La povertà vissuta con dignità regala il regno dei Cieli, il Paradiso

La via che porta in Paradiso è la carità verso i fratelli, l’amore disinteressato ed incondizionato; Gesù l’ha indicata attraverso i suoi insegnamenti, i Santi con l’aiuto della grazia l’hanno percorsa in mezzo a tante difficoltà. Ma potremo mai accontentarci di dare una definizione all’amore? In termini semplici, se da una parte potremmo definirlo come la chiave che apre la porta del Cielo e che ci assicura un posto sicuro alla mensa eterna del Signore, dall’altro l’amore praticato in tutti i sensi e ad ogni livello è il rimedio più efficace, donatoci da Dio perché solo Lui è Amore, per vincere il nostro egoismo, la nostra avarizia ed ogni altra concupiscenza. L’amore che in principio Dio ha posto nel cuore di ciascuno di noi è dono e Papa Benedetto XVI – a mio avviso “il Papa dell’amore” – ce lo ha ricordato e ce lo ricorda sempre attraverso gli interventi più importanti del suo alto magistero petrino. Dio è amore, carità. Dinanzi a questa prerogativa teologale anche l’uomo deve diventare dono d’amore per ogni fratello. Vivere in questi termini la virtù dell’amore significa assaporare già qui in terra le immense gioie del Paradiso. E Dio lo ha messo in pratica prima di ogni altra creatura, inviando nel mondo il suo Figlio Gesù e quindi donandosi tutto all’uomo, senza riserve. L’amore, quello vissuto autenticamente, diventa la legge suprema che regola ed orienta sempre tutto il nostro essere. E chi non si dona si consegna al peccato, cioè muore, si spegne, vive del suo egoismo e beve consapevolmente il veleno della morte che lo uccide nel corpo e nell’anima. La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro raccontata nel Vangelo di questa domenica, ci consegna un duplice insegnamento. Essa infatti, parla in maniera eloquente al povero e al ricco di ogni tempo. Al povero che vive con dignità la sua condizione, senza rubare e senza peccare, è promesso il regno dei Cieli, il Paradiso; al ricco invece, che non vuole condividere le sue ricchezze con chi ha bisogno è assegnata la perdizione eterna, luogo in cui fame e sete mai si estinguono, anzi diventano sempre più laceranti. L’eternità dell’inferno spaventa e molti, contraddicendo anche la Rivelazione, attutiscono questa dura realtà con infinite teorie umane, tutte finalizzate a negarlo e a renderlo persino vuoto; carissimi, non possiamo valutare con la nostra umana presunzione queste realtà che appartengono solo al cielo; non possiamo giudicarle in base alla nostra personale riflessione. A noi, sin dal giorno del Battesimo, è chiesto semplicemente di credere e solo se crediamo allora comprenderemo; se diamo voce alla nostra presunzione, alla nostra dotta ignoranza, in ultimo: se non crediamo, trasformiamo la verità di Dio in falsità. E Dio, carissimi, è Verità; di più, il Papa ci dice che è caritas in veritate cioè, “Amore donato e vissuto nella verità”. Chiediamoci: “A che punto è la nostra testimonianza?” Se è mancante, se non è vera, essa ostacola il cammino della nostra ed altrui conversione. In questi casi – ed è vero – proviamo a tradurre nella nostra quotidianità cristiana la seguente similitudine: “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”. Proprio agli operatori di iniquità e di menzogna è riferito “il guai” della prima lettura di questa domenica, tratto dal libro del profeta Amos (6, 1-7). Con questa ammonizione Amos continua la sua denuncia nei confronti delle alte classi ebraiche che all’epoca si davano ad ogni tipo di cupidigia. Il Signore si impegna personalmente, sul suo onore, a far cessare queste depravazioni e ad umiliare questa superbia; inutile sarà per loro, a quel punto, invocare il nome del Signore. Nella seconda lettura invece (1Tm 6, 11-16), San Paolo propone la via giusta per una vita dedita alla pratica del bene e al servizio del Signore. In essa infatti, è designato il volto spirituale del vero pastore, modello per l’intera comunità, vero uomo di Dio. Quella di Timoteo è soprattutto una missione di testimonianza del Signore Gesù davanti a tutti. Essa è iniziata il giorno in cui Timoteo ha ricevuto il suo ministero davanti ai presbiteri, testimoni della sua professione di fede, e continuerà fino alla morte, che deve essere anch’essa segnata dalla testimonianza, proprio come era accaduto a Cristo di fronte a Pilato, cioè con il dono della sua stessa vita. Dalla liturgia di questa domenica carissimi, ricaviamo tanti spunti per far crescere qualitativamente la nostra vita di fede: la nostra vita non si esaurisce nel tempo ma vive sin da ora nell’eternità; l’egoismo ci allontana dalla salvezza; è sempre l’amore non la condizione sociale ad introdurci in Paradiso; la via della salvezza quindi è una sola: l’ascolto della Parola tramite la voce umana: prima con Mosè e i Profeti, poi con Gesù e gli Apostoli, oggi attraverso noi cristiani. Allora continuiamo a camminare gioiosi incontro al Cristo che viene e “duc in altum”, prendiamo insieme il largo.

Fra Frisina

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