I leader politici di oggi e quelli del passato

Per le nuove generazioni parlare dei leader politici della prima repubblica, quelli eletti con il voto espresso alle liste dei singoli partiti, parte della storia del nostro Paese dal dopoguerra fino agli anni 90, è un argomento sconosciuto ai più. Quei pochi nomi rimasti nella memoria di qualcuno sono osannati o insultati.

Quello che invece si percepisce nell’ascoltare i giudizi sulle nuove leve di politici, è che poco rimane impresso nelle menti di chi giudica riguardo alla loro reale conoscenza, alle loro capacità e al loro saper essere leader, non solo di un partito e dei propri elettori ma essere riconosciuti come tali anche dagli avversari.

Certo, di errori istituzionali ne sono stati fatti tanti e il sistema politico alla fine ha continuato a cercare di mantenersi come tale non accogliendo più gli appelli degli elettori e perdendo di vista il “bene comune” per una sorta di autoconferma di potere.

Nel passato, le direttive politiche erano specificate negli statuti dei partiti e l’eletto doveva rispettarle. Linee politiche, spesso discusse aspramente, che nascevano da congressi nazionali ma che alla fine trovavano maggioranze e minoranze che comunque onoravano la linea del partito.

Non c’era trasversalità, allora, non si cambiava partito per interessi personali com’è successo in questi anni e se c’erano dubbi, o visioni diverse sulla linea politica, questi erano evidenziati dalle correnti interne ai movimenti, determinate dagli esponenti più rappresentativi del partito stesso, senza per questo essere a rischio di espulsione.

L’elettore, al momento delle consultazioni, era tenuto a scegliere tra le aree politiche considerate di destra, di centro e sinistra; aree rappresentative non solo di una filosofia politica differente ma anche di progetti economici e sociali ben definiti.

Come, ancor oggi, allo stesso modo, nel Parlamento sono concentrate le forze politiche, dove siedono anche gli attuali leader dei maggiori partiti contemporanei.

Luigi Di Maio, Matteo Renzi e Matteo Salvini, che per comodità mettiamo in ordine alfabetico, sembrano tre politici, che a differenza di quelli del passato, appaiono, più che come seguaci di ideali, fautori dell’improvvisazione ed interpreti dello stesso personaggio, figlio degli eventi quotidiani.

Tra i due “gruppi onorevoli” si evincono sostanziali differenze di cultura e statura politica. Pur se con evidenti divergenze tra di loro e tra le proprie linee guida di pensiero, che distinguevano il proprio credo politico, i primi erano accomunati da una peculiarità fondamentale per un politico: la competenza istituzionale, carente, se non assente, nel curriculum dei colleghi più giovani citati. Qualità, questa, necessaria per la gestione di una nazione.

D’altronde, statista, o politico di rango, ci si diventa con l’esperienza che, insieme alla cultura personale, è una caratteristica umana fondamentale, la quale se deficitaria finisce per far compiere al governante pessime figure, o ancora peggio, aumentare la complessità del problema invece di risolverlo.

Le capacità nella gestione dello Stato si dovrebbero possedere naturalmente come dote e, checché se ne dica, gran parte dei politici della prima repubblica ne erano sufficientemente dotati. Peculiarità minima e indispensabile di cui un pretendente alla carica di Ministro o di Premier dovrebbe godere.

Gli esponenti della prima repubblica raggiunsero il loro massimo fulgore politico in età matura ma fin da giovanissimi iniziarono a muoversi con dimestichezza nell’agone politico e ancor prima nelle sezioni rionali dei partiti, oggi assenti sul territorio, scuola naturale per chi aspirava a fare politica.

In conclusione, pur volendo trovare un punto a favore dei politici contemporanei il redattore non c’è riuscito.

Andare avanti a slogan paga nell’immediato ma poi bisogna avere la capacità di tradurre questi in fatti e qui si nota tutta la difficoltà e l’impreparazione della nuova classe politica.

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