Lo strascico del colonialismo europeo in Africa

L’abbondanza delle sue risorse naturali ha da sempre reso il continente africano luogo di saccheggi e sfruttamento. Oggi terra di rifiuti, speculazioni, discariche a cielo aperto e accaparramento di terreni, l’Africa è stata in special modo determinante per lo sviluppo dell’Occidente durante il periodo coloniale. Alla fine dell’Ottocento, Cecil Rhodes, imprenditore britannico che costruì un’enorme fortuna sfruttando le ricchezze africane, scriveva queste parole a un amico: «sono convinto che noi [britannici] siamo una razza superiore e che più territori del mondo faremo nostri, più benefici ne trarrà l’umanità intera».

I colonizzatori europei sono stati in grado di estendere il loro dominio quasi ovunque nel continente africano. Nei primi anni dell’Ottocento, con la fine della tratta degli schiavi, Africa e Europa stringevano un rapporto di “commercio lecito”. Nella realtà dei fatti, altro non fu che una nuova forma di schiavitù e sfruttamento consumata all’interno delle stesse società africane, con l’aiuto di capi locali che vendevano prigionieri come schiavi.

Il colonialismo europeo raggiunse il suo massimo sviluppo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Lo stimolo imperialista scaturito dalla crisi che si registrò in quegli anni (1873-1895), l’espansione coloniale, la ricerca e la conquista di spazi, mercati, risorse e sovranità, la crescita del nazionalismo e delle rivalità politico-militari e, infine, la diffusione delle idee di superiorità della razza bianca su tutti gli altri popoli ne furono gli aspetti caratterizzanti.

Il periodo che intercorre tra gli anni settanta dell’Ottocento e la prima guerra mondiale coincide con il cosiddetto “primo colonialismo” e fu prevalentemente volto all’occupazione del continente africano.

Spartizione senza senno

Mentre nel 1870 i paesi europei occupavano un decimo del continente africano; ai primi del Novecento i possedimenti comprendevano più dei nove decimi del continente.  

In questa nuova espansione europea, alla penetrazione commerciale si affiancò l’obiettivo a livello governativo di assoggettamento politico e sfruttamento economico. Imporre un controllo più o meno formale ai vasti territori africani fu la tendenza prevalente. Le terre furono ridotte a vere e proprie colonie (se assoggettate alla diretta amministrazione dei conquistatori) o protettorati ( in questo caso vi era il controllo indiretto dei conquistatori che tenevano in vita anche solo formalmente gli ordinamenti preesistenti).

Tra il 1884 e il 1885 fu convocata a Berlino una conferenza per risolvere i contrasti internazionali sulla questione africana e spartire il continente tra le grandi potenze europee. Del tutto ignari e non curanti delle condizioni storiche, sociali e politiche dei territori interessati, esse si spartirono l’Africa tirando linee di confine lungo meridiani e paralleli.

Dopo la prima guerra mondiale, la soluzione adottata alla Conferenza internazionale di Parigi del 1919 per il nuovo assetto geopolitico e la spartizione delle colonie fu quella di istituire un sistema di mandati che la Società delle Nazioni avrebbe affidato alle potenze vincitrici. Tra gli anni venti e quaranta del Novecento, a spartizione terminata, l’interesse politico e diplomatico per il continente diminuì notevolmente. Un’ordinaria gestione del dominio si sostituì agli sforzi espansionistici militari del primo colonialismo. Questo periodo, a cavallo delle due guerre mondiali, prende il nome di “tardo colonialismo”.

Tardo colonialismo

Il tardo colonialismo coincide con una fase di consolidamento del potere coloniale, che si esplica principalmente nell’indirect rule. Esso consiste nel controllo indiretto come sistema generalizzato di governo coloniale usato dai conquistatori per esercitare il dominio bianco tramite le autorità native. Esclusi rari casi, gli africani costituirono la grande maggioranza dei funzionari e dei soldati impiegati nelle colonie sia nel primo che nel tardo colonialismo.

Prelievo fiscale, sfruttamento di manodopera locale e estrazione di materie prime furono fonte di ingenti risorse per il mantenimento delle spese dello stato coloniale. Gli africani venivano coinvolti nell’amministrazione coloniale in due modi: come impiegati del settore pubblico e della burocrazia centrale di tipo strettamente europeo; come autorità “native” o “indigene”, a capo di sistemi politici e gerarchici detti “tribali”, a livello periferico o rurale. Il ruolo di intermediari tra Africa ed Europa fu inizialmente ricoperto da missionari protestanti, preti cattolici, trafficanti europei, commercianti africani.

La sottrazione di terra da parte di coloni e la trasformazione di intere popolazioni in squatters – occupanti abusivi di suolo pubblicosono due classici esempi degli effetti diretti che il colonialismo ha sul piano politico-economico della realtà assoggettata. L’introduzione del lavoro coatto nelle piantagioni, nelle miniere e nei vari settori economici, così come l’assegnazione ai capi locali (chiefs) dell’incarico di provvedere alla raccolta e all’organizzazione della manodopera richiesta dalle imprese europee o dai governi coloniali – causando potenziali rivalità tra le comunità locali – possono essere inquadrati nella categoria degli effetti indiretti.

Surrogati europei

Come abbiamo appena avuto modo di intuire, le conseguenze della colonizzazione non agirono solo a scapito della politica e dell’economia, ma anche della realtà e delle dinamiche sociali africane. Ne sono un esempio il potenziale risentimento e la derivata conflittualità nel lungo periodo che l’intervento esterno e profano dei colonizzatori ha potuto scaturire all’interno delle varie etnie e organizzazioni etnico-sociali dei territori colonizzati. Come di fatto avvenne a distanza di tempo, in seguito alla decolonizzazione, in molte nazioni dell’Africa.

Ritenendo l’Africa un continente dalle istituzioni arcaiche e primitive, a partire dagli anni settanta dell’Ottocento, a fronte di un ristretto numero di bianchi bisognosi di giustificare una posizione di stradominio sopra un numero molto più alto di africani, i colonizzatori introdussero una “tradizione inventata”. Così la cultura europea plasmò i vari apparati amministrativi, le scuole, i sistemi di regolazione della vita sociale, la religione, nel finto rispetto che essa concedeva agli africani e alle loro tradizioni.

La neo-tradizione, data dall’intreccio tra imposizione della cultura europea e consuetudine africana, fu uno strumento necessario e utilissimo, usato dai governanti bianchi per inculcare una morale comune tra dominati e dominatori. Lo scopo di tale costruzione era quello di assicurare lealtà, obbedienza e cooperazione da parte del popolo, ottenendo allo stesso tempo il rispetto dei locali e il riconoscimento del potere “supremo”.

Riscrivire la storia dell’Africa

Alcuni studiosi della cultura africana sostengono che il fatto per cui i colonizzatori bianchi siano riusciti a imporre con successo la visione dell’africano colonizzato, sia uno dei presupposti alla conseguente necessità per gli africani di emanciparsi dall’idea d’inferiorità, anche attraverso l’uso della violenza, brutalizzando ed estremizzando la lotta politica.

“L’Africa non ha storia perché non ha scrittura”. É questa la visione che ha dominato per molto tempo l’immaginario europeo e il dibattito storico, e che solo in tempi recenti è stata definitivamente sfatata. Crederlo tuttavia è servito all’Europa colonialista per poter riscrivere ex-novo la realtà africana e sradicarne le radici, attraverso l’operato di accademici, amministratori locali, missionari e  antropologi. Il potere apparteneva alla razza bianca e a questa spettava definire tribù ed etnie, assegnando a ciascuna di esse un territorio e separando le une dalle altre, in una visione lontana da ogni processo evolutivo.

Foto di SmallmanA da Pixabay

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.