Oggi, 12 novembre, ricorre il settimo anniversario della strage di Nassiriya. Giorno infausto per i 19 italiani morti, tra militari e civili di stanza in Iraq nel 2003, per le famiglie delle vittime ma anche per la nazione intera. I 17 carabinieri e i due civili perirono in quella terra, teatro di violenti scontri tra gli uomini di Saddam Hussein e le forze armate alleate, mentre operavano con un unico obiettivo: portare pace e sostegno ad un popolo colpito impetuosamente dal fuoco nemico nella seconda guerra del golfo. Anche in quel caso, così come sempre più spesso capita negli attentati alle nostre truppe all’estero, la violenza bieca del terrorismo internazionale ci portò a piangere dei giovani valorosi, consapevoli dei rischi che correvano; ma almeno in cuor loro partiti con le “sole” armi della generosità e dell’umiltà, spontaneamente volte ad aiutare le persone irachene in estreme situazioni di difficoltà. Tuttavia, per non fare il gioco degli attentatori, anche davanti a questi eventi sanguinari non bisogna farsi vincere dall’ira ma fare propria l’idea che a compiere questi efferati delitti non sono i credenti di questa o quella religione ma solo gruppi di fanatici integralisti. Sfortunatamente in questa data un’altra brutta notizia ci giunge dalle agenzie dell’estremo oriente. Oggi ci informano infatti di una donna cristiana condannata a morte per impiccagione perché considerata blasfema da un tribunale pakistano. La donna, secondo la legge pachistana che punisce la blasfemia, è accusata di aver oltraggiato Maometto. Purtroppo ancora una volta dobbiamo constatare che nel mondo, laddove esistono governi condizionati dalla religione, prevale sempre di più l’estremismo religioso a discapito di un più ragionevole credo moderato presente nella stragrande maggioranza di ogni credente che, con un minimo di buon senso, di fronte a condanne così estreme, soffre sicuramente tanto quanto tutte le persone di religioni o culture diverse. Perché gli eccidi e le persecuzioni di fedeli nulla hanno a che fare con le religioni, sono solo atti di eversione pura, volti a fomentare le menti più deboli e a spingere l’intera umanità verso una guerra di religione che non avrebbe vincitori ma solo vinti. Per questo c’è necessità di reciprocità di culto. “Il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse la reciprocità in tutti i campi, la libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza” così sostiene Papa Benedetto XVI nell’esortazione post-sinodale “Verbum Domini” pubblicata ieri. I musulmani, così come gli ebrei, i cristiani, gli induisti, i buddisti e tutti gli altri fedeli a religioni diverse dalle nostre, sono confratelli che dedicano la loro vita e il loro amore ad un Dio con un nome diverso dal nostro. La soluzione è nell’apertura all’altro, al diverso, al prossimo. Bisogna seminare amore affinché la pace prevalga in tutto il mondo e ognuno possa essere libero di esprimere il proprio credo liberamente, ovunque risieda.
Enzo Di Stasio
Foto: www.raiuno.rai.it/
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