No a gruppi e fazioni, pensiamo e agiamo come comunità

In questa terza domenica del tempo ordinario l’evangelista Matteo, che ci farà compagnia in questo anno liturgico, propone alla nostra meditazione la missione pubblica di Gesù. Infatti, il Vangelo di oggi narra che Gesù “percorreva tutta la Galilea annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie” (Mt 4,23). La missione del Maestro è costituita essenzialmente dalla predicazione del Regno di Dio che Egli svolgeva per città e villaggi in una maniera singolare; coloro che lo ascoltavano infatti, affascinati dal suo carisma, “erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi” (Mc 1,22). Alla predicazione, che vuole rendere sempre più incisiva ed efficace, il Maestro unisce anche i miracoli che noi ben conosciamo e che ampiamente sono narrati in tutti e quattro i Vangeli. Gesù compie i segni per far nascere o per far crescere la fede, e soprattutto perché desidera annunciare che il Regno si è fatto prossimo, cioè vicino. La predicazione di Gesù non ha megafoni, né microfoni, tuttavia ciò non significa che essa sia silenziosa o inconsistente; essa ha il suo inizio in Galilea che purtroppo, all’epoca era una regione di periferia rispetto al centro popoloso della nazione e a Gerusalemme. Questa precarietà rivela come Dio ami realizzare i suoi progetti di bene approfittando di circostanze limitate e finite. Tuttavia, 700 anni prima, Isaia aveva già preannunziato per questa povera porzione di popolo, assegnata alle tribù di Zabulon e di Neftali, un futuro di gloria: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che abitavano in una terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1). Questa luce è quella di Cristo e del suo Vangelo (Mt 4, 12-16). La parola “vangelo” non nasce con la vicenda di Gesù; il termine era già utilizzato dagli imperatori e designava un annuncio, una proclamazione, una “buona novella”, cioè un annuncio di salvezza; e ciò non deve stranirci se si considera il fatto che l’imperatore di turno  era venerato come signore del mondo. Ed in quel preciso contesto storico e culturale, definire “buona novella” la predicazione di Gesù, significò per molti un vero controsenso: “Dio, non l’imperatore, è il Signore del mondo e il vero Vangelo quindi, è quello annunciato da Gesù Cristo, il Figlio di Dio”. Il contenuto della “buona notizia” portata da Gesù è racchiuso in poche battute: “Il regno di Dio è vicino” (Mt 4, 17). Che significato possiamo attribuire a questa espressione? Sicuramente non accenniamo ad un regno terreno, esteso nello spazio e nel tempo; non vogliamo indicare un regno fatto di eserciti e di guerrieri perché è Dio stesso a regnare e, quindi, solo Dio è il Signore del mondo; Gesù ci rivela una signoria che è vicina e non lontana, presente e non assente, attuale e non passata e, come se non bastasse, ciò lo dimostrano anche i miracoli ed i segni che Gesù stesso compiva. Dio regna senza armi, senza eserciti ma con la forza dello Spirito Santo, forza che guarisce l’uomo da ogni sorta di malattie e di infermità (Mt 4, 23). La signoria di Dio allora, carissimi, si manifesta attraverso la guarigione integrale dell’uomo; Gesù non guarisce solo il male che è nell’uomo ma guarisce anche tutto l’uomo: nell’anima e nel corpo, dentro e fuori. L’ingresso di Dio nella storia conferma la certezza che il popolo dell’Alleanza già nutriva molto tempo prima: “Quale grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (Dt 4,7) Il nostro Dio è vicino e Gesù è venuto nel mondo perchè vuole rivelarci la sua infinita misericordia, il Dio che ci dona la vita in abbondanza e che elargisce la speranza. La “preghiera colletta” di questa domenica infatti, recita così: “O Dio, fa’ che diventiamo segno di speranza e di salvezza per coloro che dalle tenebre anelano alla luce”. Il regno di Dio quindi, è anche la cultura della vita che si afferma su quella della morte, è la luce della verità, è Cristo stesso che scaccia le tenebre dell’ignoranza e della menzogna. La seconda lettura, a proposito, è molto illuminante: quando nella comunità ecclesiale la fede non è vissuta come un’autentica relazione d’amore con Dio ma come uno strumento per la propria affermazione o potere (1Cor 1, 10-13. 17), si creano gruppi e sottogruppi. Invece, quando si ha fede e si cura, quindi, la relazione d’amore con Dio, non si formano gruppi o fazioni, ma si cerca e si chiede soltanto di amare Gesù. In questi termini allora si pensa come comunità, si agisce come comunità, ci si sente appartenenti ad una comunità. Nella seconda parte del Vangelo è illustrata la storia della vocazione dei primi Apostoli (Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni). È da notare come immediatamente essi abbiano accolto l’invito di andare dietro a Gesù: “Subito, lasciate le reti, lo seguirono” (Mt 4,20), come a dire: “Signore, sulla tua Parola io getto la mia vita!” Quando singolarmente pronunciamo questo profondo atto di amore contribuiamo a far nascere il popolo di Dio, la comunità dei credenti che fa della propria vita una vera offerta d’amore; è Cristo che la conferma e la supporta nel tempo; e solo a Lui deve essere legata la nostra vita, non i sentimenti o i nostri ragionamenti i quali sono come “fumo che presto svanisce” (S. Francesco di Paola). Preghiamo, carissimi, perché lo Spirito Santo possa infonderci l’amore e la dedizione per il Regno, la passione e la cura per i suoi presupposti che trovano nel raggiungimento del bene comune la loro massima realizzazione.

Fra Frisina

Foto: unicef.it

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