Roma Fashion Week: la moda Primavera/Estate 23

In calendario dall’11 al 15 luglio, la summer edition della Roma Fashion Week torna tra gli spazi del Guido Reni District, e come sempre rinnova l’impegno per la moda emergente e i progetti di nuova generazione. Per la Presidente Silvia Venturini Fendi: “Il vivaio di Altaroma è cresciuto e conta tanti nuovi giovani designer che partecipano a questa edizione […] a testimoniare come il processo di riposizionamento avviato qualche anno fa, che vede Roma come culla dello scouting e piattaforma di sostegno alla formazione e alla crescita dei nuovi talenti della moda, ha raggiunto una sua maturità”.

Contenitori come Showcase, super vetrina allestita in uno dei padiglioni, giunta orma alla sua decima edizione, e il collective show Rome is My Runway, si riconfermano infatti strumenti utili a creare sinergia tre le nuove proposte e l’esclusivo pubblico di settore (stampa e buyer); anche se malgrado il ritorno a un format fisico, i due anni di pandemia lasciano ancora vuoti, e a causa di alcune norme di contenimento, per questa edizione purtroppo, la platea si rivela meno corposa del solito. Ma il sentimento resta propositivo e l’interesse cade spesso sul desiderio di promozione, alimentato anche dagli investimenti sul digitale, e la possibilità di fruire i contenuti in diretta streaming, attraverso la piattaforma e la nuova App. 

“L’obiettivo è dare visibilità e attenzione a quei brand che iniziano questo percorso e che hanno bisogno di supporto nel loro posizionamento nel fashion system” commenta Adriano Franchi, Direttore Generale. “Dalla formazione delle scuole passando per Showcase, le collettive e le sfilate singole, tutti gli strumenti che Altaroma mette a disposizione dei propri designer sono interconnessi affinché il processo di crescita di ognuno sia completo e li prepari a calcare le passerelle sempre più importanti e strategiche”.

Per questa edizione, artigianato, nuove tecnologie e sostenibilità dunque si confermano caratteri dominanti per i brand coinvolti nei cinque giorni della kermesse capitolina che tra talk, sfilate ed eventi collaterali in giro per la città, dopo le incertezze dell’inverno trova di nuovo a puntare i riflettori sulla bellezza.

In ordine cronologico: dalle sfilate singole e dal progetto Rome is my Runway, ecco i nomi di alcuni designer con le inedite collezioni  

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Caterina Moro: Metamorphoses

Il verde di una vegetazione incontrollata si alterna al bianco e poi al malva, e poi al colore frusciante delle spighe, e semplifica una passerella trasognata e leggera. La natura, catturata in uno stato catatonico, è protagonista della demi-couture di Caterina Moro che stavolta le pensa tutte per chiudere il cerchio nella sua sfida con la sostenibilità. Si chiama Metamorphoses, la Primavera/Estate 23 della stilista romana, una linea che più green non si può: dall’ispirazione classica, con l’opera del Bernini che riprende Dafne, sfuggita ad Apollo, nell’atto di trasformarsi in alloro, al progetto Macromicro, in collaborazione con il fotografo Germano Serafini che a quattro mani con la designer cattura un microcosmo in fiore. Da qui i maxi pattern, dispiegati su completi in seta sostenibile (fornita dall’azienda Ratti Spa), ma anche su lino, denim e cotoni certificati. 

Le creazioni di Caterina Moro bivaccano nella foresta, catatoniche e mutevoli, portano con sé il fardello dell’urbanità, ripulendosi dagli eccessi ormai lasciati alle spalle. Nell’aria, le note al pianoforte di Yehezkel Raz si mescolano al canto mattutino di uccelli, al ronzio tenebroso di api e agli scrosci impetuosi, e la sensazione di immersione è profonda. Richiamando le lunghe passeggiate Zen della Moro, a lasciar traccia sono solo le impronte dell’erba sulla pelle naturale, e una forza primigenia si sfoga sull’Herbatium Waistcoat: superbo ensemble da materiale di recupero, più il solito latinismo che rende la commistione tra flora e urbe parca e ragionata.

Saman Loira: Il giardino di Venere

Il bianco e il nero narrano di un’ascesa, e dietro increspature affastellate, impreziosite da piume di struzzo e perle di fiume, passano tra luce e buio diventando significato. “Questo è un tema ricorrente nel nostro modo di fare moda, e l’idea di un cammino tra inferno e paradiso domina spesso le nostre collezioni” suggerisce Francesco Corcione, giovane creativo del brand Saman Loira, realtà partenopea, fondata nel 2020. Durante la Roma Fashion Week il marchio debutta con Il giardino di Venere, un pret à couture uomo donna che dagli spazi del Guido Reni District racconta tutta l’aspirazione verso l’alta moda parigina. Mitologia da mille e una notte e pura sofisticazione, tutto racchiuso nel nome. “Saman Loira è un binomio – spiega infatti Corcione -, dove Saman è persiano e vuole richiamare il mondo arabo, ed è una sorta d’ispirazione che stilisticamente ci segna, mentre la Loira è il fiume francese che invece ricorda la Francia e l’haute couture, e quindi l’aspirazione verso quell’idea sublime di savoir-faire”. 

L’esigenza di un’impronta statica è predominante anche grazie al lavorio di impuntare piuma dietro piuma e perla dopo perla. Il risultato è una sorta d’incompiutezza elaborata, dove sembra non esistere differenza tra bianco e nero, poiché l’impressione è quella di una romantica processione che nell’insieme si rivela gotica e sinistra. La natura è ripresa in divenire, con i suoi movimenti e le sue metamorfosi fiabesche, e prende spunto dalla mitologia greca, abbandonando ogni linearità classica e scegliendo la via barocca, quella pittorica, tipica della visione molteplice. Le piume sulle sete, infatti, diventano muschio per evitare di isolare le forme, e l’effetto finale è quello di un’unità in movimento, dove i dettagli si confondono, ma ciascuno di essi vive con intensità la propria manifestazione.

Alberto Audenino e la dedica a Margherita 

La gentilezza delle margherite prova a contagiare l’estro spericolato del designer di Alba e ciò che ne consegue è una visione apparentemente mitigata. E c’è un motivo. Dal Guido Reni District, Alberto Audenino presenta la Primavera/Estate 23 mettendo in passerella tutto ciò che Margherita avrebbe adorato: “la sfilata è dedicata a lei, alla mia carissima amica, la mia grande sostenitrice che ora non c’è più”, rivela sognante a fine show. Una gara tra provocazione e romanticismo sembra mettere alla prova Alberto, che ritorna in Capitale mettendosi a nudo con il proprio sentire, e prendendo dal decennio rampante – gli anni Ottanta -, solo ciò che è necessario all’oggi.

La stampa leopardo si spoglia dei classici toni e porta nei disegni il ricordo del simpatico fiore, ma in una versione blu e acquamarina. Proposte seducenti e grintose si alleano con il damascato total white di slipdress e comodi blazer con spalline pronunciate, e hanno tutta l’aria di un accordo furtivo con il designer di Alba, diviso tra i sentimenti travolgenti della dedica – leitmotiv della collezione -, e la sua identità stilistica impetuosa, sempre incastrata nel vorticoso loop degli anni 80. Il design è lineare e pulito, a parte qualche colpo di ruches a rallegrare le gonne asimmetriche dei completi, e gli spacchi inguinali che invece calcano sull’intenzione sempre graffiante. La presentazione si rivela dunque una prova, e Audenino lascia spazio al cuore e racconta la sua evoluzione. Dietro un velo di nostalgia, guarda al passato per costruire un futuro migliore, e nel défilé di chiusura risuona Send me an angel dei Real Life. (“Che poi il migliore non si sa dove sia”), però lui ci prova lo stesso.

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Annagiulia Firenze presenta Under my skin

Le voci delle due sorelle hanno la stessa gioia che in passerella ti vuole contagiare. “Il segreto sta nel fatto che siamo un family team che va molto d’accordo, e questo è già un grande motore” rivela Giulia dal backstage. Il furtivo scambio di parole con le designer, a fine presentazione, è sufficiente per capire che nei loro abiti, come in tutto ciò che fanno, esiste armonia, tanta ricerca e divertimento. “E poi c’è un’altra fortuna – aggiunge Anna -, abbiamo anche il vantaggio di parlare un linguaggio che fa parte di noi, della nostra storia, perché per noi è tutto naturale”.

Annagiulia Firenze nasce nel 2016, ma si porta dietro un mestiere che in famiglia dura da oltre settant’anni.  Con un atelier di alta moda e sposa – in via Giulia a Roma -, il nuovo progetto delle sorelle Mori rappresenta la sua parte collaterale: il luogo magico in cui scatenare una passione dirompente (quella del team) e una grande voglia di ricerca (quella di Anna). 

Dalla collettiva di Roma Fashion Week, il brand presenta Under My Skin. La Primavera/Estate 23 sfila sulle note calde e trascinanti di Sandi Thom, ed è subito un tripudio di colore – lime, verde mela, giallo sole, viola, lilla – una palette fluttuante su slipdress dalla modellistica semplice, che non segnano il corpo ma lasciano immaginare tutto quello che non si vede. Il romanticismo tipico del boudoir sottolinea l’anima leziosa del marchio e puntualmente si spezza a colpi audaci di rock & roll e color blocking. “Tutti i colori li tingiamo noi in pentola, proprio come si faceva una volta” rivela Giulia. Un approccio sostenibile, infatti, è retropalco del progetto, ma non la filosofia predominante. Da Annagiulia Firenze l’idea è semplice, sempre frizzante, e serve il giusto per trasportarti in un mondo dove è bandita ogni monotonia, mentre i richiami nostalgici sono irruenti, poiché mantengono il carattere forte dell’arte che si tramanda. 

Sabrina Persechino presenta Ombra

Dall’alto, ai due lati della passerella en plein air calano note grottesche e ancestrali, e il buio tiepido di un’estate romana cala con esse. È questo il sofisticato quadretto, orchestrato per Ombra, presentazione Autunno/Inverno 23 che dal piazzale interno del Guido Reni District chiude l’intensa kermesse capitolina, iniziata l’11 luglio. Si tratta dell’opera di Sabrina Persechino, l’architetto-designer che usa il suo background come cifra stilistica dell’eponimo atelier, e questa volta riflette sui giochi prospettici e sui concetti mutevoli di luci e ombre, imboccando per queste ultime, la via di una connotazione del tutto ottimistica. Ne sono oggetto gli abiti, un pret à couture dai rimandi antichi, e i cromatismi, una palette nei toni del porpora e del platino, coppia carica di simbolismo che fa da collante ai due non colori per eccellenza: il bianco e il nero. 

Le silhouette sono sinuose e accattivanti, e c’è un’intenzionalità primitivista. Su velluti cangianti e sete laserate, quadri concentrici luminosi portano nella loro figurazione anche le ombre, grazie ai profili bordati di scuro, rendendo così le geometrie, capaci di raccontare la visione: “Non si diventa illuminati immaginando la luce, ma divenendo coscienti del buio” recita infatti una nota del press release. Lo stile è sintetico e opulento, e dietro la ricerca di una chiave ottimista, le lame di metallo e i ricami ad intaglio rivelano un gusto Déco, mentre i diademi a nastro coprono fronte e capelli e continuano l’effetto ricercato nelle geometrie dei decori. A chiudere lo show, le percussioni tribali tacciono, e una proposta moderna per la sposa circumnaviga la passerella sull’arrangiamento di Hallelujah di Leonard Cohen. L’effetto è illuminante, paragonabile a quello dell’uscita da una galleria buia e lunghissima percorsa ad alta velocità, ma senza quei nanosecondi di ombra. 

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