Il Sanremo, infinito come un processo

Ragazzi, je l’avemo fatta!

All’alba delle… no, all’alba e basta, si è chiusa la 70esima edizione del Festival di Sanremo che ha incoronato vincitore Diodato, seguito da Gabbani. Terzo posto per i Pinguini Nucleari Tattici. 

Io, come sempre, tifavo chi ha perso, Tosca, ma pazienza, tanto di Sanremo raramente si ricordano le canzoni. 

Questo Festival, in particolare, rimarrà memorabile per la durata: ogni puntata è stata di almeno 5 ore.

Amadeus si era scusato per la lunghezza eccessiva della seconda serata. 

Era così desolato che la terza è stata ancora più lunga e tra la quarta e la quinta quasi non c’è stato intervallo.

D’altra parte Sanremo è un po’ lo specchio dell’Italia e, vi piaccia o no, dentro c’è tanto del nostro paese.

La biblica durata delle puntate, tanto per iniziare, non ricorda l’infinita lunghezza dei nostri processi? 

Cinque serate e non si è mai saputo a che ora sarebbe terminata la diretta: una volta partita la trasmissione addio palinsesto, una rete allo sbando, un programma senza più termini, pari pari ai processi con la prescrizione sospesa. 

In Tribunale o in televisione, noi le cose le facciamo funzionare così, senza termini certi, eventualmente anche all’infinito, perchè quando hai cominciato devi finire, giusto? Peggio per te se ti sei messo a guardare la televisione o se ti sei invischiato in una vicenda processuale, finirà quando finirà. 

I ritardi sono segni di inefficienza ma noi ce ne freghiamo e, addirittura, spettacolarizziamo l’inefficienza e ce ne vantiamo: il Festival è stato un successo e l’anno prossimo faremo ancora meglio; i processi non si prescriveranno più.

Se  andremo avanti di questo passo, per vedere Sanremo toccherà mettersi in ferie e, quanto ai processi, non avrà più senso celebrarli, si chiuderanno per morte di tutte le parti processuali e dei loro eredi.

Vogliamo parlare anche delle bonazze parlanti, le donne scelte per accompagnare Amadeus nel corso delle serate? 

In epoca pre #metoo, scarpe rosse e lotte di liberazione femminile dal giogo della violenza maschile (guai a dire che dal 2006 ad oggi, secondo fonti Istat, le violenze sulle donne sono di gran lunga diminuite in Italia), ad affiancare chi presentava c’erano delle rispettabilissime “vallette”: belle ragazze il cui compito era ingentilire il palco. Erano un decoro, sì, ma non è che si fossero preparate per andar a lavorare alla Nasa ed il palco di  Sanremo era un grande traguardo.

Oggi tutto questo sarebbe disdicevole, le donne non sono un decoro, vanno rispettate e via dicendo e sulla scia di questo mantra che fa di tutta l’erba un fascio (perchè così come non tutti gli uomini sono dei mostri allo stesso modo non tutte le donne sono dei geni ma anche questo non si può dire) sono state scelte donne che rappresentassero anche altro oltre alla bellezza. 

A me non è ancora chiarissimo quale fosse la dote di alcune di loro ma in molti casi è colpa mia: non parlo nè spagnolo nè albanese e Giorgina e Alketa non parlano italiano quindi comprenderle è stato complicato. 

D’altra parte stavano lì perchè sono intelligenti e parlare non era necessario.

Ho avuto difficoltà anche ad identificare le doti della Novello, ma forse perchè lei parlava la mia lingua: fosse stata zitta sarebbe stata perfetta.

Quanto alle altre, tutte più o meno abituate alle telecamere, sono state la dimostrazione che anche fare la valletta richiede esperienza e loro non ne avevano alcuna.

Ma le mode sono mode e a noi questo lotta femminista anni 2000 piace un sacco e ci speculiamo ovunque, in TV come in politica.

E poi ci sono le polemiche, Sanremo è polemica, a noi polemizzare sul superfluo piace un sacco, siamo bravissimi.

Il Festival ha generato le solite chiacchiere sui vincitori: le case editrici decidono chi vince, la competizione è finta, tanto è tutto un magna magna.

Io so solo che adesso mi toccherà capire chi è ‘sto Diodato, visto che ha vinto.

E non polemizzo sui risultati: il rischio era che vincessero Le Vibrazioni e, come ha detto il mio amico Luca, la cosa più bella della loro canzone era il maestro Beppe Vessicchio. Non so se ci siamo spiegati.

Però c’è una cosa che proprio non mi va giù: alle due e mezza di notte gli spettatori sopravvissuti sono stati intrattenuti da un imperdibile balletto di Diletta non so come. Ha pure cantato. Con quella voce. 

Per par condicio, hanno fatto cantare anche un uomo: tarchiato, tinto, immotivatamente innamorato di sè, però, vuoi mettere, è un tenore tanto bravo. 

È questo che non mi va proprio giù: la bona ed il bravo, la bella e la bestia, lo stereotipo si ripete, più forte di ogni proclama e di ogni metoo.

Tante chiacchiere ma poi, in sostanza, le donne sono belle e gli uomini bravi e va bene a tutti, uomini e donne. 

Però questo è Sanremo.

E questa è l’Italia. 

Nella foto, da sinistra, Fiorello, Diodato e Amadeus

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.