La stagione 2018-2019 presentata al teatro Ghione

Roma, via delle Fornaci. Da un lato la cupola di S. Pietro, quasi tangibile, splendida nella sua maestosità; dall’altro uno storico teatro, legato ad una famiglia, al cognome di una donna, una grande attrice, Ileana Ghione, che l’ha fondato con amore e vi ha recitato fino alla fine dei suoi giorni.

Oggi, è diretto da Roberta Blasi e dal marito Ercole Palmieri; la tradizione familiare, dunque, permane e, con essa, l’amore che ne scaturisce.

Ebbene, è proprio parlando d’amore che è stato formato il cartellone della prossima stagione teatrale, presentata ieri sera e dedicata a Claudio, un giovane uomo recentemente scomparso per una patologia cardiaca e diventato simbolo di una campagna di nobile sensibilizzazione, di attenzione per queste problematiche. Il Ghione è sempre vicino ai meno fortunati. Quest’anno lo dimostra anche con il sostegno all’onlus Sogno di Bambino che sostiene l’ospedale Bambin Gesù e di cui parlerò con maggiore cura in un articolo a parte.

Dopo l’aperitivo, servito nella sala interna del teatro, si è aperto il sipario sui prossimi spettacoli. Sul palcoscenico quasi tutti gli attori che, a partire da settembre, allieteranno i giorni e le sere teatrali del Ghione.

Il programma è vario e, come tale, particolarmente appetibile. Ce n’è per tutti i gusti, compresi spettacoli dove regna la musica e la magia.

Gianfranco Jannuzzo

La mia attenzione è stata subito catturata da un ritorno molto atteso, a Roma: dal 30 ottobre all’11 novembre andrà in scena Il Berretto a Sonagli di Pirandello, con Gianfranco Jannuzzo diretto da Francesco Bellomo. Ho avuto la fortuna di vederlo nel 2016, di intervistare Jannuzzo lo scorso anno e tornerò ad applaudirlo ed a scrivere di quest’opera realizzata davvero con una cura straordinaria anche scenografica, una lodevole fedeltà al testo, una vigorosa originalità nell’interpretazione. Il Ciampa di Jannuzzo ha delle sfumature caratteriali, dei sentimenti che mai nessuno, prima di lui, aveva portato in scena. Ciò rende il suo personaggio un’icona esegetica delle parole di Pirandello, in grado di mettere a nudo la propria anima; ed è un’anima che Jannuzzo indossa con maestria. La sua umanità è commovente, autentica, sentita ed il pubblico non può che viverla con l’intensità che rende indimenticabile una rappresentazione teatrale. Bravissimi anche gli altri attori, ovviamente. Ieri sera ho avuto modo di scambiare piacevolmente qualche parola con il regista Francesco Bellomo, che ammiro molto, e con Anna Malvica, splendida attrice che interpreta il ruolo tragicomico della mamma di Beatrice: entrambe lodavamo la fedeltà al testo dei classici, soprattutto di Pirandello e Shakespeare, mie grandi passioni. Lavorare sul testo è inevitabile: il regista, l’attore mettono se stessi in quella storia, danno vita a parole scritte ed a sfumature non scritte, all’oltre, al gioco di intenzioni del drammaturgo. Lo stravolgimento di un’opera, però, la sua manipolazione strutturale, nel testo come nella scenografia, è tutt’altra cosa.

Milena Vukotic e Maximilian Nisi

Poco dopo, dal 16 al 25 novembre, andrà in scena un’opera contemporanea molto raffinata: Un autunno di fuoco di Eric Coble, con Milena Vukotic e Maximilian Nisi; traduttore Marco Casazza, regista Marcello Cotugno. Avrò modo di parlarne più diffusamente in prossimità dello spettacolo e già mi diverte e mi appassiona l’idea di farlo, poiché è un’opera carica di simbolismo, di sentimento, di verità scomode e di scudi che dovrebbero risparmiare le ferite dell’anima, anche se, nella vita, non esistono scudi abbastanza forti. È una storia particolare, che vede una donna di età matura fronteggiare la propria vita inevitabilmente cambiata dagli anni. Molto conflittuale il rapporto con i figli, a parte uno, Chris, il bravissimo Nisi, il quale, dopo molti anni di assenza da casa, ritroverà sua madre e forse se stesso; entrambi affronteranno passi importanti. Particolarmente curato anche l’allestimento scenico che vedrà, tra i protagonisti, un albero, forse interprete dell’avvicendarsi delle stagioni della vita, o, forse, l’Yggdrasil norreno, il Crann Bethadh celtico, l’albero cosmico, che trasmette un’eco di Scozia, Paese di cui è originario Coble.

Peccato che i due minuti di parola concessi ad ogni attore siano scaduti prima che Nisi potesse terminare la sua presentazione. Non stava raccontando la trama, che, a dirla tutta, poco rileva, visto che può essere letta sul libro di Coble oppure, in sunto, sul sito del teatro; stava raccontando un qualcosa di cui gli spettatori non possono venire a conoscenza assistendo alla rappresentazione, ossia la sua genesi, l’incontro con la Vukotic su questo testo. Avendo presenziato ad una recente conferenza stampa in cui è stata presentata anche quest’opera, posso tentare di finire io il discorso per lui, riassumendolo dai miei appunti: “Ho conosciuto Milena trent’anni fa e, in tutto questo tempo, ci siamo regolarmente incontrati dicendoci quanto sarebbe stato bello lavorare insieme. L’occasione è giunta con questo testo, che, nel 2013, ha riscosso un grande successo a Broadway interpretato da Estelle Parsons e Stephen Spinella. Mi è subito piaciuto e l’ho voluto portare in Italia. È stato tradotto in grande velocità, pur essendo un testo complesso. Quando l’ho fatto leggere a Milena, le è piaciuto molto; abbiamo, quindi, trovato altri compagni di giochi per realizzarlo ed ora, sotto l’egida del teatro La Contrada di Trieste, inizierà un tour di pregio”.

Dal 27 novembre al 9 dicembre, sarà la volta di Giro di vite, con Jane Alexander, Cristina Chinaglia e Giulia Pellicciari, regia di Gianfranco Marinelli. È una pièce tratta dall’omonima ghost story scritta da Henry James nel 1898, originale non solo nei contenuti, ma nello stile, pregno di parole quasi disancorate dai riferimenti convenzionali. Di questo racconto, di questa storia che il Ghione accoglierà alla fine di novembre, Tzvetan Todorov ha scritto: “In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo […], si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi di un mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili; o si tratta di un’illusione dei sensi, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza”.

Febbraio, poi, sarà un mese pirandelliano; e non parlo delle opere teatrali, ma dei romanzi. Dal 5 al 10 andrà in scena Uno, nessuno, centomila, adattato e diretto da Alessandra Pizzi con Enrico Lo Verso; dal 26 al 3 marzo, invece, sarà la volta de Il Fu Mattia Pascal, adattato da Eleonora Di Fortunato e Claudio Boccaccini, che ne cura anche la regia, con Felice della Corte e la bravissima, intensa Alessia Navarro. L’ho visto lo scorso anno e, nella recensione che scrissi in quell’occasione, si può percepire il mio entusiasmo, il mio apprezzamento. Di sicuro tornerò a vederlo anche quest’anno.

Dal 4 al 14 aprile, infine, segnalo Aspettando Godot di Samuel Beckett, con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo e Fabrizio Bordignon; regia di Maurizio Scaparro. È un’opera sempre affascinante, che questa Compagnia porta in giro da ben sei anni, riscuotendo notevoli consensi. Nei personaggi di Beckett c’è una particolare umanizzazione del personaggio, sempre in bilico tra comicità e nichilismo, che lascia ampio spazio all’interpretazione. L’anima dell’attore è protagonista, dunque. Lo scorso anno ebbi modo di applaudire con entusiasmo l’Aspettando Godot di Claudio Boccaccini con Felice della Corte e Pietro De Silva. Negli anni passati ho viste molte rappresentazioni di quest’opera, con grandissimi attori: ognuna, nel suo genere, unica. Attendo con ansia, dunque, di applaudire il Beckett del Ghione.

Non è stato facile parlare solo di alcuni spettacoli e non di tutti, perché ognuno è originale, diverso dall’altro; quello che andremo a vedere al Ghione abbraccia diversi stili e risponde a diversi gusti. Del resto, ripetere il volantino del teatro non avrebbe avuto senso e scrivere di tutti sarebbe stato impossibile per esigenze di spazio. Lo farò a tempo debito.

Per il momento posso solo affermare che avrò molto da scrivere. Il programma del Ghione 2018-2019, infatti, è particolarmente ricco e sarà un vero piacere viverlo intensamente.

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