Tafida Raqeeb. Life and death in UK

Le differenze tra le nazioni si notano in tante cose: nel modo di vestire, ad esempio, o nei cibi e nella cucina; nella lingua, ovviamente, nelle espressioni e, a volte, nel modo di considerare la vita e la morte.

Non spostiamoci in oriente o in America, restiamo pure in Europa, dove il rispetto della vita è equivalente in tutti i Paesi: con o senza connotati religiosi, la vita è sacra e la si protegge ad ogni costo e fino alla fine, fino a che non si spegne del tutto l’ultima scintilla del cervello, fino a che, come si dice, l’elettroencefalogramma non risulti “piatto” e quella che era una persona non sia diventata altro che un corpo spento. La morte.

Ci sono, però, stati “intermedi”: cosa si è, ad esempio, se un’energia rimane nel cervello e fa vivere il corpo, lo fa respirare, magari sbadigliare, gli fa aprire e chiudere gli occhi ma la coscienza di sé stessi e del mondo è persa? Si è ancora persona e quel corpo – che richiede assistenza, cure e cibo perchè niente può fare da solo – ha diritto a vivere? O lo si può considerare l’inutile contenitore di un qualcuno che fu e lasciarlo a sé stesso fino a che si spenga?

Che fare, insomma, di coloro che siano in quell’area grigia che è lo stato vegetativo permanente, dove il corpo vive se nutrito ma la mente è ridotta ad un nonnulla che non genera pensieri?

Non hanno dubbi i religiosi: poiché la vita è sempre vita, si tratti di un embrione o di un corpo che respira, va curato e mantenuto. 

Anche la scienza ha pochi dubbi: poichè non c’è coscienza, non c’è pensiero nè speranza che si riaccendano, non c’è e non ci sarà più quella persona e quel corpo va spento.

E poi c’è l’amore.

C’era l’amore di Beppino Englaro, un padre che per dieci anni ha lottato, in tribunale, per ottenere che la figlia Eluana, in stato vegetativo a seguito di un incidente automobilistico, venisse lasciata morire. Per lui, sua figlia era morta il giorno dell’incidente, nel momento in cui la sua coscienza si era irrimediabilmente spenta e tenere in vita il suo corpo non era rispettoso di ciò che la stessa Eluana avrebbe voluto.

C’era l’amore per Vincent Lambert, un uomo di quarantadue anni che, in Francia, è rimasto in coma vegetativo per 11 anni e che la moglie voleva lasciar andar via mentre i genitori volevano tenere qui. È stato lo scontro tra due modi di amare, ha deciso un tribunale di lasciarlo andare e non deve essere stato facile giudicare.

E poi ci sono i britannici e la loro, forse invidiabile, freddezza. 

Cosa c’è da decidere se della persona è rimasto solo un corpo alimentato a forza? Siamo pratici: speranza di guarigione non c’è quindi è per il suo meglio se si decide di sospendere alimentazione e idratazione e lasciare che la natura faccia il suo corso. E quel corpo muoia. 

Deve essere questo che hanno pensato quando, poco più di anno fa, la High Court ha acconsentito alla richiesta dei medici che avevano in cura il piccolo Alfie Evans ed hanno disposto, contro il volere dei genitori, di sospendere idratazione ed alimentazione. D’altra parte il cervello del bambino aveva subìto, a causa di una patologia congenita degenerativa, danni irreparabili. E quello nel lettino non era altro che un corpo.

Ma come si fa a vedere in un bambino che dorme nient’altro che un corpo, il contenitore di un nulla che deve essere spento? È innaturale. Come può un genitore crederlo? Come può non avere la speranza che qualcosa accada, che un rimedio si trovi, che una cura miracolosa, oggi inimmaginabile, riaccenda i pensieri di quel bambino? I genitori di Alfie lo speravano; o, forse, avevano solo bisogno di tempo per capire, per arrendersi, per lasciare andare il loro bambino.

Ora, si sa che il tempo è denaro e che i britannici sono molto attenti alle spese, ma il Bambin Gesù di Roma si era detto disposto ad accogliere Alfie. 

Secondo i sanitari britannici, però, questo trasferimento non era nell’interesse del bambino e non hanno acconsentito. Ed Alfie ha terminato la sua breve vita.

Adesso lo stanno rifacendo.

Tafida Raqeeb ha cinque anni ed una congenita malformazione del sistema venoso che, a febbraio, le ha causato un’emorragia cerebrale a seguito della quale è in stato vegetativo. 

I genitori vogliono trasferirla all’ospedale pediatrico Gaslini, di Genova, disposto ad accoglierla.

I medici britannici si sono opposti e sarà la High Court a decidere cosa è meglio per la piccola. 

Verrebbe da pensare, visto che la bambina non soffre, cosa può esserci di meglio della speranza che qualcosa accada? E visto che questa speranza ha bisogno di tempo, rispettiamo il volere dei genitori e facciamola trasferire in un altro ospedale.

La questione, più che scientifica e giuridica, è etica; è il modo di considerare la vita e la morte.

Molti non hanno una risposta esatta ma solo tanti dubbi.

I credenti si rivolgono a Dio.

Tutti gli altri possono parlare con i britannici.

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