Rientrare in Italia ai tempi del Covid-19

Ci si barcamena tra siti web e gruppi facebook, alla ricerca delle informazioni più recenti e delle tratte più aggiornate; nel frattempo la telefonata in vivavoce con il servizio di assistenza telefonica Trenitalia, nella speranza che al ventinovesimo minuto di jingle il primo operatore disponibile finalmente risponda.

Sono gli italiani all’estero che tentano di arrangiare il viaggio che possa riportarli in tutta sicurezza a casa.
Quella che vi raccontiamo è l’esperienza di Federica, dottoranda italiana attualmente a Utrecht, in Olanda, impegnata in un progetto di ricerca che avrebbe dovuto concludere nel mese di maggio.

La situazione in Olanda

Nell’ultima settimana anche “la terra dei tulipani” si è destata dalla spensieratezza con cui sembrava poter affrontare il nuovo coronavirus. Secondo quanto riportato dall’Istituto Nazionale per la Salute Pubblica e l’Ambiente, sono 2994 le persone risultate positive al test Covid-19; tra queste, 725 sono medici, infermieri e altri operatori impiegati nel settore sanitario; 106 i pazienti deceduti (dati aggiornati al 20.03.2020).

Due sono le precisazioni da fare in merito alle cifre, stando a quanto nello specifico riportato dai comunicati ufficiali: il personale medico-sanitario è sottoposto al tampone con maggiore frequenza rispetto al resto della popolazione; (anche per questo) il governo olandese sostiene che il numero effettivo di casi sia superiore al numero di segnalazioni indicate nel sito poiché non tutte le persone con potenziale infezione vengono sottoposte all’esame.  

Dalle informazioni finora disponibili ha senso quindi dedurre che la percentuale di casi Covid-19, tra asintomatici e contagiati con sintomatologia lieve o moderata, sia ragguardevole; di conseguenza altrettanto considerevole sarebbe il numero di persone tuttora libere di muoversi e fungere da potenziali vettori del virus. Sebbene l’Olanda possa vantare un efficiente sistema sanitario privato, la situazione potrebbe essere meno rosea di quanto si voglia credere.

Mentre in Italia c’è stato un progressivo incremento delle misure restrittive, in Olanda si è passati repentinamente dalla semi-indifferenza all’azione. Come anche riportato nel gruppo facebook ‘Italiani in Olanda’: “fino allo scorso giovedì gli olandesi ostentavano sicurezza e prendevano in giro noi italiani perché troppo allarmisti, per poi apprendere di colpo l’intenzione da parte del governo di chiudere ‘all’italiana’; la gente è entrata nel panico, con tanto di assalto ai supermercati e ai coffee shop “, scrive il ragazzo.

“Lasciamo che sia” o pugno di ferro?

In Olanda l’appello al buon senso è stato lanciato dai cittadini e dai tanti stranieri residenti ancora prima che il governo si attivasse. Il 10 marzo era stata creata una petizione online per “svegliare gli olandesi”: dopo che un gruppo di 900 studenti in gita scolastica nel nord Italia era rientrato in Olanda e in assenza di qualsiasi misura di controllo e/o contenimento, la popolazione chiedeva alle autorità e agli istituti preposti di agire contro il Coronavirus attraverso l’applicazione di misure efficaci e più stringenti al fine di evitare il collasso del sistema sanitario.

Dopo una fase di morbide raccomandazioni, a fronte del crescente numero di contagi e decessi, lo scorso 15 marzo il governo ha annunciato un cambio di marcia: chiusi bar, ristoranti, scuole, palestre, club sportivi e coffee shop, fino al 6 aprile. Degna di curiosità è forse la misura anti-assembramento, secondo la quale incontri di oltre 100 individui non possono essere tenuti; ciò implica la chiusura di luoghi pubblici come musei, sale da concerto, teatri, la cancellazione di appuntamenti sportivi e altri grandi eventi. Trattasi quindi di un provvedimento che lascia sostanzialmente libera l’aggregazione sociale e non contempla misure di quarantena. Sono state infatti le Università a decidere autonomamente di chiudere le porte, poiché le attuali circostanze avrebbero reso impossibile il contenimento della diffusione del virus.

Dulcis in fundo: dopo uno svenimento in aula parlamentare, il ministro della salute olandese, Bruno Bruins, si era detto stanco e provato dalla crisi sanitaria che ha colpito il paese; tre giorni fa il comunicato con cui Bruins annuncia le proprie dimissioni.

Tornare o rimanere?

«Da un lato vorrei rimanere perché è oggettivamente più sicuro al momento restare piuttosto che mettersi in viaggio. Io qui vivo da sola, non ho contatti con estranei e le palestre sono chiuse; limiterei quindi le mie uscite alla spesa settimanale e alla corsa all’aperto. Ho evitato di partire all’indomani dei provvedimenti, anche e soprattutto per rifuggire affollamenti e mezzi di trasporto gremiti, come è capitato ai pendolari italiani che dal nord sono rientrati al sud in una sola notte e dove ora, tra l’altro, si teme una bomba virale dovuta al potenziale numero di genitori contagiati proprio dai figli rientrati.

Rimarrei perché vorrei portare avanti il mio lavoro di ricerca: tornare in Italia vuol dire abbandonare il progetto e nessuno può dire quando i laboratori verranno riaperti. In un primo momento avevo pensato di attendere le nuove disposizioni, prima di prendere una decisione, ma le variabili sono troppe. Il problema è: rimanere per quanto? E a fare cosa? Il rischio plausibile è che il governo prolunghi le misure, e qualora fosse, mi ritroverei comunque senza progetto e senza la possibilità di rientrare in Italia, continuando tra l’altro a sostenere qui le varie spese».

Pronto? Parlo con l’ambasciata?

In questa fase di grande empasse, le agenzie viaggi diventano dispensatrici di preziose informazioni, combinando le necessità dei clienti con le sempre più scarseggianti disponibilità di voli e mezzi pubblici. Chiusi al pubblico ma operativi, i tour operator ai tempi del Covid-19 coordinano quelle che sembrano vere e proprie operazioni di recupero cittadini, soverchiando il lavoro delle ambasciate.

«Le soluzioni che ti suggerirei sono le seguenti: se hai la carta di credito, puoi noleggiare l’auto da Fiumicino e “riportarti” direttamente a casa. Altrimenti puoi farti venire a prendere, dichiarando “spostamento per ricongiungimento familiare” nell’autocertificazion. Così ci hanno detto i carabinieri quando abbiamo chiesto informazioni per un ragazzo che avrebbe dovuto percorrere 400 km in auto per andare a recuperare i propri genitori all’aeroporto di Roma, in rientro dalla Spagna», spiega dettagliatamente l’operatore della piccola agenzia al telefono.

Nel trambusto “dei se e dei ma”, dei pacchi da imballare e di una dispensa da svuotare, Federica ha acquistato un volo dal Belgio con possibilità di cambio data. «Treno da Utrecht fino a Bruxelles, poi il volo per Fiumicino aeroporto. Ho noleggiato un’auto per tornare nelle Marche: non voglio che familiari o amici si mettano in strada di notte e soprattutto voglio ridurre al minimo il rischio di veicolare in qualche modo il virus. Una volta a casa, sfrutterò la mansarda per la mia quarantena: è piccola ma fornita di tutto, lavorerò al computer e potrò comunque scambiare chiacchiere con la mia famiglia, tenuta a debita distanza dalle scale che collegano l’abitazione al sottotetto. E ovviamente aspetterò trepidante il pranzo di Pasqua».

Buon rientro, Federica!

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