Firenze nera nell’alba del giallo

«Scopo supremo di chi scrive è, sovente, il giovare altrui, o col diletto o col proseguire alti intendimenti: un libro, che è stato utile, può dirsi risponda al fine nobilissimo, con cui fu pensato, scritto» dice Giulio Piccini in arte Jarro nella prefazione alla quarta edizione della sua Firenze sotterranea. Siamo a Firenze, agli albori del Novecento e la grande operazione urbanistica chiamata risanamento (o sventramento, a seconda dei punti di vista) ha già trasformato piazza del Mercato Vecchio nella più regolare piazza della Repubblica. 

La discutibile “ripulitura” del centro auspicata da Jarro – giornalista di costume e scrittore per lo più umorista –  si è compiuta. Tra il 1884 e il 1900, a partire dagli originari dodici articoli pubblicati su La Nazione all’edizione definitiva, la storia editoriale di Firenze sotterranea accompagna tutto il processo di risanamento del centro. «Bisogna abbattere varii punti di Firenze e ricostruirli di nuovo» eppure, ironia della sorte, sarà anche grazie a Jarro che il ricordo del cuore nero della Firenze ottocentesca sopravvivrà alla sua distruzione.

L’inchiesta e l’invenzione

Munito di sguardo acuto e indagatore, Jarro ha penetrato i segreti delle zone oggi tramontate del Mercato Vecchio e del Ghetto, ne ha estratto il peggio e ha usato i colori della sua fantasia per farne un affresco dalla drammaticità esagerata. Si può dire infatti che Firenze sotterranea sia un’opera perennemente in bilico tra romanzo d’inchiesta e romanzo d’invenzione. Da una parte la delinquenza e la miseria analizzate dallo sguardo analitico del giornalista, dall’altra la tendenza del narratore umorista alla caricatura. 

Quello che emerge è una specie di bocca dell’inferno in cui il colore dominante è il nero, gli spazi sono piccoli e claustrofobici, le storie truci dei singoli emergono da una società abietta che tende a ammassarsi come i topi nei cunicoli sotterranei. Gli innocenti esistono solo come vittime, i bambini compaiono solo come ladri apprendisti. Insomma, uno scenario perfetto per una storia noir piena di imprevisti e soprassalti, e Jarro  non si lascia sfuggire l’occasione. 

Un ciclo poliziesco ante-litteram

«L’orologio del Palazzo Vecchio, in Firenze, suonava le 8. Una donna, tutta velata, della quale sarebbe stato difficile dire l’età, avendo il volto coperto, ma che pareva giovane alle snelle movenze della persona, e alla scioltezza del passo, usciva da una casa in Piazza degli Amieri, traversava frettolosamente varie stradette, passava dinanzi alla Loggia del Pesce, e senza mai guardarsi a destra e a sinistra, entrava in quell’angustissimo e nero varco, che si vede tuttora fra due gruppi di case; e si chiama Vicolo della Luna». L’angustissimo e nero varco, le varie stradette, una donna velata che si muove nell’ombra… Potrebbe essere l’inizio di uno degli aneddoti di Firenze sotterranea, invece è l’incipit di L’assassinio nel Vicolo della Luna, il primo dei quattro romanzi detti giudiziari firmati  Jarro.

L’assassinio nel Vicolo della Luna, Il Processo Bartelloni, I ladri di cadaveri e La figlia dell’aria, formano un ciclo che ha come unico protagonista il commissario Lucertolo. Di questi solo La figlia dell’aria non è ambientato a Firenze. Gli altri tre si svolgono nella cornice del Ghetto e del Mercato Vecchio, e pur essendo ambientati negli anni Trenta dell’Ottocento non sono estranei al disegno propagandistico di Firenze sotterranea

Come spesso accade in letteratura, si parla delle pecche del passato per parlare di quelle del presente. La decadenza fisica e morale della Firenze nera di Lucertolo è la stessa che troviamo in quella degli anni Ottanta del XIX secolo descritta nella sotterranea. Anche il lessico utilizzato è lo stesso, e che dire delle coincidenze cronologiche? La prima edizione di Firenze sotterranea è datata 1884, L’assassinio nel Vicolo della Luna, Il Processo Bartelloni e I ladri di cadaveri sono stati pubblicati per la prima volta tra il 1883 e il 1884. Inoltre il 1884 è anche l’anno in cui cominciano gli sgomberi preparatori all’operazione di risanamento.

Jarro dunque non rinuncia all’utile nemmeno in romanzi che dovrebbero essere solo dilettevoli. Attraverso le continue ingerenze moralistiche del narratore onnisciente lo scrittore porta avanti la sua denuncia sociale contro la condizione malsana del Ghetto e del Mercato Vecchio. Questa volta lo fa in modo indiretto, attraverso espedienti patetico-filantropici in grado di suscitare la pietà e la commozione del lettore. Conscio della fascinazione che la cronaca nera esercita sul pubblico, Jarro utilizza l’elemento del delitto per tirare il lettore dentro un plot intricato, completo di un vasto repertorio di azioni criminali e sentimentali, momenti di suspence e colpi di scena. Senza esserne  del tutto consapevole dà vita a un ciclo poliziesco ante litteram, anteriore perfino a Lo studio in rosso, prima avventura di Sherlock Holmes edita nel 1887. 

Il commissario Lucertolo

Gli elementi del giallo ci sono tutti: il delitto, l’omicida e soprattutto l’investigatore. Lucertolo (alias Domenico Arganti) è un commissario del corpo ufficiale di polizia. Ha una straordinaria capacità analitica che gli ha permesso di fare carriera nonostante le umili origini. Per risolvere i casi utilizza un metodo d’indagine induttivo, basato sull’esame attento delle tracce lasciate sulla scena del crimine e sulla capacità di immedesimazione nei panni del fuorilegge. Un eroe del tardo positivismo, si potrebbe dire. In I ladri di cadaveri, ad esempio, da una macchia di sangue lasciata su una grossa tela insanguinata e dalle impronte approssimative di una calzatura, deduce che nell’omicidio sono coinvolte due donne che sono fuggite portando con sé i corpi mutilati delle vittime. 

L’identità dell’assassino viene rivelata quasi subito al lettore, nel caso di I ladri di cadaveri addirittura prima di quella delle vittime. Ciò che conta per Jarro è illustrare il meccanismo che porta alla soluzione del caso, con una sottolineatura delle ragioni che hanno generato il delitto e del legame tra le cattive pulsioni e la decadenza del contesto in cui l’omicidio matura. Una polemica sotterranea e costante sull’onda della quale prende forma il ritratto di una società feroce, in cui o si è carnefici o si è vittime. Una denuncia che ci riporta in una Firenze scura e medievale sicuramente da risollevare, ma che ha finito per scomparire sotto il peso dei nuovi palazzi borghesi portando via con sé le sue bellezze e i suoi misteri. 

Fonte foto: toctocfirenze.it

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