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«L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda»

Cristiana Gagliardi
21 Giugno 2018
HomePage, Religioni & Dialogo

Le interviste riportate in questo articolo esprimono la complessità dei rapporti fra le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo e Islam, che hanno un’unica matrice comune, cioè il riconoscersi tutte in un legame intenso di fede nel Dio creatore, tramite l’insegnamento di Abramo. 

Purtroppo l’essere fratelli si è declinato col tempo in conflitti politici, economici e ideologici ormai millenari.

Questi video sono legati al tema della lotta tra popoli, con forti connotazioni identitarie, culturali e religiose e alla necessità di avviare un dialogo di pace.

A tal proposito mi piacerebbe riportare un bel passo del Deuteronomio 32, 10-12: «Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati,
 egli spiegò le ali e lo prese,
 lo sollevò sulle sue ali, il Signore lo guidò da solo, non c’era con lui alcun Dio straniero».

I versi citati sono rivolti al popolo eletto, come ad ognuno di noi. Il sentimento di fondo è la solitudine, il dolore, l’abbandono, il deserto, la valle solitaria, il grido desolato e primitivo di cui ogni uomo fa esperienza. L’angoscia principale consiste nel timore che la propria sofferenza passi inosservata e incompresa.

Potremmo definire l’atteggiamento divino rappresentato in questo brano del Deuteronomio incredibilmente educativo e consolatorio, poiché Egli si china, accoglie, protegge, custodisce, risolleva il singolo individuo e l’intero popolo.

Questa capacità di non dimenticare il pianto di nessuno dovrebbe essere assunta su di noi quale vertice di un’azione storico-politica, informativa e sociale.

Si tratta di prestare orecchio attento al dramma di ogni singolo e collettività, che si contraddistingue per varie identità etniche, culturali e religiose.

Il rischio odierno è quello di offrire più visibilità a un urlo potente, sostenuto dalla maggior risonanza politica, mediatica, economica e militare del momento.

La storia insegna che i numerosi genocidi sono preceduti da tre tappe cruciali:

  • la comunicazione diretta o indiretta di un senso di intolleranza ed esclusione verso una determinata minoranza, complicandone l’inserimento sociale e determinandone spesso l’esodo volontario;
  • la fuga di massa dalle terre d’origine a causa di eventi fortemente conflittuali, che sorgono in un determinato territorio, coincidendo a volte nel raggruppamento dei profughi in luoghi circoscritti e lontani dalle proprie radici, privandoli di beni economici e diritti civili, con una drastica riduzione delle libertà sociali e delle qualità di vita igenico-sanitarie, culturali, spirituali e lavorative;
  • l’eliminazione fisica di individui e comunità, tramite veri e propri genocidi, a tal proposito ricordiamo lo sterminio di nativi americani, popoli africani, asiatici, curdi, ucraini, ebrei, palestinesi, serbi, bosniaci, cristiani e musulmani nel mondo.

È triste scoprirci sempre incapaci di arrestare questi grandi meccanismi di alienazione, che in molti casi avvengono nel silenzio della scena globale.

L’esperienza di essere insieme al proprio popolo in una dimensione di deserto acuisce la disperazione e il senso di rivalsa, per cui è facile capire la condizione di chi è stato troppo esposto alla violenza, che diventa poco incline a comprendere il dolore altrui, essendo ancora sintonizzato sulle ferite da proteggere a ogni costo.

Aver sperimentato l’assenza di solidarietà aumenta il divario e qualsiasi sofferenza si traduce in «ululato solitario».

Il dovere dell’umanità è quello di poter riconoscere e accogliere con pari dignità le richieste di giustizia. Non è ammissibile negare il dolore dei popoli, le condotte negazioniste colludono o soggiacciono in quale modo a giochi di pressione politica ed economica. Anche negli ultimi decenni si è data poca rilevanza a massacri di intere popolazioni, disconoscendone l’intento di “pulizia etnica”, per meri calcoli politico-economici, ammantati da ideologismi religiosi.

Proporre una riflessione su queste interviste significa dare valore al desiderio di riconoscere uguali diritti e dignità. La religione è cosa ben diversa dall’ideologismo e la vera spiritualità consiste nel rispetto di Dio, delle creature e della natura. Sfortunatamente chi ha subito la persecuzione tende a diventare persecutorio, ma esistono anche tanti casi bellissimi di persone che si legano alla vita e ai sentimenti positivi, come un girasole in cerca di luce.

Nel primo video la senatrice italiana Liliana Segre, fra i pochi testimoni rimasti della Shoah, paragona il negazionismo e l’oblio verso l’olocausto degli ebrei alle morti silenti dei migranti nel mediterraneo. Questo è un esempio molto coinvolgente di empatia che riesce a dare pari dignità al proprio dolore e a quello degli altri.

Nel secondo filmato Issa Jamil Kassissieh, Ambasciatore di Palestina presso la Santa Sede, racconta la sua opinione sulle violenze nella striscia di Gaza e sulla vita in Vaticano. Egli manifesta gratitudine verso gli appelli del Papa per la Città Santa di cristiani, ebrei e musulmani, riportando il sentimento di cordoglio del proprio popolo che ha perso la speranza di armonia e riconciliazione nella drammatica ricerca di sostegno e aiuto a livello internazionale. Durante l’intervista è evidente il timore che la politica del Presidente Trump possa pregiudicare la loro posizione.

Bisogna tuttavia sottolineare che gli atteggiamenti decisionisti di Trump hanno sbloccato delle situazioni di grande tensione internazionale (come in Corea del Nord), avviando alcuni percorsi di pace. Infondo le grandi esternazioni di vicinanza dell’ex Presidente Obama non hanno concretamente avvantaggiato la causa palestinese. Per poter valutare le differenti politiche presidenziali è necessario osservarne gli effetti in un arco di tempo più ampio.

Sono particolarmente ammirevoli i tentativi e gli appelli di pace e fratellanza, che incessantemente promuove Papa Francesco, cercando di tessere una fitta trama di relazioni interreligiose e multiculturali, i cui temi di fondo sono quelli di un’umanità integrale, che si basa sul riconoscimento della dignità individuale e collettiva, del diritto al lavoro, alla giusta paga, alla libera espressione politica, religiosa e culturale e alla custodia del creato.

Questi temi essenziali vengono mirabilmente ripresi nel terzo video, con l’intervista di Mons. Khaled Akasheh, Capo Ufficio per l’Islam presso il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e di Stefano Girotti Zirotti, Vice Capo Redattore di Rai Vaticana, in occasione della presentazione del libro Noi fratelli, un’opera molto preziosa sull’intrecciarsi dei rapporti fra Islam e Cristianesimo nell’arco di 1500 anni.

Gli autori Stefano Girotti e Giancarlo Mazzuca hanno compiuto un lavoro di ricostruzione storica estremamente importante sulla complessità delle dinamiche interreligiose, evidenziando l’alternarsi di periodi di grande scontro e tensione a momenti di dialogo, così come ultimamente si è vista un’apertura anche da parte del governo saudita.

La costruzione di ponti di fraternità è l’obiettivo costante del magistero di Bergoglio, che diventa possibile grazie all’impegno abile, equilibrato, attento e delicato del Cardinale Jean-Louis Tauran e di Mons. Khaled Akasheh.

Il nobile traguardo di risanare le relazioni tra popoli fratelli è legato in qualche modo anche alla speranza di una convivenza pacifica fra ebrei, cristiani e musulmani a Gerusalemme. Sicuramente ogni orientamento politico tende a caldeggiare un diverso tipo di soluzione, ponendo la Città tre volte Santa sempre al centro di contese.

Forse tra le soluzioni più “creative” si potrebbe considerare interessante l’offerta del direttore d’orchestra argentino-israeliano Daniel Barenboim, che ha riunito diversi musicisti ebrei e palestinesi, ottenendo risultati artistici eccellenti.

Ciò significa che la soluzione probabilmente non risiede nella lotta per accaparrarsi dei confini, ma nell’utilizzo funzionale dei talenti e delle sensibilità di ogni individuo e comunità. Il canto e la musica sono forse l’espressione più alta di preghiera, come invocato dal Salmo Biblico 87 (86), 2-7: «Le sue fondamenta sono sui monti santi; il Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe. Di te si dicono cose stupende, città di Dio. Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono; ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa e l’Altissimo la tiene salda”. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”».

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