Italia-Germania: un match senza fine con Junker nella parte dell’arbitro Moreno

Jean_Claude_Juncker_276969777C’è maretta tra l’Italia e le istituzioni europee. O meglio, il premier italiano Matteo Renzi, dopo aver proseguito con la tradizionale politica di collaborazione e di dialogo dei suoi predecessori di centro-sinistra, tutt’a un tratto si è reso conto che – a parte gli interventi della BCE di Mario Draghi –  si ritrova con un pugno di mosche in mano.

Tutto ciò, con la campagna elettorale di primavera alle porte e il fronte degli scontenti nei confronti di Berlino e Bruxelles che continua ad avanzare.

Le materie del contendere sono tre: immigrazione; approvvigionamento energetico e politica bancaria. Ognuna di esse ha costituito un “ditino alzato” che l’alunno Matteo Renzi ha posto alla maestra Merkel nel faccia a faccia che i due hanno avuto il 18 dicembre scorso. Per quanto riguarda l’immigrazione, l’Italia è rimasta piccata per gli esiti dell’accordo del 25 ottobre, concernente la ridistribuzione dei migranti nei vari paesi europei, previa identificazione e registrazione degli stessi. Dopo aver faticosamente ottenuto l’assenso di gran parte dei partners, è accaduto che la Germania si è accollata l’accoglienza di circa mezzo milione di profughi provenienti dalla Grecia, che li ha immediatamente scaricati in paesi extracomunitari e di qui, giunti in Germania, tramite Croazia, Slovenia, Ungheria ed Austria, senza il minimo di garanzie di identificazione (e il risultato si è visto con i fatti di fine anno a Colonia). All’Italia, invece, tramite il presidente della Commissione UE Junker, è stato opposto che l’identificazione dei suoi immigrati dalla Libia e dalla Tunisia, effettuata in  via fotografica ma non sempre con l’acquisizione delle impronte digitali, fosse sufficiente per il rispetto degli accordi.  Ora anche l’Austria, dopo aver fatto scappare i buoi, ha chiuso la propria stalla sospendendo gli accordi di Schengen e impedendo – di fatto – ogni trasferimento di profughi dall’Italia al nord Europa.

A Renzi non sta neanche bene che la Germania, da un lato, vigili sul rispetto delle sanzioni alla Russia da parte dei partners europei e dall’altro chiuda un occhio se le compagnie private tedesche continuino a lavorare per il raddoppio del gasdotto North-Stream. Ciò significherebbe, nel prossimo futuro, nel settore metanifero, la dipendenza energetica dell’Italia dalla Germania, tenuto conto che il gasdotto South-Stream, passante per la Turchia e la Grecia e inizialmente compreso in un pacchetto unico con il precedente, sia stato bloccato per motivi collegati alla guerra in Medio Oriente.

Infine, per quanto riguarda la politica bancaria, Renzi ha fatto notare l’insabbiamento del processo di coordinamento dei sistemi bancari europei, con l’affidamento della vigilanza unica alla BCE, la definizione di regole per una risoluzione ordinata delle crisi bancarie e la creazione di un fondo unico europeo di risoluzione. Quest’ultimo è un tasto che il premier sa di battere con l’appoggio di altri partners, in primis la Francia ma di cui la Germania, con in testa il ministro delle finanze Schäuble, non vuol sentir parlare.

La Merkel ha incassato. Così come sta incassando i problemi derivanti dalle masse di profughi che ha voluto accogliere (forse, accordandosi dietro le quinte con Erdogan e Tsipras) nonostante i fatti di Colonia. Il 14 gennaio, però, è intervenuto il Presidente della Commissione UE Jean Claude Juncker che, nel ruolo di arbitro, dopo aver fischiato la famosa punizione/procedura d’infrazione contro l’Italia sulla mancata acquisizione delle impronte dei migranti, ha tirato fuori il cartellino giallo e ha ammonito Renzi di aver offeso la Commissione, rinfacciandogli la “flessibilità” accordata dalla stessa all’Italia in tema di bilancio.

Il Presidente del Consiglio, almeno sulla stampa, ha risposto per le rime: «Non ci facciamo intimorire da dichiarazioni ad effetto. Il tempo in cui si poteva telecomandare la linea da Bruxelles a Roma è finito». Come fa notare l’opinionista di Milano Finanza, Guido Salerno Aletta, a dire il vero, la “flessibilità” tanto sbandierata da Juncker è stata applicata soprattutto ad altri partners, non tanto con l’Italia.  Infatti, per quanto riguarda l’ammissibilità degli aiuti di Stato, nel 2013, quando si è trattato di dar via libera ai salvataggi di banche tedesche, francesi, austriache, belghe e spagnole, la Commissione ha cambiato le regole in corso d’opera, mentre invece sul caso delle quattro piccole banche italiane in difficoltà, non ha mostrato la minima “flessibilità”.  Per non parlare del comportamento della stessa nei confronti di Parigi, che  è perennemente sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo, sforando sempre i parametri di Maastricht e per la quale Juncker sembra aver dimenticato il cartellino rosso nel proprio taschino.

Renzi, quindi, ha ragione ad alzare qualche ditino, se non tutta la mano, ma si ha ragione di credere che sia stato indotto a ciò dai sondaggi che vedono i movimenti anti-Europa sfiorare il 40%, a livello nazionale, anche in Italia.  Il Comune di Roma o quello di Milano, dove si voterà a giugno, valgono bene una controversia con Berlino o Bruxelles.

Foto: Civico20 News

di Federico Bardanzellu

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