La musica dentro. Intervista al Maestro Stefano Mhanna

Musica: una meravigliosa successione nel tempo di accordi e note, governata dal ritmo e caratterizzata dal movimento, ma anche un’immagine delicata di casta fanciulla, Eutèrpe, la Musa che infonde lirismo nei cuori degli artisti. L’etimo del suo nome riconduce all’attrazione, alla seduzione, alla forza ammaliatrice. In effetti la musica rapisce, soprattutto se fuoriesce dall’animo e dalle dita di artisti talentuosi come Stefano Mhanna, che, il 4 marzo 2018 all’Auditorium Europa del BV Oly Hotel di Roma, si esibirà con la Grande Orchestra Novi Toni Comites. Vale davvero la pena di ascoltarlo.

Il programma prevede una scelta di brani in rigoroso ordine cronologico, che parte dalla seconda metà del Seicento fino all’evoluzione della sinfonia romantica. Cinque brani, cinque compositori. Si inizia con l’Adagio dal concerto SF935 – op. 1 di Alessandro Marcello, raffinato musicista seicentesco, spesso ingiustamente celato alla notorietà dall’ombra del fratello Benedetto. Per una profana di musica, come me, il ricordo di Marcello è legato all’Anonimo Veneziano del mio amato Giuseppe Berto, portato sul grande schermo da Enrico Maria Salerno. Si prosegue con il Concerto in G major Rv 310 di Antonio Vivaldi, contemporaneo di Marcello. Egli raggiunge una libertà tematica sublime, con ritmi improntati ad un impareggiabile equilibrio tra vigore e lirismo, soprattutto negli Adagi. Mi piace tantissimo. E’, poi, la volta del Rondò dalla Serenata in D major, k 250 Haffner di Wolfgang Amadeus Mozart, l’enfant prodige per eccellenza, capace di infondere nuova linfa nella musica del suo tempo con pronunciata espressività. In particolare, nel Rondò prescelto da Stefano Mhanna, Mozart inserisce tratti di giocosità, portando la ripetizione ed il ritmo a tessere danze. Nasce allegria nell’ascoltarlo. Si entra, quindi, nel romanticismo con il Concerto op. 61 di Ludwig van Beethoven, la cui musica rappresenta l’acme della sinfonia romantica, che mi commuove sempre. Si chiude con Il Carnevale di Venezia di Niccolò Paganini, un genio del violino, in grado di padroneggiare arpeggi, scale, bicordi, tricordi, quadricordi, trilli, pizzicati con la mano sinistra ed altre prodezze, e di infondere, attraverso la musica, delicatezza e passione. Il suo Carnevale di Venezia racchiude, secondo me, un tratto malinconico e gaio al contempo, trascinando l’ascoltatore nel bel mezzo del carnevale veneziano, dove le maschere esprimono sorrisi, ma, a volte, celano lacrime.

Stefano Mhanna è un prodigioso talento della musica contemporanea. Ha solo 23 anni ed è già diplomato in violino, in viola, in pianoforte ed in organo e composizione organistica; è, inoltre, maestro d’orchestra, compositore e ha brillantemente svolto il tirocinio didattico in violino ed organo. Viaggia moltissimo, per i suoi concerti; ha conseguito prestigiosi premi e riconoscimenti, gode di fama internazionale. Ha un repertorio vastissimo in costante evoluzione. E’ in grado di affrontare agevolmente qualsiasi partitura. Spesso, nei suoi concerti, suona basandosi solo sulla sua incredibile, portentosa memoria musicale.

Autentico enfant prodige, consegue il diploma in violino a soli undici anni, completando il corso di studio in quattro anni invece dei dieci richiesti; a sedici arrivano gli altri diplomi. Ha solo nove anni quando il grandissimo Uto Ughi parla di lui in un’intervista televisiva, definendolo “un talento unico”, un musicista sbalorditivo.

La musica lo pervade e con generosità egli condivide il suo talento con il pubblico. Sin da bambino cresce tra le note, ma non si chiude in esse. Oltre agli studi in Conservatorio, segue il corso scolastico fino al liceo scientifico ed approda alla facoltà di Giurisprudenza, dove, lo scorso mese, come assistente del Prof. Glauco Giostra, ho avuto il privilegio di interrogarlo in Procedura Penale: un esame brillante; un’eccellente capacità di ragionare; il voto più alto, ampiamente meritato. Un casuale incontro universitario, quello, che ha lasciato il segno non solo nel mio animo di avvocato e giurista, ma in quello di giornalista, l’altra faccia di me. E’ nata così, questa intervista.

Stefano Mhanna è dotato di una personalità eclettica, affiancata da una modestia che commuove. Il vero talento, del resto, alberga sempre nei cuori liberi dalla volgarità della superbia. E, credetemi, non sono pochi quelli che, con un solo briciolo del suo talento, preferirebbero volare, anziché camminare tra gli uomini. La sua vita artistica disegna il profilo d’un musicista d’altri tempi, che plasma l’universo delle note con la naturalezza di chi quel mondo lo tiene tra le dita.

Ascoltarlo mentre fa vibrare le corde del suo violino o mentre accarezza i tasti dell’organo e del pianoforte è un’esperienza davvero esaltante. I suoni, nella sua musica, si organizzano in una forma d’ordine superiore, in un fraseggio perfetto. Conforta il pensiero che anche il mondo dei giovanissimi sia illuminato dalla musica classica.

Stefano, sei così giovane che sembra strano parlare con te di passato, ma alle tue spalle si  addensano studi e prestigiosi risultati, come se avessi vissuto differenti vite: quella del ragazzo e quella del musicista. A che età hai iniziato a suonare?

Sono cresciuto con la musica, per me è come un’altra lingua, forse la prima in ordine di rilevanza anche perché potrei stare un giorno senza parlare, ma non potrei trascorrere una giornata senza suonare. Ho cominciato intorno ai 2 anni; in casa si ascoltava la classica e avevo a disposizione il pianoforte di mia madre, da lì è scaturita la naturale propensione a suonare. Tutto ciò che ruota intorno alla musica, pianoforte, violino, poi organo e viola con un approccio naturale alle partiture musicali, sono stati per me compagni di vita fin da tenera età senza mai interferire con la mia vita sociale. Poi, crescendo, l’iter formativo che ho scelto mi ha permesso di puntare a livelli sempre più alti di tecnica, seguiti da studi approfonditi di tipo storico e filologico. Nella mia formazione ho ritenuto fondamentali anche gli studi universitari.

Qual è stato il tuo primo faro musicale nel mare della vita?

Forse Tchaikowsky, Mozart e Bach.

Concerto op. 39 di Tchaikowsky, diretto da M.o Gordini, con l’Orchestra del Conservatorio di S. Cecilia: hai solo dieci anni. Concerto op. 64 di Mendelssohn con l’Orchestra filarmonica di Torino: hai undici anni. Il Mosè di Paganini con l’Orchestra del Conservatorio di S. Cecilia: hai tredici anni. Concerto op. 64 di Mendelssohn diretto da Rogotnev con la Grande Orchestra Rachmaninov: di anni ne hai tredici. Questi sono solo quattro degli innumerevoli successi della tua infanzia. Cosa ricordi di queste esperienze, rivedendole con gli occhi della maturità musicale che hai raggiunto?

Indubbiamente bellissime esperienze, soprattutto la prima, per la quale mi hanno assegnato il premio SIAE e che ha avuto eco televisiva in Rai e Mediaset. Ero allievo del corso di violino in Conservatorio, allora, e ricordo che feci un’audizione alla presenza del direttore e di una commissione di professori di violino, ormai tutti in pensione, era il 2005 … Pochi giorni dopo cominciammo alcune prove: prima col pianista e con il direttore Gordini, al quale sono ancora oggi molto affezionato, per la determinazione dei tempi; e, poi, con l’orchestra di 40 elementi. La sera del concerto, la sala Accademica era piena. Nel pubblico c’erano molti musicisti di altissimo livello anche emeriti dell’Orchestra dell’Accademia. Ancora oggi, quando mi capita di incontrarli, mi dicono di ricordare con entusiasmo l’evento.

Per la seconda ricordo che facemmo due prove, una nel Piccolo Regio, se non vado errato, e l’altra nel Grande Regio, sede del concerto. Mi piacque molto l’orchestra com’era composta quel giorno: una particolare leggerezza nel suonare e un ottimo fraseggio.

Per la terza è bello dire che, per la prima volta, ho guidato un’orchestra senza direttore e il Mosè è un pezzo che viene eseguito solo sulla quarta corda scordando il violino di un tono e mezzo!

Per la quarta, invece, ricordo che era all’aperto. Provammo pochissimi minuti e solo gli attacchi. Musicisti straordinari. Una tecnica impeccabile, quella russa; una grande elasticità mentale e un’ottima intesa col direttore, cosa rara da raggiungere.

Stefano studente. Accanto al Conservatorio, spicca il liceo scientifico e la facoltà di Giurisprudenza. A cosa si deve questa scelta?

Ho scelto Giurisprudenza sia perché, per la mia attività musicale, potrei avere a che fare, in futuro, con il diritto; sia per un arricchimento culturale teso alla formazione mentale attraverso una logica strutturata.

Tenuto conto delle tantissime differenti attività che svolgi, dell’impegno che l’arte musicale richiede, soprattutto al tuo livello, viene in mente che tu disponga di giornate venusiane, ognuna lunga quasi un anno terrestre. Come è scandito il tuo tempo?

Ho un tempo fisso dedicato al violino, tempo che può essere variabile a seconda dei programmi ma in genere non è inferiore alle due ore spalmate nel corso della giornata, poiché è importante suonare anche gli altri strumenti e l’organo, in particolare, richiede spostamenti all’interno della città per raggiungere le chiese. Un giorno a settimana seguo l’orchestra nei programmi, provvedendo anche alle necessità logistiche ordinarie o che sopravvengono nel corso della settimana (verifica della location per provare, reperimento dei musicisti, copertura delle assenze, organizzazione degli orari, scelta dei programmi, ecc). Nel corso della settimana, poi, seguo indirettamente anche l’organizzazione pratica degli eventi provvedendo alla ricerca del posto, alla fissazione delle date e alle comunicazioni pubbliche. Accanto a tutto ciò, ovviamente, ci sono gli studi, che però possono essere effettuati anche in orari non diurni (dormo tardi la notte), e i momenti di svago, di conversazione, di curiosità su internet e di fiction televisive (Law & Order, NCIS, l’Ispettore Barnaby ed altri programmi di azione, o comici, o cartoni animati, cose poco impegnative, utili a distrarsi).

Cosa provi quando suoni?

Dipende dai brani. Certamente la prima cosa che deve fare l’esecutore è rispettare le volontà del compositore. Se si suona da soli, controllare la situazione, gestire le  proprie emozioni per esprimere ciò che il compositore ha voluto trasmettere e, poi, seguire l’onda espressiva del brano affinché dia piacere a chi ascolta e a chi esegue. Se si dirige, invece, bisogna riuscire a calibrare la tecnica dell’insieme dei singoli componenti dell’orchestra con la logica, l’articolazione, la dialettica, i chiaroscuri, l’andamento musicale del brano, che talvolta richiede leggerezza, chiarezza o pesantezza, e lo stile del compositore inquadrato nel suo periodo storico, in modo da raggiungere un corpo solo negli intenti interpretativi.

Che rapporto ha Stefano Mhanna con il silenzio?

La musica è un dialogo tra persone in cui tutti parlano e tutti tacciono: chi suona, lo fa con gli strumenti, con la mente e con il cuore; chi ascolta, lo fa con il cuore. In fondo la musica, come diceva Bach, aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori. Il silenzio ai tempi di Bach era effettivo, ma oggi c’è il silenzio umano in cui siamo sommersi con rumori, messaggi e voci che non abbiamo il tempo di ascoltare e che a volte sono sovrastanti, generando rumore e caos. Si è persa anche la capacità di dialogare e ascoltare l’altro. La musica è un ottimo rimedio perché mette tutti in ascolto e in meditazione, in un silenzio parlante e purificante.

Cosa si dovrebbe fare, secondo te, per avvicinare sempre di più i giovani alla musica classica?

Innanzi tutto bisognerebbe metterli in condizione di approcciare la musica sin dalla tenera età. E’ molto difficile trovare un interlocutore libero e aperto in un soggetto che non ha mai ascoltato quel genere di musica o al quale è stato insegnato che è “musica noiosa”, a fronte di un’offerta continua di musica di mercato ovunque proposta come innovativa e giovanile. Bisognerebbe far sì che le televisioni, soprattutto pubbliche, diffondessero in maniera adeguata quelle materie che, come la musica classica, non godono di un’immediata risposta sul piano commerciale, trasmettendo non solo eccezionalmente programmi musicali, in orari di punta e nelle prime stazioni televisive. Bisognerebbe altresì incentivare l’aspetto didattico, inserendo nei programmi scolastici la musica classica vera e propria. Spesso non è così, poiché si preferisce focalizzare l’attenzione su altri generi, generi più commerciali, nella convinzione che possano avere maggiore seguito. La musica classica, invece, dovrebbe essere studiata come materia obbligatoria sin dalla scuola dell’obbligo, al pari di materie come la letteratura, la storia dell’arte, rendendola oggetto d’esame. L’istruzione alla classica è pari all’educazione in generale. Se a un bambino non si insegna a parlare, non parlerà; se non gli si insegna a contare, non saprà contare. Lo stesso è per la musica: non saprà comprendere quello che ascolta e le emozioni che può dargli, se non gli viene insegnato. Inoltre sarebbe utile far sì che la musica classica sia più presente nei luoghi pubblici, dai musei, alle stazioni radio trasmesse nei supermarket, ai parchi pubblici e ai parcheggi, come in alcuni paesi esteri già avviene da tanti anni. Questo sarebbe l’unico pacchetto vincente. Dal canto mio, ce la metto tutta per coinvolgere sempre più giovani.

Tiziano Vecellio, nel Cinquecento, dipinse L’Amor Sacro e L’Amor Profano. Ebbene, è quella l’immagine che ho in mente quando parlo d’arte. Da un lato la sacralità dell’espressione artistica, la purezza dell’ispirazione, l’essenza del messaggio, dall’altra l’organizzazione che ruota attorno all’opera, riccamente vestita: immagine, visibilità, vendita. Qual è il rapporto tra fare musica e vendere musica? Il musicista, soprattutto se giovanissimo come te, trova concreto appoggio nelle Istituzioni?

Devo dire che l’appoggio delle Istituzioni è molto scarso e, per quanto riguarda la mia orchestra, ancora nessuno si è fatto avanti nonostante sia già stata ospite in studi televisivi e scritturata in varie occasioni. Per quanto riguarda i miei concerti romani, come quello del 4 marzo, il noleggio della sala da concerto e tutte le spese non sono sostenute da alcuna Istituzione. Ancora non ci sono neanche appoggi simbolici da parte loro e questo fa particolarmente male, specialmente a fronte di un trattamento sensibilmente migliore riservato a supereventi, commerciali e non, che incassano svariate migliaia di euro e godono di finanziamenti e supporti di ogni genere pur non avendone bisogno. Per realizzare un’esecuzione di un certo livello, in maniera meticolosa e fedele, occorre un considerevole impegno e tanta fatica da parte di tutti i componenti dell’orchestra e sarebbe più che giusto che costoro avessero una retribuzione adeguata. Purtroppo è un problema generale: molti musicisti, anche validi, si trovano a dover abbandonare la propria professione in favore di altri impieghi in quanto quasi sempre sottopagati anche da chi, come le Istituzioni, potrebbe e dovrebbe sostenere questo tipo di attività.

Progetti futuri? Ho saputo, ad esempio, che il Ministero della Cultura francese ti ha chiesto di pianificare alcuni concerti in Francia nell’ambito dell’iniziativa “Année Européenne du Patrimoine Culturel 2018 …

Sì, ho ricevuto una mail nella quale mi si offriva la possibilità di comunicare i luoghi e le date dei concerti per l’inserimento nel progetto. E’ un lodevole segno di presenza delle Istituzioni che cercherò di cogliere, organizzando qualche evento in Francia. Vorrei poter dire lo stesso per l’Italia, ma non è così. Ciò nonostante, continuerò a organizzare concerti in Italia, a prescindere dall’eventuale riconoscimento pubblico, almeno finché potrò, viste l’attuale esiguità di risorse. Il mio desiderio è quello di creare un’orchestra quasi stabile che tenga concerti ovunque, ma che a Roma faccia base, effettuando i più bei repertori solistici e sinfonici, il tutto nel profondo rispetto delle prassi esecutive e filologiche, spesso trascurate anche da realtà di alto livello.

Prima di chiudere l’intervista, una domanda di rito, di quelle cui è solitamente impossibile rispondere: qual è il tuo musicista preferito?

Direi tutti. Ma sono da citare, senz’altro, Bach, Vivaldi, Paganini, Tchaikovsky, Mozart, Mendelssohn e Beethoven.

Spazio tiranno, l’intervista si chiude qui, ma con un appuntamento futuro per riprendere il discorso, per tornare a parlare di musica classica. Ti saluto, Stefano, come potrei salutarti in uno dei mondi fantastici di Tolkien o della Rowling, perché è magia quel che doni a chi ti ascolta: “grazie, incantato plasmatore di emozioni in musica”.

di Raffaella Bonsignori

Concerto del 4 marzo – Auditorium Europa del BV Oly Hotel di Roma

Per informazioni e prenotazioni: 328.4139258

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