Che succede se Beppe Grillo non parla?

imageI risultati delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, non hanno certo fatto sorridere molti partiti, sia vincenti che perdenti, e tra questi una certa crisi sembra avere colpito profondamente l’unità del partito pentastellato.

Espulsioni, rifiuti, contestazioni interne sembrano aver rotto il precario equilibrio del partito, soprattutto perché lo stesso Grillo non appare più come il leader in grado di risolvere i problemi .

Anzi lui stesso appare, o vuole apparire come un po “stanchino” quasi a dire che intenda non volersi lasciare coinvolgere più di tanto nelle questioni interne del partito.

Potrebbe anche essere una mossa astuta per dimostrare che senza di lui il partito non va avanti, e lasciare quindi che le “beghe” facciano il loro corso per poi rientrare prepotentemente sulla scena.

Certo che fare politica sul web e farla dal vivo non è la stessa cosa. Urlare contro, è molto più facile che sedersi a un tavolo e discutere cercando di trovare soluzioni, rendendosi conto che i problemi non sono affrontabili a colpi di spot, ma occorre avere una conoscenza approfondita e capire che non esistono colpi di bacchetta magica risolutivi.

In politica esistono due termini “marittimi” abbastanza chiari per descrivere i comportamenti dell’elettorato “onda lunga” e “riflusso”.

Il Movimento Cinque Stelle ha avuto la sua “onda lunga” navigando sulla capacità mediatica di un comico consumato, che ben etero-diretto ha saputo convogliare il grande senso di antipolitica che ormai ha pervaso l’elettorato italiano.

La gestione del web ha consentito a molti in maniera virtuale di sentirsi parte di uno scenario politico, di essere in grado cioè di decidere sulla scelta dei candidati, e in qualche modo sulle strategie politiche.

Gli analisti politici hanno però da sempre visto un grave gap in questo tipo di partiti. Il consenso viene diretto verso una figura predominante e trainante, come nel caso di Berlusconi, o di Bossi per la Lega Nord, laddove però nel momento in cui questa figura perde di concretezza, o non è più salvifica, tutto il sistema implode su se stesso.

La politica dell’immagine, dello spot può mantenersi nel breve periodo, ma alla conta dei fatti come tutte le immagini mediatiche sfioriscono, soprattutto se non riescono a ottenere risultati.

Il ruolo del M5S rimane comunque fondamentale per gli equilibri politici soprattutto a livello parlamentare dove volente o nolente alcune decisioni di importanza nazionale vengono prese.

L’estraniarsi da una politica condivisa, rifiutata più per principio che per una accorta analisi sui contenuti, ha portato il Movimento ad una impasse che lo ha minato.

Una semplice fase di “riflusso?”, una crisi passeggera? un assestamento organizzativo?

La speranza salvifica, che le cose potessero cambiare, che finalmente la politica della corruzione trovasse un argine, che l’antipolitica che ormai pervade l’elettorato italiano portasse con un movimento nuovo ad un rinnovamento, alla fine dei conti non sembra aver prodotto i risultati sperati.

Sul problema della Leadership del partito, alla fine bisogna riconoscere che Grillo ha ragione.

Il partito è suo. Senza di lui non esisterebbe, tanto che alle lezioni molti elettori erano stupiti di non trovare tra le liste dei candidati il nome di Grillo.

In questo contesto quindi le decisioni sono solo sue, nulla è mediato da una organizzazione partitica che prevede le segreterie, i comitati, congressi e altre forme forse burocratiche ma che consentivano la presa di decisioni assembleari.

Solo la “rete” come espressione di “democrazia diretta” ma a leggere i commenti si nota una certa confusione, fatto salva la spinta “fideistica” verso il leader.

I parlamentari devono fare quello che gli ordina Grillo. Chi consigli Grillo sulle strategie politico economiche, a parte Casaleggio rimane piuttosto oscuro.

E chi non è d’accordo fuori.

La “disciplina di partito” o “centralismo democratico” era fondamentale ai tempi dei vecchi partiti contrasti interni ovviamente devono esserci ma poi occorre decidere una strategia comune. Anche facendo accordi con altri partiti.

In caso contrario si perde e in breve tempo lo spazio politico si riduce, la fiducia degli elettori si perde, insomma comincia il declino.

Ma se Beppe Grillo non detta la linea che ne sarà del suo partito?

di Gianfranco Marullo

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