Les Fleurs du Mal

«Bellezza dallo sguardo divino ed infernale, tu versi così confusi crimini e benefici che ti si può paragonare al vino! Ma, dimmi, vieni dal profondo cielo o sbuchi dall’abisso?»

Les Fleurs du Mal  è una raccolta di poesie realizzata da Charles Baudelaire nel 1857. L’opera è suddivisa in sei sezioni: 1-Spleen et Idéal; 2-Tableaux parisiens; 3-Le vin; 4-Fleurs du Mal; 5-Révolte; 6-La Mort. Nella prima sezione, Baudelaire esprime il malessere del poeta: egli è uno spirito superiore capace di elevarsi al di sopra degli uomini e di percepire, con la sua sensibilità innata, i profumi e gli elementi della natura. Per queste sue capacità, la figura del poeta è maledetta dalla società ed oggetto di scherno da parte degli altri uomini. Nell’immaginazione dell’autore il poeta è un albatros: come questo uccello si eleva al di sopra di tutto nel cielo, così il poeta si innalza fino ai livelli più alti della percezione e della sensibilità; le ali che rendono maestoso questo uccello in cielo, lo rendono goffo sulla terra, proprio come il poeta che viene deriso e incompreso sulla terra. La parola Spleen, d’altronde, significa letteralmente milza, organo ritenuto fonte dei mali corporei dagli antichi greci: esso è la causa della sofferenza, esso crea angoscia e perenne disagio nel poeta. Baudelaire ha una concezione della natura insolita per quell’epoca: la natura non è innocente e pura, ma è guardata con sospetto poiché è piena di atrocità, di istinti orribili e malefici.  La natura viene spogliata della sua “naturalezza”, diventando un paesaggio artificiale ed utilizzata in maniera riduttiva:  accostata all’amore oppure ai suoi ricordi (la fanciullezza, l’amore morboso della madre), assumendo un valore allegorico. Il paesaggio che trova più spazio nelle poesie è la moderna città di Parigi, con la sua folla che la anima; ma essa è presente come struttura artificiale da cui il poeta si sente oppresso e protetto al tempo stesso, nel cui interno iscrive sogni, visioni e allucinazioni. Questo è il filo conduttore della seconda sezione de Les Fleurs du Mal, che rappresenta il tentativo del poeta di fuggire dall’angoscia che la città gli procura, proiettandosi al di fuori della sua dimensione personale nell’osservazione della città. La fuga dalla realtà porta Baudelaire a rifugiarsi nell’alcool ( Le Vin ) e nelle alterazioni delle percezioni ( Fleurs du Mal ). I fiori del male sono paradisi artificiali, amori proibiti e peccaminosi che danno l’illusoria speranza di un conforto.  L’amore, per Baudelaire, è prostituzione. La donna è carnale voluttà e gioia spirituale; la voluttà non è il Mal in se, ma il piacere di fare il male, l’amore è visto quindi come una tortura, con una vittima ed un carnefice. Nella donna c’è angelicazione e santificazione ed essa rappresenta la spiritualizzazione dell’amore che crea l’illusione di vincere la morte. La concezione dell’amore cambia nelle ultime poesie: l’amore diventa odio, l’attrazione diventa disprezzo, la lode muta in invettiva.  Quando anche gli effimeri piaceri dell’amore svaniscono, non resta che La Révolte, ovvero il rinnegamento di Dio e l’invocazione di Satana. Tutta l’opera è attraversata da questo dualismo Dio/Satana, che è anche lotta tra bene e male, tra solitudine e piacere, tra impulso spirituale e piacere reale e si percepisce già nella scrittura: nei chiasmi, negli ossimori, nelle antitesi, dove si rispecchia una realtà intermedia e tragica tra tentazione e riscatto nell’assoluto.  L’opera non vuole essere edificante,ma rappresenta  una sorta di drammatico scontro tra le tentazioni opposte di Satana e di Dio. «Dieu est un scandale», scrive Baudelaire: la sua è una forma di protesta, di venerazione negativa che non sfocia mai in totale nichilismo. Dio può essere un tiranno, ma è comunque un punto fermo essenziale per la stessa dialettica del male: il male non esisterebbe se non ci fosse Dio. L a Révolte oscilla sempre tra protesta e preghiera, rivolta e fiducia. Baudelaire si lacera sempre senza trovare appagamento in una posizione, ripiega e riflette ora su una ed ora sull’altra, senza mai sfociare in cieco fideismo.  Ultimo appiglio è La Mort, intesa non come  passaggio ad una nuova vita, ma come distruzione e disfacimento a cui il poeta si affida per trovare qualcosa di nuovo, diverso dall’angoscia.

Rosa Di Matteo

Foto: www.lelivrequiparle.com

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