Il Ponte del capello: i Giudizi Universali di Loreto Aprutino e Castignano

giudizio universale

I Giudizi Universali di Santa Maria del Piano a Loreto Aprutino, in provincia di Pescara, e di San Pietro e Paolo a Castignano, in provincia di Ascoli Piceno, sono due grandi affreschi realizzati a cavallo tra il XIV e XV secolo, in piena epoca tardo gotica.

L’interesse suscitato dai due grandi affreschi, sono la loro quasi totale coincidenza iconografica, sottolineo quasi, in quanto entrambe le opere sono purtroppo parzialmente (ed in parti diverse) danneggiate. Le lacune presenti nel Giudizio abruzzese sono compensate da quello marchigiano e viceversa.

Lo stile pittorico dei due affreschi è completamente diverso, così come è sconosciuta l’identità di chi li realizzò. Si è ipotizzata la presenza di una singola bottega, strutturata in più Maestri e allievi; o la presenza di un Maestro (“Antoniuccio”) che realizzò entrambi i Giudizi Universali; oppure due Maestri con relative botteghe e appartenenti a scuole pittoriche diverse.

Il Ponte della prova

Tuttavia, ciò che rende i due affreschi un unicum nel panorama pittorico italiano, è la presenza della rappresentazione del Ponte della prova, o Ponte del “capello”.

Il Ponte della prova è l’episodio che rappresenta il Purgatorio, un dettaglio rintracciabile nella religione cristiana, mazdea ed islamica. Ma soprattutto un episodio assente nella rappresentazione classica del Giudizio Universale.

Nell’esemplare di Loreto Aprutino è ben visibile, mentre in quello di Castignano si può ormai vedere solo un’anima che scende li scalini del ponte.

È la rete di rapporti di complementarità, integrazione e di influenza reciproca che convergono in questi due affreschi, a renderli così affascinanti e misteriosi.

Il Giudizio Universale di Loreto Aprutino

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Il Giudizio Universale di Santa Maria del Piano è posto, come da tradizione, nella controfacciata della chiesa e lo si può datare tra il 1428/1429, all’interno di quel clima variopinto e fantasioso dell’arte gotica internazionale.

La composizione dell’opera ruota intorno alla figura del Cristo Giudice, assiso in trono e chiuso in un’iride ellittica bianca, rossa e verde sorretta da quattro angeli in volo.

Ai lati di Cristo sono inginocchiati, come di consueto, la Vergine e San Giovanni Battista. È la ricostruzione del motivo bizantino della Deeis, ovvero la preghiera di intercessione: il Battista interviene per i giusti dell’Antico Testamento, mentre la Vergine per tutti i cristiani.

Subito in basso compare l’Etimasia, cioè l’offerta del sacrificio espiatorio, rappresentato dalla grande croce e dagli strumenti della Passione: chiodi, martello, tenaglie, corona di spine, lancia, secchiello e spugne.

Ai piedi della croce sono presenti, in posizione di preghiera e adorazione, San Domenico, San Francesco e Sant’Agostino, facilmente identificabili dalle iscrizioni con i loro nomi.

A completare la parte alta dell’affresco sono presenti diversi angeli e cherubini in volo: in particolare, nella parte sinistra dell’affresco, due cherubini con la tromba e la bandiera con la croce bianca chiamano le anime a giudizio; mentre un terzo sparge fiori sulla Torre del Paradiso.

Nella parte mediana del Giudizio ci sono due schiere di santi, apostoli, monache beate e laiche, tutte poggianti sulle nubi alla destra e alla sinistra del Cristo Giudice.

Tutta la parte destra dell’affresco al di sotto dei santi apostoli è andata perduta. Un enorme lacuna fa desumere che vi fosse rappresentata la zona infernale, sia in virtù del confronto con il Giudizio gemello di Castignano, sia per la presenza di un leone e un demone di cui rimangono solo poche tracce.

Dall’ipotetico Inferno fuoriesce un fiume di fuoco, rappresentazione simbolica del Purgatorio. Si arriva dunque alla parte più interessante dell’affresco: il Ponte della Prova: le anime, raffigurate come piccoli corpi nudi, devono attraversare il “fiume di pece bollente” nel quale nuotano le stesse anime che non hanno superato la prova. Ritentano finché cadendo più volte nel fiume si purificano e possono attraversare il ponte.

Nell’affresco alcune anime perdono l’equilibrio a metà strada e precipitano, altre riesco ad attraversare il ponte accolti da un angelo che gli tende la mano.

Il Ponte è detto appunto del “capello”, proprio perché più vi si prosegue il cammino più si assottiglia. Solo chi è “leggero” dai peccati può attraversarlo in tranquillità.

La prova del ponte assume un ruolo principale, mettendo in secondo piano la seconda prova, la Psicostasia: San Michele, infatti, peserà le anime per valutarne meriti e demeriti. Nella bilancia tiene già due anime, una più pesante dell’altra, mentre affianco al santo ce ne sono altre tre inginocchiate in attesa della sentenza.

Le anime dei giusti sono infine indirizzate in un luogo di ulteriore purificazione, una grande valle a gradoni dove raccolgono fiori ed erbe, si arrampicano su alberi e palme.

Si arriva così alla Torre del Paradiso, suddivisa in tre piani. Alla base dell’edificio troviamo i tre Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe in atteggiamento solenne.

La porta della Torre è custodita invece da Abramo e tramite una botola le anime dei giusti accedono alla “vestizione “, una sorta di condizione conquistata di purezza e di salvezza (non a caso, nelle rappresentazioni infernali i dannati vengono denudati). Le anime finiscono il loro percorso al piano superiore dove, accolte dalle Quattro Virtù Cardinali, danzano e ricevono corone di alloro.

Il Giudizio Universale di Castignano

Il Giudizio Universale di San Pietro e Paolo a Castignano fu riscoperto solo tra il 1990 e il 1993 in seguito a lavori di restauro interni alla chiesa.

L’affresco confina con il portale laterale dell’edificio, posizionandosi sulla parete di destra della maggiore delle due navate della chiesa. Questa è una posizione alquanto inusuale rispetto al luogo tradizionale che viene assegnato all’iconografia del Giudizio Universale. Difatti, a partire dall’XI secolo, questa tematica aveva il suo ruolo fondamentale sulle controfacciate delle chiese, per adempiere il compito di ammonire i fedeli che uscivano dall’edificio, passando attraverso sia le gioie del Paradiso, ma anche attraverso le agonie dell’Inferno.

In tal modo, si poteva pensare a una funzione “pedagogica” del Giudizio Universale, che in particolare nell’affresco di Castignano assume una connotazione ancora più particolare. Infatti, il pulpito è collocato sulla stessa parete destra del grande affresco: in tal modo era facile per il sacerdote trovare sempre nuove “raccomandazioni” morali guardando le scene infernali di quest’opera. Moniti di una Chiesa che stringeva a sé la paura dei fedeli.

Il grande Giudizio è larga parte compromesso da molte lacune e pertanto per la ricostruzione iconografica è essenziale il modello di Loreto Aprutino.

Anche qui, domina la composizione il Cristo Giudice assiso in trono e rappresentato entro la mandorla iridata. Intorno al Messia, volano in senso concentrico un coro di angeli dalle vesti rosse, seguiti al di sotto da altri angeli che suonano le trombe: i due si rivolgono uno alla sinistra del Cristo dove è rappresentato l’Inferno, l’altro alla destra verso la Torre del Paradiso.

Apostoli, santi e beati, a differenza di Loreto Aprutino, sono disposti ai lati del Cristo, nella parte arta della composizione. Purtroppo, la parte sinistra è molto lacunosa, mentre quella destra è andata totalmente perduta.

Al di sotto del Cristo Giudice è presente la croce con i simboli della Passione come nell’esempio abruzzese, con la differenza che qua è presente anche la figura di uno sgherro nell’atto di sputare.

Tutta la parte medio centrale dell’affresco è totalmente ceduta e la si può immaginare solo tramite l’opera gemella.

È presente però la zona della resurrezione dei morti, una piccola valle nella parte bassa del Giudizio. È una zona abitata da alcuni animali che alludono e simboleggiano il luogo cimiteriale della resurrezione: il cane e la iena che ancora frugano tra le ossa dei cadaveri, il corvo a simboleggiare l’implacabilità della morte e del giudizio e il leone che ha un’antica valenza cristologica di salvazione.

Tutti i risorti si recano quindi prima verso il fiume Lete e poi verso il ponte del Purgatorio.

Anche a Castignano il Ponte della Prova era stato dipinto, ma ne resta purtroppo soltanto un frammento, con un’anima, in bilico, sostenuta da un angelo dalla veste rossa.

Anche qui, superata la prima prova, si passa alla seconda al cospetto di San Michele. Tuttavia, le due prove nei due affreschi sembrano avere connotazioni psicologiche diverse: a Loreto Aprutino il ponte rappresenta lo snodo centrale e sicuro tra la strada che porta in Paradiso o all’Inferno e tutta la prova e l’intero affresco sono pervasi come da un senso di gaia beatitudine. Nella pesatura di Castignano, l’anima più “leggera” è talmente felice dell’esito della prova tanto da abbracciare l’arcangelo, a differenza della sua controparte che si danna nel piatto della bilancia.

Al di sotto della Psicostasia è rappresentato un altro episodio decisamente interessante: è la scena che racconta il I canto del Purgatorio di Dante, dove il Sommo Poeta e Virgilio incontrano Catone l’Uticense, posto nella Divina Commedia a custodire la Montagna del Purgatorio.

Tuttavia, la figura di Dante non corrisponde alle immagini dantesche della tradizione iconografica e letteraria. Non è da escludere quindi che il pittore abbia voluto rappresentare sé stesso, autoriferendosi in Dante, illustrando nel suo affresco il suo viaggio nell’Aldilà.

Anche qui, vi è la rappresentazione della Torre del Paradiso (seppur lacunosa), ma la parte saliente e che contraddistingue il Giudizio marchigiano dal suo “gemello” abruzzese è la presenza delle scene infernali.

Date le parti mancanti nella zona centrale, si può supporre che le anime dannate risalgano la sponda del fiume del Purgatorio, che strada facendo diventerà l’Acheronte e qui Caronte, rappresentato come una mostruosa nera bestia antropomorfa, che attenderà i rei per traghettarli sull’altra riva.

Le vittime sono crudelmente rappresentate nelle grinfie di mostruosi demoni dai quali non possono scappare, mentre subiscono le pene dei peccati che hanno commesso in vita. Il pittore fa uso di metodi diversi per mostrarci le torture subite dalle anime dannate: usa sia l’azione simbolica tramite la quale è il peccatore stesso a ripetere il suo peccato e sia tramite la legge del contrappasso per la quale lo sventurato è vittima inerme dei castighi inflittogli.

In alcune bolge infernali vi sono alcune iscrizioni, seppur rovinate, che indicano il peccato commesso. Ad esempio, sopra un defunto che esce dalla tomba si legge “(t)avernaro” in cui si farebbe riferimento agli osti disonesti; la vanità è rappresentata da una donna che si specchia avvolta dalle fiamme e stritolata da serpi, contrassegnata dall’iscrizione “Vanagloria”.

Di seguito, per la legge del contrappasso, un sodomita subisce l’amplesso da un demone. Il peccato della gola è rappresentato da un dannato mangiato vivo da un immondo “cinghiale”, contrassegnato dall’iscrizione “Astaroto”.

L’avarizia è descritta da un dannato al quale viene mozzata una mano; il superbo viene cavalcato da un diavolo dalle sembianze scimmiesche; mentre per l’usuraio un diavolo gli getta pece bollente in testa.

Visioni medievali

I viaggi e le visioni dell’Aldilà erano il frutto di ricostruzioni e pellegrinaggi, lettura di altre visioni e viaggi ultraterreni assai influenti nella mentalità e nella superstizione medievale.

Molto affascinante è l’ipotesi per la quale questi due grandi Giudizi Universali siano stati ispirati dalla visione di Alberico da Settefrati, monaco di Montecassino.

Alberico nacque nel 1101 nei pressi di Montecassino e all’età di nove anni si ammalò gravemente tanto da rischiare la morte. Durante la malattia il ragazzo fece un sogno che venne in seguito ritenuto una visione.

Alberico, accompagnato da San Pietro, visitò l’Aldilà, passando per Inferno e Purgatorio. Proprio in questo luogo intermedio è presente, nella sua visione, un ponte che collega il fiume di pece bollente: i giusti lo passano con facilità, mentre i peccatori arrivati a metà perdono l’equilibrio, cadono e ritentano la prova.

Si accede quindi alla seconda prova, alla valle delle delizie e infine alla Torre del Paradiso.

Il tutto combacia con gli affreschi di Loreto Aprutino e Castignano.

Alberico scriverà la sua visione nel 1127, ed ebbe subito larga diffusione. In questa visione si riscontrano molte analogie con le visioni escatologiche sia cristiano occidentali, che arabo islamiche.

Queste leggende sull’Oltretomba sono giunte in Europa grazie ai pellegrinaggi in luoghi santi e alle crociate. Ci fu un vero e proprio scambio culturale tra Occidente ed Oriente e i saraceni tra VIII e IX secolo conquistarono larga parte del Mare Nostrum. In più il monastero di Montecassino avendo molte relazioni con l’oriente, fu un terreno assai fertile per Alberico per completare e redigere la sua visione.

Alberico narra che il mezzo della sua visione fu il sogno, esattamente come il viaggio notturno, o isra, compiuto da Maometto.

La prima tappa del viaggio di Alberico è un luogo infuocato e pieno di vapori in cui vengono purgate le anime dei bambini non battezzati. Nel Corano è presente un luogo simile, all’inizio dell’Oltretomba, dove sono confinati i bambini che morirono prima dell’uso della ragione.

Nelle zone infernali, Alberico giunge in una valle in cui le donne che hanno commesso adulterio sono appese per i seni o i capelli, una pena molto simile a quella degli avari della Visione di San Paolo.

La serie di confronti continua passo passo per ogni capitolo della Visione del frate di Montecassino ed palesandone l’influenza arabo.

Il pittore che eseguì i due affreschi, trasponendo questa Visione in pittura rompe totalmente gli schemi tradizionali della rappresentazione del Giudizio Universale: al Giudizio si sostituisce una Visione, ma soprattutto si introduce il concetto di Purgatorio tramite il Ponte della Prova.

Infatti, chiamare questi due affreschi Giudizi Universali, non sarebbe del tutto corretto: infatti viene presentato quanto accadrà dopo la morte di ogni individuo e non ciò che avverrà nel Giudizio Finale come riportato dal Nuovo Testamento.

La presenza del Purgatorio comporta una sorta di “tempo d’attesa” per l’ulteriore purgazione, un elemento iconografico del tutto nuovo e unico, che nella classica separazione tra anime giuste e dannate del Giudizio Finale non avrebbe spazio.

Il Ponte del capello

Come spesso accade per le tematiche religiose, anche questo tema ha una storia plurimillenaria.

Il motivo del “ponte pericoloso” è già presente nella tradizione persiana fin dal VI secolo a.C.

La si ritrova nell’Avesta, il testo sacro della religione mazdea, dove il ponte è denominato Cinvat, al di là del quale tre giudici aspettano le anime al varco.

Lo ritroviamo nel Libro di Arta Viraf, testo religioso zoroastriano, in cui viene narrata una visione molto simile a quella di Alberico.

Questa tematica è contenuta poi nella letteratura islamica, negli hadits, cioè narrazioni risalenti ai tempi di Maometto, dove il ponte è detto appunto “più sottile di un capello”. Citato allo stesso modo anche in svariate reinterpretazioni della Visione di San Paolo redatte tra il IX e il XIII secolo.

Lo stesso motivo del ponte lo ritroviamo nel mito germanico: qui rappresentato dalla volta sulla quale avanzano gli dei, detto Asbrù, “il ponte dgli Asi”.

Nell’Irlanda del XII è presente la Visione di Tungdalo: anch’egli visitò l’Aldilà e dovette attraversare uno strettissimo ponte che solo i giusti sono in grado di attraversare.

Tutto questo insieme di soggetti e mezzi espressivi e simbolici, nel Medioevo, potevano essere espressi attraverso segni iconici, creando un fenomeno comunicativo comprensibile.

Tuttavia, questi due affreschi sono l’espressione di una cultura figurativa non così facilmente decifrabile, frutto di una committenza e di artisti assai colti di cui purtroppo non potremmo mai avere dei nomi precisi.

Il Giudizio di Loreto Aprutino è pervaso da un senso quasi gioioso, di festa, di sostegno morale; mentre quello di Castignano è imbevuto da un tono di pentimento e paura.

È certo che furono realizzati entrambi per rendere meno spaventosa la fine del mondo l’uno e terrorizzare con l’incombenza della fine dei tempi l’altro, il tutto dettato dalla necessità di assoggettare i più alla volontà di un dio astratto.

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