Il giorno dopo i tragici fatti di Bruxelles, tutti i media attribuiscono la rivendicazione degli attentati ai “foreign fighters” presenti in Belgio, che, stando ai dati, sarebbero più di 500. Ma chi sono questi foreign fighters?
Il termine inglese indica quei combattenti stranieri, spesso definiti come volontari stranieri, che, pur non appartenendo geograficamente ai paesi nei quali è nato il Califfato, decidono di affiliarsi allo Stato Islamico abbracciandone ideologie e metodi di combattimento a promessa di una vita migliore in uno stato che promette giustizia sociale e benessere.
La presenza di foreign fighters continua a crescere; tra i combattenti, infatti, si stima che almeno 9000 non siano siriani, ovvero circa il 20% del totale. Altre stime vedono la percentuale salire notevolmente tra i miliziani di Da’esh, con il 40% di non siriani tra gli effettivi. La formazione composta esclusivamente da volontari stranieri viene chiamata Jaysh al-Muhājirīn wa l-Anṣār (Esercito degli Emigranti e degli Ausiliari).
I combattenti ribelli stranieri provenienti dai paesi occidentali sono circa il 17 % del totale dei foreign fighters. Tra le nazioni più importanti vi sono Belgio, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi e Germania.
Il centro “The International Centre for the Study of Radicalisation (ICSR)” ha pubblicato due ricerche, il 17 dicembre 2013 e il 26 gennaio 2015. Prendiamo in esame i due paesi recentemente colpiti da attentati. La stima del dicembre 2013 riporta un numero di foreign fighters tra 76 e 296 in Belgio e tra 63 e 412 in Francia, mentre nel gennaio 2015 i dati sembrano lievitati: 440 in Belgio e 1200 in Francia.
Quello che preoccupa perciò è la crescente presa che il mondo fondamentalista sta avendo tra i giovani occidentali. La presenza di volontari europei in Siria a novembre 2013 si aggirava intorno alle 1.200 unità, 3000 unità nel settembre 2014 e ben 6000 nell’aprile 2015.
Questo dato comporta il fatto che nella guerra civile siriana è coinvolto il più grande contingente di combattenti europei musulmani mai comparso nella storia dei conflitti moderni.
Ma dove risiedono le ragioni del successo dell’ISIS nei giovani europei?
Prima di tutto oggi diventare un affiliato dell’ISIS per un occidentale è più semplice che in passato. Fino a qualche anno fa per diventare un jihadista occorreva “molta fatica”. In primo luogo l’aspirante mujahid si avvicinava agli ambienti islamici radicali cambiando completamente il proprio stile di vita. Successivamente entrava in contatto con “i veterani” che dopo l’indottrinamento lo inviavano nei campi di addestramento per mujaheddin. La selezione era “molto dura”. Adesso tanti dei passaggi precedentemente necessari vengono superati grazie a internet e in particolare ai blog, alle chat, ai forum nell’ambito dei quali la propaganda jihadista riesce a fare proseliti anche a migliaia di chilometri di distanza e gli utenti interessati possono avere accesso a un vasto repertorio di informazioni. L’uso strategico e propagandistico dei più recenti strumenti di comunicazione di massa, quali social media e social network, consente infatti allo Stato Islamico di implementare in maniera esponenziale il proprio bacino d’utenza.
Secondo gli inquirenti è proprio su internet che nascerebbe la maggioranza dei foreign fighter, ragazzi nati e cresciuti in Europa e Stati Uniti, che decidono di unirsi allo Stato Islamico e di seguire le direttive dell’organizzazione.
C’è da sottolineare inoltre come, a differenza di altri conflitti che hanno coinvolto volontari stranieri musulmani, la Siria è geograficamente più vicina e confina con la Turchia, nazione dove i cittadini dell’Unione europea possono recarsi con voli low-cost e senza visto.
Lo studio del sociologo udinese Marco Orioles, ha evidenziato come il profilo dei foreign fighters europei si sovrappone con quello delle seconde generazioni di immigrati di fede islamica. Da qui un inquietante interrogativo per le nazioni del Vecchio Continente, da tempo terra di insediamento di cittadini stranieri che vi hanno fatto radici e famiglia: come si giustifica il reclutamento nelle fila jihadiste di ragazzi col passaporto Schengen, nati e cresciuti in un’Europa che essi odiano e che vogliono in ginocchio? Come avviene la radicalizzazione di giovani non di rado insospettabili e ben integrati?
Ciò che scandalizza in questa nuova ondata di terrorismo è chi ne è responsabile: cittadini europei (ok di seconda o terza generazione, ma pur sempre cittadini europei) cresciuti all’occidentale ed il più delle volte istruiti e ben integrati nella comunità locale. Non siamo più nel 2001, quando i paesi arabi dichiararono guerra ai lontani Stati Uniti. Qui è una guerra al popolo che ti ha cresciuto, alla tua patria, in nome di una religione e di uno stile di vita lontano dalla tua quotidianità. Non siamo noi contro di loro, ma siamo noi contro di noi; gli estremisti sfruttando le debolezze del mondo occidentale, come la frustrazione dei giovani ragazzi che in patria non trovano lavoro per creare degli esaltati al servizio di un finto ideale religioso, che di religioso poco ha. E quello che preoccupa ancora di più è che questo lavaggio del cervello sta colpendo ragazzi di ogni dove e sempre in numero maggiore.
Perciò ora la guerra da fare non sarebbe solo a suon di bombe ed esplosivi, ma dovrebbe partire dall’educazione e dal benessere sociale, perché dove c’è insoddisfazione c’è un popolo che vuole ribellarsi e dove c’è un popolo che vuole ribellarsi c’è qualcuno pronto a strumentalizzarlo a suo piacimento.
di Arianna Orlando
Fonte foto: European Parliamentary Research Service Blog
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