Con i suoi racconti umoristici raccolti nel simpatico volumetto intitolato “Teatrino dell’assurdo”, Nanni Di Giacomo non finisce mai di stupire.
Già, perché questo poliedrico autore, capace di approfondimenti saggistici che hanno analizzato Pirandello, Guicciardini e Machiavelli, che spazia poi dalle antologie critiche su Alighieri con i suoi “Ritagli danteschi” per affacciarsi ulteriormente al mondo della pittura e della scultura raccogliendo commenti estetici nel libro intitolato “Il messaggio dell’artista”, dimostra un elevato livello di fecondità intellettuale in termini generali.
La verità è che Nanni è stato un magistrato penale che, per ben 48 anni, ha potuto raccogliere i frutti di un’esperienza umana straordinaria, affiancata dalla sua innata attitudine naturale all’approfondimento culturale; ecco quindi che i suoi scritti assumono quel valore di acutissima osservazione di tutto ciò che accade nella vita sociale quotidiana in una chiave del tutto peculiare.
E che lui sa raccontare con intensa capacità descrittiva, mista a quella carica di ironia che soltanto chi ben lo conosce può comprenderne la portata umoristica, a volte mista a connotazioni agrodolci o tragicomiche.
In un crescendo narrativo – che si è via via manifestato nelle sue precedenti opere come i racconti de “La gatta di San Basilio” fino a che “Non ci resta che ridere” – ecco le (non troppe) assurdità di questo perenne teatrino che, in fondo, rappresenta la vita di tutti noi e che il “Duca” Giovanni Tranfo (suo vero nome), si diverte a scrivere, facendo divertire anche noi.
In questi diciassette raccontini di cui è composto il libro si possono infatti ritrovare situazioni in cui ci si potrebbe riconoscere o ricordare qualcuno o qualcosa su cui continuare a ridere, se non a riflettere.
Come non apprezzare, per esempio, la bocciatura di un corpo insegnate di un liceo in “Positivismo” o la reazione di una spiritosa moglie in “L’avrei uccisa!”?
Delicata l’”Esperienza” in “Aforismi”, quanto attuale la ricostruzione in stralci di “sonetti” in “La giustizia al tempo del Belli”, tema – quest’ultimo – che mai può prescindere comunque dall’esperienza concreta dell’Autore.
Che dire poi dell’autoironica critica in “Psicanalisi imbarazzante”, fino al raffinato e delizioso richiamo autobiografico in “Metamorfosi”?
Ma è bene fermarsi qui per non togliere ai lettori il gusto misterioso di una lettura fresca, divertente e portatrice di un chiaro messaggio volto a privilegiare la comica leggerezza di un mondo ormai pieno di difficoltà, ma sempre pieno di occasioni per trarre le giuste “pillole di saggezza”.
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