I pasti del Sacro Collegio

i pasti

Nell’immaginario collettivo e nel racconto dei media il Conclave si colma di riti e di simboli: dall’ «extra omnes», che ne segna l’inizio, all’«Habemus Papam» che annuncia l’elezione del nuovo Pontefice passando per le varie «fumate» del comignolo posto sopra la Cappella Sistina.

È invece scomparso dalla disciplina normativa del Conclave, attualmente contenuta nella «Universi Dominici Gregis» promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996 e modificata da Benedetto XVI nel 2013, qualsiasi riferimento ai pasti consumati durante il Conclave.

Sappiamo peraltro, grazie agli organi d’informazione vaticani, che durante il Conclave si consumano tre pasti: una colazione leggera, un pranzo particolarmente attento alla dieta e alla stagionalità con la semplice concessione di un bicchiere di vino ed una cena altrettanto leggera.

Il tutto gestito con la consueta riservatezza propria dell’elezione del Sommo Pontefice e con quello spirito bonario che è stata una delle cifre del pontificato di Papa Francesco capace di presentarsi con grande semplicità alla mensa degli operai del Vaticano e di mettersi diligentemente in fila con il proprio vassoio.

Presi per fame

Fa quindi sorridere, ma allo stesso tempo riflettere, che nella Costituzione Apostolica «Ubi periculum», promulgata il 16 luglio 1274 da Papa Gregorio X dopo un burrascoso Conclave di Viterbo, fosse prescritto che se «entro tre giorni da quando i cardinali […] sono entrati in conclave, non fosse stato ancora dato alla chiesa il pastore, nei cinque giorni immediatamente seguenti, sia a pranzo che a cena i cardinali si contentino ogni giorno di un solo piatto. Passati questi senza che si sia provvisto, sia dato loro solo pane, vino ed acqua, fino a che non avvenga l’elezione».

Le prescrizioni della «Ubi periculum», emanate nel corso del Secondo Concilio di Lione, avevano certamente lo scopo di sottolineare la missione spirituale del Conclave, evitando che i Cardinali fossero distratti dai piaceri della tavola, ma rappresentavano anche una sorta di concessione a quella parte dei fedeli che, all’epoca non senza fondamento, vedevano nell’elezione del nuovo Papa un’occasione di intrighi e di peccati di gola.

In tal senso ne scrisse il poeta, sodale di Pellegrino Artusi, Lorenzo Stecchetti (pseudonimo di Olindo Guerrini) ne «La Tavola e la Cucina nei Secoli XIV e XV» il quale trovò nelle ristrettezze del Conclave una bonaria giustificazione alla debolezza di Papa Martino IV a cui Dante Alighieri aveva sprezzantemente dedicato un Canto del Purgatorio in cui lo condannava al digiuno per aver ecceduto, nel corso del suo pontificato, al consumo delle anguille di Bolsena e della Vernaccia.

I Cardinali «mangioni» del «commedione» di Giuseppe Gioachino Belli

Uno dei temi ricorrenti del «commedione», la raccolta di sonetti di Giuseppe Gioachino Belli, è l’ingordigia dei Cardinali, sempre pronti ad attovagliarsi, come si dice ora, e ad accaparrarsi i cibi più prelibati.

Impietoso come suo solito Belli scatenò la sua ironia ne «Er Cardinale de pasto», un anonimo alto prelato in grado, secondo il Belli, «De maggnajjese er forno, la fornasce, Er zacco, er mulo, e ‘r mulinaro in groppa».

Belli, che definì la raccolta dei suoi sonetti un monumento alla plebe di Roma, diede voce a coloro che, anche per paura di finire nelle mani di Mastro Titta, il boia di Roma, restavano in silenzio, ma vedevano nel Sacro Collegio l’espressione di un potere dispotico e sostanzialmente parassitario che predicava i digiuni quaresimali, ma coltivava in privato i piaceri della buona tavola.

La stessa immagine che verrà restituita nel cinema da Luigi Magni in «Nell’anno del Signore» (1969), ne «In nome del Papa Re» (1977) e in quella dissacrante (e politicamente scorretta) parodia di un immaginario Conclave contenuta ne «Il Santo soglio», episodio del film collettivo «Signore e signori buonanotte» (1976).

La silenziosa rivoluzione dei costumi del Sacro Collegio

Se guardiamo con occhio laico e disincantato ai pontificati del secondo dopoguerra, da Papa Pio XII, il primo a scendere tra la folla smarrita dopo i bombardamenti di Roma, a Papa Francesco con la sua ostinata avversione per gli orpelli, non possiamo non riconoscere un progressivo e tangibile cambiamento dei costumi del Sacro Collegio nel senso della sobrietà e della moderazione e se non sono mancate eccezioni sono rimaste, nei media e nella percezione collettiva, eccezioni appunto.

La dottrina e la prassi della Chiesa cattolica si sono orientate, viene da pensare in modo irreversibile, verso un rapporto sano ed equilibrato, che ovviamente riguarda anche il cibo, verso i beni materiali e basti pensare al magistero di Papa Francesco, alla sua Enciclica «Laudato Si’»: la più lucida critica contemporanea al consumismo distruttivo del terzo millennio.

Oggi che la Chiesa cattolica è rimasta una delle poche voci autorevoli a parlare in modo disinteressato di ecologia, di pace e di dialogo sapere che un Cardinale ha consumato i superalcolici del frigobar del suo alloggio di Santa Marta o che qualcun altro membro del Sacro Collegio ha approfittato del forzato soggiorno romano per frequentare qualche rinomata trattoria in cui gustare i piatti tipici della cucina romanesca dovrebbe far solo sorridere e non certo far gridare allo scandalo.

V’è solo da sperare che il suo spirito ne abbia trovato giovamento.

Foto di gustavozini da Pixabay

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