La pioggia di meteoriti non spaventa più, oggi c’è la spazzatura spaziale

space_junk

Space Junk. Nell’era in cui tutto, o quasi, viene identificato con un termine universalmente riconoscibile per gli addetti ai lavori, è così che si chiamano i detriti orbitali. Cioè satelliti rimasti in orbita ma non più in attività, pezzi dei missili che li hanno portati lassù o, molto più spesso, bulloni, guarnizioni, rottami, resti di collisioni, esplosioni e lanci non proprio riusciti degli anni Cinquanta e Sessanta.

Non è solo l’enorme mole di spazzatura che produciamo tutti i giorni tra casa e ufficio a preoccupare gli esperti. Milioni di piccoli detriti vagano sulle nostre teste ad una media di 35mila chilometri di quota. Per lo più si tratta di frammenti di meno di 10 centimetri di diametro, che però viaggiano ad una velocità tale –da 28mila a 50 mila chilometri orari- da provocare seri danni quando si scontrano con altri oggetti provenienti dall’attività umana nello Spazio. Anche se tutto ciò avviene lontano dai riflettori, di fatto l’uomo sta già colonizzando lo Spazio e lasciando impronte nient’affatto biodegradabili. Per quanto gli altissimi costi abbiano fin’ora frenato l’attività di esplorazione spaziale quel tanto che basta perché questi rifiuti non siano ancora un problema, è giusto iniziare a porsi qualche domanda.

Questi detriti possono essere pericolosi per la Terra e per i suoi abitanti? E’ allo studio un piano B per il loro recupero e smaltimento? Lo Spazio appare così infinito che è difficile sensibilizzare l’uomo sulla necessità di averne cura come un bene comune quale i mari e l’aria che respiriamo. Oggi ci sembra impossibile poter contaminare e danneggiare un luogo tanto immenso… ma fino a qualche decennio fa erano in pochi a credere che le risorse sulla Terra potessero finire e oggi ci troviamo “improvvisamente” a fronteggiare i primi segni tangibili di penuria.

Tuttavia le agenzie spaziali ci lavorano da anni e il Comando Spaziale degli Stati Uniti monitora costantemente, attraverso lo Space Surveillance Telescope, il viaggio di tutti i frammenti dai 15 centimetri di diametro in su, in modo da prevederne la rotta ed eventuali tuffi in direzione della Terra. A onor del vero, la maggior parte di essi si disintegrano e bruciano prima di entrare nell’orbita terrestre. Gli esperti assicurano che siamo molto più esposti alla caduta di meteoriti naturali. In piena guerra Fredda però il problema era talmente sentito che l’Unione Sovietica veniva avvertita ogni volta che un detrito sembrava prossimo a entrare nell’orbita terrestre vicino al suo territorio, per paura che pensasse ad un attacco nucleare da parte degli Stati Uniti.

Messo da parte il rischio di seri incidenti diplomatici, oggi la difficoltà è convincere gli Stati, soprattutto quelli maggiormente coinvolti come Russia e Stati Uniti, a stanziare budget per mettere a punto un piano di pulizia. Le misure attualmente adottate sono dei palliativi che non possono essere efficaci a lungo termine, come quello di “passivare” gli oggetti che potrebbero esplodere, evitare quanto più possibile collisioni e distaccamento di oggetti, o far rientrare i satelliti in zone non abitate come l’Oceano Pacifico e la Siberia. Esistono anche le cosiddette orbite cimitero, che però non saranno in grado di ospitare per sempre quantità crescenti di spazzatura spaziale.

Sono allo studio anche soluzioni futuristiche, che ci riportano ai migliori film di fantascienza con cui è cresciuta un’intera generazione di figli degli anni Ottanta: si va dalla vaporizzazione dei detriti, alla “pesca” attraverso reti, all’ombrello spaziale che, spingendoli verso l’atmosfera terrestre, li farebbe incendiare, al raggio laser che li sposta quando incrociano rotte a rischio di collisione.
Ancora una volta tra le eccellenze che guidano gli studi sulla materia troviamo un italiano, l’ingegnere spaziale Luca Rossettini, che ha inventato un dispositivo che entra in azione in caso di guasto o quando il satellite non è più in uso e deve essere riportato a terra. Appena riceve il comando, questo dispositivo lo guida in una traiettoria rapida che lo fa rientrare nell’atmosfera e dissolvere sopra l’Oceano Pacifico. Il prototipo sarà pronto a breve.

di Eleonora Alice Fornara

foto: news.nationalgeographic.com

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.