Fiume Bojaccia. Delitti e misteri romani sul Tevere. Intervista con l’autrice Raffaella Bonsignori

Roma, 9 giugno, Circolo Montecitorio, Raffaella Bonsignori (foto), avvocato penalista, assistente universitaria di Procedura Penale e storica del crimine, ha presentato il suo nuovo libro, Fiume Bojaccia. Delitti e misteri romani sul Tevere, una raccolta di undici delitti avvenuti sulle sponde del Tevere dall’antica Roma ad oggi, descritti con accuratezza storica e documentale, ma anche con uno stile accattivante che rende il libro piacevole come un thriller.

Edito da Bibliotheka Edizioni con la prefazione del Generale Luciano Garofano, ex comandante del RIS di Parma e noto investigatore, il libro è stato recensito, in quarta di copertina, da illustri nomi del panorama culturale italiano, tra i quali i noti giornalisti Rai Italo Moretti e Mimmo Liguoro, il professore emerito di Procedura Penale Gilberto Lozzi e la storica dell’arte e scrittrice Nicoletta Fattorosi Barnaba.

Al tavolo dei relatori erano seduti Gian Piero Galeazzi, noto giornalista sportivo della Rai e ex campione di canottaggio, Stefano Brusadelli, giornalista de Il Sole 24Ore e romanziere, e l’avvocato Alessandro Cassiani. Fuori dal tavolo delle personalità, invece, c’era lei, l’Autrice, seduta sui gradini di una scalinata, in scarpe da ginnastica, con l’aria divertita di chi è capitata lì per caso. E’ stata lei a presentare loro e non viceversa, limitandosi a intervenire, di quando in quando, e rispondendo con arguzia e simpatia alle domande che, infine, i relatori le hanno posto. Una scelta originale che ha mostrato a tutti la personalità controcorrente, per restare in tema col fiume, di questa donna lontana da ogni etichetta fine a se stessa, brillante e allo stesso tempo semplice, autentica, disinteressata a occupare il centro della scena.

Gian Piero Galeazzi, dopo aver proiettato un suo splendido servizio su Roma e sul Tevere, ha speso parole significative sull’importanza del fiume per Roma, per i romani e per se stesso, descrivendolo come il proprio Avatar. Ha, poi, evidenziato la curiosità che il libro della Bonsignori suscita sin dalle prime pagine, e ha scherzato con l’Autrice, come si fa tra fiumaroli, invitandola a non smettere di praticare il canottaggio (sport in cui, evidentemente, è molto brava, visto che l’invito arriva da un campione come lui) e ribadendo il soprannome che le ha dato, ossia Principessa del Fiume; un soprannome che sicuramente porterà al libro e all’Autrice molta fortuna, visto che Galeazzi ha spesso inventato soprannomi per atleti poi diventati grandissimi campioni!

Stefano Brusadelli ha, invece, focalizzato l’attenzione sull’elegante prosa dell’Autrice, sulla sua preparazione storica, sul concetto di “pietà” che è stata in grado di trasmettere non solo nei confronti delle vittime, ma anche dei colpevoli.

L’avvocato Alessandro Cassiani, infine, difensore di uno dei protagonisti del libro, Vincenzo Teti, ha evidenziato come la Bonsignori sia riuscita mirabilmente a ricostruire una complessa vicenda giudiziaria e a dar voce alle vittime, presentando tutte le versioni dei fatti, quella accusatoria e quelle difensive, e lasciando, con abilità narrativa e mestiere avvocatesco, la soluzione nelle mani del lettore.

Scrittrice, avvocato penalista, assistente universitaria. Qual è la vera Raffaella Bonsignori?

Non è una domanda facile. Il punto di discrimine, io credo, sta tra essere e fare. Per come la vedo io, le attività lavorative, che siano impieghi o professioni, sono strumentali al vivere. Sotto questo aspetto posso dire di fare l’avvocato e, tutto considerato, credo di farlo anche bene; di fare l’assistente universitaria, poiché mi piace la procedura penale, mi piace il contatto con gli studenti, la trasmissione del sapere, la verifica della loro preparazione, che mi consente di mettere in costante discussione la mia. Ma, quando parlo dei miei libri, a differenza di qualunque altra attività, senza esitazione affermo d’essere una scrittrice, poiché scrivere, per me, va al di là di tutto; è l’unica vera dimensione della mia vita. Lo scrittore è un privilegiato, poiché, più di qualunque altro artista, può permettersi esistenze parallele, più d’una contemporaneamente, vivendole con grande intensità; è un guitto della carta stampata, è una maschera vivente, può diventare tutti e nessuno, eroe, mentecatto, vagabondo, filosofo; può viaggiare nello spazio e nel tempo …. A volte inventa luoghi che escono dalla carta, poiché qualcuno decide che sono troppo belli per non diventare reali; a volte dà il la ai film, che animano le parole; altre volte, poi, reinventa la filosofia, la religione, la storia dell’arte, la scienza. Non dimentichiamo che il primo allunaggio è avvenuto nei romanzi. Ha in mano le chiavi del possibile e dell’impossibile. E’ una magia potente quella che possiede.

Ecco perché non riesco a vivere la scrittura come un lavoro: è una parte di me, qualunque cosa io scriva.

Ecco, a proposito di ciò, lei ha scritto molti libri, toccando argomenti sia giuridici, sia letterari di vario genere e pubblicando con importanti case editrici, come Cedam, Giuffré, Treccani … Quali predilige?

Sì, ho scritto opere giuridiche: un libro, Procedimento per Decreto, e molti contributi in opere collettanee, articoli, note a sentenza, voci enciclopediche; ma non è questo che intendo quando parlo di scrivere. Il genere che prediligo sono i racconti ed i romanzi che descrivono la vita, ordinaria o straordinaria che sia, intinta nel rosa dell’amore, nel grigio del dramma o nel nero del thriller; a volte persino immersa nelle nebbie dell’extrasensoriale. Tuttavia, per crescere come scrittore, o, meglio, per essere uno scrittore, bisogna misurarsi con diversi generi letterari. La vera magia sta nel saper spaziare dall’uno all’altro. Se si possiede il segreto della descrizione, se si riesce ad entrare nella pelle dei propri personaggi, se si impara a viaggiare in un notturno londinese, come nel sole sfacciato dei tropici, nel freddo polare e nel caldo equatoriale, se non ci si lascia spaventare né dai meandri oscuri di un tempio antico, né da una navicella spaziale, se le parole che usiamo sono al contempo tetre e luminose, insicure e titaniche, vere e false, allora scrivere fa parte di noi. Poi si può scegliere un genere e dedicarsi ad esso interamente, ma prima bisogna aver dato prova a se stessi di poter plasmare ogni parola. E’ un po’ come affermare che Picasso sapeva dipingere solo figure scomposte. Guardando ai suoi primi periodi pittorici ci accorgiamo che non è così. Ecco perché ho sperimentato moltissimi generi, dall’opera teatrale al romanzo d’amore, dai racconti alla favola horror. Ora sto scrivendo un thriller. Un genere cui mi sento particolarmente vicina e che, forse, potrebbe rappresentare il punto fermo cui dare continuità nel tempo.

 E la storia del crimine di cui ha dato saggio in Fiume Bojaccia?

La storia, non solo del crimine, è un discorso a parte. Anche in questo caso devo usare il verbo essere. Io sono una storica. La studio della storia fa parte di me da sempre. Credo che, in qualche modo, soddisfi la mia perenne ricerca di motivi, di collegamenti. La storia non è troppo lontana dal thriller: è uno sconfinato campo di indagine in cui scovare tracce di altre vite.

Lo dimostra il suo libro: in Fiume Bojaccia, se non erro, ha trovato molte tracce anche lontane nel tempo …

Assolutamente sì. Ho avuto il privilegio di studiare a lungo in molti archivi italiani: pergamene cinquecentesche, processi rinascimentali, documenti dell’ottocento e dei primi decenni del XX secolo … carte ingiallite che mi hanno parlato della mia Roma, di tutte le città che essa racchiude. Un’emozione rara. A volte mi sono sentita come la Bianca Maria dannunziana de La Città Morta, con i capelli tenuti dal fermaglio appartenuto a Cassandra!

Dunque la sua è una Roma indagata a fondo, fin nei minimi particolari

Sì. Indagata nei documenti, nelle vie, nelle chiese, nei palazzi, nelle atmosfere, nelle parole dei testimoni, a volte. Mio padre ed il mio biscugino, ad esempio, hanno condiviso con me la loro esperienza adolescenziale in epoca bellica, testimoni oculari delle vicende romane, e dalle loro voci ho appreso particolari rilevanti, su uno dei quali la storiografia contemporanea è ancora divisa. Avendo scritto questo libro, posso dire d’aver vissuto personalmente diciotto secoli della mia città. 

A proposito della sua città, nel racconto “Tenebre e Tormenti”, che fa parte del suo precedente libro, Il Bene che Crediamo di Fare, edito da Giuffré, lei ambienta a Roma, sulle sponde del Tevere, una torbida vicenda di amore e morte; in Fiume Bojaccia racconta 18 secoli di delitti. La sua è una Roma noir?

La mia è una Roma a tutto tondo, che cela bellezze e lati oscuri. Come sede del papato e capitale d’Italia, ha sempre racchiuso il senso del sacro e del profano. A volte assomiglia a Lucifero, l’Angelo caduto nelle tenebre, che, nel suo nome e nel suo destino, cela la contraddizione estrema: Lux Fero, portatore di luce. Roma è così, è un angelo di bellezza senza eguali, che, a volte, cade nelle tenebre, ospitando turpitudini e crudeltà.

Il Generale Luciano Garofano ha scritto una splendida prefazione al suo libro, sottolineando l’importanza del case linkage e della scienza delle investigazioni applicata anche ai casi del passato. Come si conciliano, secondo lei, storia e scienza?

Innanzi tutto devo confessare emozione ancora oggi al pensiero che il Generale Garofano abbia apprezzato la mia opera tanto da scrivere la prefazione e da propormi di scrivere un prossimo saggio insieme, cosa che avverrà a breve, in contemporanea con il mio romanzo. E’ un uomo di grande cultura, non solo scientifica, ed ha scritto molti interessanti libri, tra i quali prediligo Delitti e misteri del passato, edito da Rizzoli, in cui prende in esame, nell’ottica dell’investigazione moderna, omicidi d’altre epoche. Lui per primo, dunque, ha dimostrato che il collegamento tra storia e scienza non solo è possibile, ma anche utile. Innanzi tutto la scienza di oggi può ben essere applicata al passato, pensiamo, ad esempio, alla prova del DNA; inoltre, sotto il profilo criminologico, i comportamenti dei grandi criminali della storia possono portare linfa vitale all’attività tesa a decodificare le azioni criminose odierne. Ciò che, appunto, si chiama case linkage, collegamento casistico.

Dunque la storia del crimine non è fine a se stessa …

La storia non lo è mai. 

Come sarebbe stata la sua vita se non fosse stata una scrittrice?

Non ho sufficiente immaginazione per fare quest’ipotesi. E’ come dire se non fossi nata cosa sarei stata.

di Enzo Di Stasio

Trailer del libro –  Link del sito Bibliotheka Edizioni per l’acquisto del libro

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