cui erano costrette, le lavoratrici iniziarono a scioperare, ma i padroni bloccarono le uscite della fabbrica; scoppiò un incendio e 129 donne morirono intrappolate tra le fiamme.

I primi passi verso la questione femminista furono compiuti tuttavia già nel 1907, quando si iniziò a lottare per il suffragio universale, durante il Congresso della seconda Internazionale Socialista a Stoccarda. La prima giornata non ufficiale della donna risale al 3 maggio 1908 a Chicago, in seguito al discorso pubblico di una donna nel contesto del partito socialista sull’importanza del voto femminile; da quella data si iniziò a parlare di “una giornata delle donne”, “Women’s day”.

Grandi traguardi

La prima festa pubblicamente riconosciuta nacque in America il 28 febbraio 1909, in occasione della manifestazione del partito socialista a sostegno del diritto delle donne al voto: le donne scesero in piazza, chiedendo un aumento del salario e il miglioramento delle condizioni lavorative. Nel 1910, durante il congresso socialista di Copenaghen, si decise di dichiarare la Giornata Internazionale delle donne per sostenere il suffragio universale e promuovere i loro diritti. In seguito, l’8 marzo divenne la data più diffusa.

In Italia si dovrà aspettare la fine della seconda guerra mondiale: l’8 marzo 1945 venne infatti festeggiata per la prima volta la donna dell’Italia libera, molto sentita anche per una grandiosa conquista: le donne italiane finalmente avevano diritto di voto.

Il coraggio di dire “no”

Se tra “Quello che le donne non dicono”, ci sono ancora tanti e dolci “si”, possiamo  annoverare anche tanti e resistenti “no” Un no che non sempre trova il giusto spazio, che spesso resta in silenzio, ma che altrettante volte riesce ad imporsi; i no più difficili sono spesso quelli che emergono “solitari”, di chi tenta nella massa di liberarsi dalle catene culturali. E non è necessario arrivare in Medio Oriente per scorgere nefandezze sessiste legate alla categorizzazione sociale dell’essere donna: se in un paese come l’Arabia Saudita troviamo il divieto per una donna di aprire un proprio conto bancario o spazi pubblici divisi in sezione dedicate in base al sesso, più vicino a noi troviamo chi ancora può pensare di invitare una donna che esprime solidarietà ad “aprire le proprie cosce facendosi pagare”, per esempio.

Ciò detto, non si vuole escludere a priori eventuali e colorite risposte rivolte a soggetti di sesso maschile, ma suvvia, non peccheremmo di vittimismo riconoscendo che le donne “si prestano” più facilmente degli uomini a luoghi comuni un po’ equivoci. E non sono solo parole, no, perché “ se le parole fossero la traduzione dei pensieri beh allora … forse la cultura potrebbe diventare pericolosa” (Paola Cortellesi).

L’insostenibile leggerezza di essere donna

Oggi il coraggioso “no!” di una Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del premio nobel per la pace, riconosciutole per il suo impegno nel diritto all’istruzione delle donne in Pakistan, si affianca a quello di epoche meno recenti, quando una Emmeline Pankhurst, attivista e politica britannica, considerata tra le 100 persone più importanti del XX secolo, si impegnava nella dura lotta per i diritti delle donne in Occidente.

Insomma, un’identità di genere che spesso costringe, pesa, e che per gli stessi motivi  altrettanto spesso gratifica. Il coraggio di osare di essere donna è anche questo.  

L’invito gridato ad alta voce da Beyoncé in “Run the world (Girls)” si sta facendo strada nel mondo. Non si tratta di lasciare che il gentil sesso comandi, ma piuttosto che viva pienamente il proprio essere donna, dall’affermazione professionale alla maternità.

C’è sempre una prima … donna.

Così , ad esmepio, ad oltre 10 anni dalla sua morte, ricordiamo con affetto e ammirazione Diana Spencer, la donna che ha saputo scardinare una cultura antica e patriarcale, definita dalla scrittrice Marta Lonzi  “una femminista a Buckingam Palace” ; Marie Curie, per essere stata la prima donna ad insegnare presso la prestigiosa Università Sorbona di Parigi; Rita Levi Montalcini, la prima donna ad essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze, tra tanti altri meriti; Margherita Hack, mente brillante della comunità scientifica, prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia.

Man! I feel like a woman”

E allora non è più necessario mascherare  l’ essere donna per “confonderci un po’ e  per la voglia di capire chi non riesce più a parlare con noi”, finché abbiamo una Margherita Hack, una Marie Curie, una Rita Montalcini da rivendicare. E’ un po’ come dire “se l’ha fatto Amelia Earhart”, prima donna pilota ad aver attraversato l’Atlantico in solitaria, “posso farlo anche io”; se l’ha fatto Valentina Tereskova, prima donna a viaggiare nello spazio, possono esserci altre donne astronaute come lei. E sempre più facilmente si troverà una bambina che dirà “no! Voglio giocare anche io”, a quel ragazzo che le dirà di non poter giocare a calcio perché femmina, dopo l’esordio di una Carolina Morace, “prima punta”.

Il successo è donna

Non si stratta di aderire ad un femminismo radicale, né di odiare gli uomini. Il femminismo non è questo. Il movimento delle donne non è un’elucubrazione filosofica, bensì una necessità storica, nata per raggiungere la piena emancipazione della donna sul piano economico, giuridico, politico, sociale, familiare, che ancora oggi chiede di potersi liberare da alcuni ruoli o costrizioni.

L’emancipazione femminile assume diversi volti e parole, nel tempo e nello spazio; il significato è sempre lo stesso: libertà di sentirsi donna, oltre che di esserlo.

Auguri donne di tutto il mondo!

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